Umanità Nova, n.43 del 7 dicembre 2009, anno 89

I padri, i figli e le ipocrisie d'entrambi


Le lettere ad un giornale, si sa, sono fra i "pezzi" più letti. L'argomento trattato, il modo in cui è esposto, il genere conviviale, affettivo e diretto, sono di sicuro effetto sul lettore: lo fanno partecipe immediato e coinvolto. Se poi la lettera è pubblicata in prima pagina ed appare come un subdolo sfogo paterno al figlio sulla necessità di abbandonare l'Italia poiché qui non c'è futuro né desiderabile, né tantomeno possibile, allora è proprio fatta: immediatamente si formano gli schieramenti di chi è a favore e chi contro. Addirittura – come effettivamente è successo e sta accadendo – immediata è la necessità di rispondere al "padre" in qualità di "figlio"per replicare (chi mestamente, chi in tono piccato) che "sì, papà, hai purtroppo ragione", oppure "papà, troppo comodo, chiedermi di perdonarti per aver fallito".
È così che il quotidiano "la Repubblica" ci ha ormai abituato allo stile gentile e trasognato di un'opposizione benpensante e salottiera di fronte alle vergogne di un BelPaese retto da una masnada di svergognati e sorretto da una pletora di impudenti. Si è iniziato con Veronica Lario, la cui lettera era un appello ad aiutare il marito malato di priapismo; si è proseguito con Saviano ed il suo appello al malato/imputato a non firmare (per carità, o Silvio!) la legge sul "processo breve" perché  «Non è una questione di destra o sinistra. Non è una questione politica. Non è una questione ideologica. È una questione di diritto»; ora si prosegue con il Direttore Generale della Luiss (ex Direttore Generale Rai) Pier Luigi Celli, la cui preoccupazione per il futuro del figlio laureando lo spinge a scrivergli di cercare la fortuna fuori dall'Italia, perché in questo Paese «se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all'attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai».
Certo: vuoi mica mettere "l'opposizione a suon di lettere" compite e ben scritte, con la sciatteria di un'informativa giudiziaria taroccata che incolpa il direttore de "l'Avvenire" Boffo di immoralità per i suoi amori gay, o le riprese osé sugli incontri allegri e spassosi del Governatore Marrazzo con le sue "amiche", o dell'onorevole Alessandra Mussolini con il prestante e ardimentoso Giuseppe Fiore. Lo stile non è acqua. Già, ma cos'è? Cos'è, se non ipocrisia? L'ipocrisia di chi si chiama fuori, di chi si vuole salvare dalla lordura politica con cui si è nutrito ed ha alimentato il sistema della delega, della rappresentatività, della specializzazione. In poche parole: di chi fa della sua professione un privilegio di casta, sia quella dei politici, dei giudici, dei medici, degli avvocati dei banchieri, dei giornalisti, dei professori universitari, dei direttori generali, degli aguzzini in divisa… dei rivoluzionari.
Nel frattempo la crisi economico-sociale morde e fa male. Pure, fa anche incazzare. E molto. Così tanto, che la protesta non arriverà più per posta, né avrà il bon-ton di una lettera alla Ivan Sergeevič Turgenev. I padri non chiederanno scusa ai figli, e i figli non incolperanno i padri. L'ipocrisia di entrambi lascerà il posto alla coerenza nella lotta per un presente mai più senza futuro. D'altronde, se non adesso e subito, quando?

gianfranco marelli

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