Umanità Nova, n.43 del 7 dicembre 2009, anno 89

La sete del profitto non si placa!


Qualche giorno fa ho ascoltato, sulle frequenze di una nota radio milanese, la dichiarazione del gestore di un bar che affermava con un certo orgoglio: "Nel mio locale, un bicchier d'acqua del rubinetto non l'ho mai fatto pagare!" Qualcuno potrà commentare: "E vorrei vedere che non fosse così ..!!" e non solo perché il costo dell'acqua distribuita attraverso le condotte municipali a Milano è tra i più bassi d'Italia.  Del resto, fa parte del senso comune l'idea che offrire dell'acqua ad un altro essere umano sia da sempre un segnale di ospitale solidarietà, indipendentemente dalla cultura, religione o paese di provenienza.
Ma sarà ancora così, in futuro? Probabilmente no, almeno a giudicare da quanto deciso, con voto di fiducia, dall'attuale maggioranza di governo. Ci riferiamo al decreto Ronchi (ministro per le politiche europee) detto "salva infrazioni comunitarie" convertito in legge n.166 dalla Camera lo scorso 20 novembre. All'interno di questo pacchetto che accorpa una trentina di articoli, ufficialmente adottati dallo stato italiano per evitare sanzioni legate al mancato rispetto delle direttive europee, si trova anche il numero 15 che riguarda i servizi idrici. Non ho le competenze giuridiche né m'interessa verificare quanto sia reale la necessità di adeguamento ai dictat europei perché, di fatto, con tale articolo, "banalmente" inserito in mezzo ad altri, si mette in discussione un principio fondamentale, quello per cui l'acqua è un bene pubblico, un diritto a cui tutti gli esseri umani dovrebbero poter accedere.
Il condizionale è d'obbligo dato che tanti, ai vertici delle gerarchie di comando, si riempiono la bocca parlando di civiltà e democrazia, sostenendo che tutto debba essere regolato dal primato del mercato in economia, ma poi paiono dimenticare quel miliardo e cento milioni di persone che non hanno accesso ad acqua sicura o i due miliardi e quattrocento milioni, ossia il 40% dell'umana popolazione, che non dispongono di impianti igienici adeguati.
Per chi fosse più sensibile alle tragedie dell'infanzia aggiungo che circa 5000 bambini, quotidianamente, muoiono per malattie causate dall'utilizzo di acqua inquinata.
Se è vero che dalla parte del mondo di chi scrive vivono comunque i privilegiati, quelli che l'acqua la sprecano e la inquinano, per un principio etico ancor prima che economico è necessario denunciare questo ulteriore passo verso la mercificazione di un bene fondamentale quale è l'acqua.
Quanto recentemente sancito dal parlamento è, in realtà, solo l'ultimo passaggio verso la completa privatizzazione di questo indispensabile bene, infatti, già con la legge 36 del 1994 (Galli) che esordiva con l'enunciazione di buoni principi (vedi nota 1), si introduceva con l'art. 9, un'apertura alla gestione dei servizi idrici per i privati. O meglio, allora gli enti potevano affidare le reti idriche secondo tre modalità: attraverso una gara, incaricando una società per azioni a capitale misto pubblico-privato o direttamente ad una S.p.A. a totale capitale pubblico.
Un altro colpo lo ha poi assestato la legge n.133 del 2008 (Tremonti) quella dei tagli alla scuola, dell'ingresso delle fondazioni negli atenei, della reintroduzione del nucleare e molto altro ancora che scopriremo a mano a mano che si giungerà all'attuazione delle norme previste.
In questo quadro, l'ultima legge n.166, definita comunemente sulla privatizzazione dell'acqua, va semplicemente a specificare alcune norme già contenute nell'art. 23 bis della 133/08 dove troviamo le indicazioni che riguardano i "Servizi pubblici locali di rilevanza economica". Testualmente si legge: "Le disposizioni del presente articolo disciplinano l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, [...] di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale [...] il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica". Dai successivi commi si deduce che è anche possibile l'affidamento a società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento, da acquisire sempre attraverso la procedura della gara.
L'unica deroga a questo impianto di liberalizzazione si trova al comma 3 ...".per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico"... che tradotto significa: il pubblico è ancora ammesso nei casi in cui nessun privato si accollerebbe l'onere della gestione in situazioni dove non c'è possibilità di guadagno!
I precedenti mandati cesseranno alla scadenza naturale dei contratti solo se si adegueranno alla nuova impostazione secondo una serie di casistiche che è qui inutile riportare.
Tutte le gestioni in essere alla data del 22 agosto 2008 affidate secondo la modalità cosiddetta "in house", vale a dire a completa gestione pubblica, cessano, improrogabilmente e senza necessità di deliberazione da parte dell'ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011.
Perciò, ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione sarà affidata, nella quasi totalità, ai soggetti privati.
Per l'Antitrust, quanto deciso in parlamento è "un buon provvedimento perché dà luogo a una liberalizzazione da tanto tempo auspicata". Per Antonio Catricalà: "L'acqua rimane un bene pubblico e quanto legiferato non significa che necessariamente si avrà una privatizzazione, ma si apre ai privati la possibilità di entrare nell'esercizio di questo servizio essenziale". La proprietà pubblica degli impianti, continua il numero uno dell'Antitrust, "rimane tale laddove è pubblica. Rimane da chiarire chi sarà l'autorità che dovrà verificare e stabilire gli standard di qualità minimi essenziali e che vigilerà sulle tariffe". Un particolare che a lor signori appare evidentemente trascurabile, al di là della sottile finezza secondo cui l'acqua non è privatizzata in quanto sostanza, ma lo sarà solo la sua captazione, distribuzione, depurazione.
Intendiamoci, la "gestione pubblica statale" dell'acqua non è per principio priva di pecche, gli enti pubblici sono infiltrati dai partiti politici e l'efficienza delle reti distributive è spesso lontana da standard accettabili. Basti esaminare i dati del Co.Vi.Ri, il Comitato per la Vigilanza sull'uso delle Risorse idriche, secondo il quale la quantità di acqua immessa nel sistema idrico nel 2008, riferita a 36,5 milioni di abitanti, è di 5,308 miliardi di metri cubi che, rapportata ai 60 milioni di abitanti dell'intero territorio nazionale, implica un totale di 8,72 miliardi di metri cubi in circolazione nelle tubazioni, purtroppo le condotte sono soggette a perdite medie del 30%, in pratica lasciano per strada qualcosa come 2,6 miliardi di metri cubi.
Ma per quale motivo non si fanno investimenti per evitare questo spreco? Semplice, anche per le gestioni cosiddette in house, secondo le leggi del mercato, non c'è convenienza poiché dovendo, fino ad oggi, rispettare dei tetti tariffari che impediscono aumenti superiori al 5%, non si avrebbe l'adeguata remunerazione degli investimenti finalizzati a tamponare le perdite. Possiamo quindi immaginare cosa succederà quando tutto sarà liberalizzato.
C'è qualcuno che sinceramente pensa che i privati entreranno nell'affare acqua per fare beneficenza? Qualcuno che ha il coraggio di sostenere che il servizio sarà di maggior qualità mentre i costi diminuiranno?
Da questo punto di vista è sufficiente verificare i dati dei comprensori (ATO) in cui il servizio idrico è da tempo in mano ai privati per avere tutte le risposte. Il business che riguarda l'oro blu è uno degli affari del presente, ma soprattutto del futuro, ben lo sanno le multinazionali del settore che hanno fatto sentire la loro disinteressata influenza al 5° World Water Forum (Forum Mondiale dell'Acqua) svoltosi ad Istanbul nel marzo di quest'anno dove 30 mila congressisti, tra cui una ventina di capi di Stato e circa 180 ministri dell'Ambiente provenienti da tutto il globo, hanno stilato il solito elenco di buoni propositi da dare in pasto agli organi della comunicazione di massa per farci sapere quanto sono sensibili e attenti ai problemi che riguardano le risorse idriche e gli equilibri tra il nord e il sud del mondo. Peccato che nel loro documento finale non siano andati oltre l'affermazione secondo la quale l'accesso all'acqua "è un bisogno fondamentale umano" .... un bisogno quindi, non un diritto!
Di fronte alla logica di chi si frega le mani per ogni occasione utile allo sfruttamento dell'uomo e delle risorse naturali del pianeta per incrementare il proprio profitto, facciamo nostre le parole di quanti si battono da anni contro la mercificazione dell'acqua, costituente fondamentale per ogni forma di vita e diritto umano universale inalienabile. Insistiamo sulla necessità di garantire la solidarietà fra le generazioni presenti e le generazioni future. Rifiutiamo qualsiasi forma di privatizzazione e ribadiamo che la gestione e il controllo dell'acqua debbono essere di tipo pubblico, sociale, cooperativo, equo e al di fuori di ogni logica di profitto.

MarTa

(Nota 1)
1. Tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà.
2. Qualsiasi uso delle acque è effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale.
3. Gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio e al rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici

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