Il maggiore quotidiano di "opposizione", "La Repubblica", ci ha
fatto immediatamente capire da che parte stia sulla questione della
privatizzazione dell'acqua, allorché, il giorno dopo
l'approvazione del decreto legge di privatizzazione da parte del
senato, ha dedicato il titolone di prima pagina alla vicenda
dell'estradizione o meno di Cesare Battisti dal Brasile. Il terrorismo,
o presunto tale, rappresenta da sempre per la disinformazione ufficiale
il principe dei diversivi, così "La Repubblica" ha indicato
chiaramente ai propri lettori quali siano le sue vere priorità.
Comunque si può esser certi che in futuro i dibattiti mediatici
sulla privatizzazione dell'acqua non mancheranno, dato che non
c'è nulla, come il "dibattito", che consenta di trasformare
tutto in scontro di opinioni, per cui, alla fine, un'opinione
varrà l'altra. In particolare sarà interessante osservare
il modo in cui affronterà il tema la cosiddetta "informazione
alternativa" alla Santoro o alla Gabanelli, magari in trasmissioni che
si faranno passare come contrarie alla privatizzazione. […]
Mentre le trasmissioni di Santoro sul tema acqua ce le dobbiamo per il
momento immaginare, già sappiamo invece come la pensa la
Gabanelli, che si è occupata della privatizzazione dell'acqua il
22 novembre, spostando la discussione sulla democrazia ideale,
propinandoci perciò una lamentela sul parlamento umiliato
dall'abuso dei decreti legge. Ma se è vero che per privatizzare
l'acqua il governo ha agito con uno dei suoi soliti colpi di mano,
è altrettanto vero che l'opposizione non ha fatto ricorso a
nessuno degli espedienti regolamentari per rallentare il decreto.
Il Partito Democratico ha avuto poi la faccia tosta di presentare come
un parziale risultato il fatto di aver ottenuto una dichiarazione di
principio secondo cui l'acqua rimane un bene pubblico. Il falso
è smaccato, dato che questa astratta dichiarazione si trovava
già nell'articolo 23bis della Legge 133/2008 del ministro
Tremonti, il quale, obbedendo alla direttiva del Fondo Monetario
Internazionale, aveva posto le basi della privatizzazione lo scorso
anno; e inoltre in nessun Paese in cui l'acqua in precedenza era stata
privatizzata si è affermato che l'acqua in quanto tale fosse
data ai privati, ma solo la sua distribuzione. D'altro canto, se
raccogli un secchio d'acqua piovana per irrigare il tuo orticello, stai
violando il monopolio della distribuzione dell'acqua, al quale si
attribuisce anche la funzione di tutela della igiene pubblica,
minacciata dal tuo secchio, forse infetto. Infatti nei Paesi
dell'America Latina in cui la distribuzione dell'acqua era stata
privatizzata a favore delle multinazionali, risultava proibito persino
raccogliere acqua piovana. Tra l'altro in questi Paesi si sono svolte –
e ancora si svolgono – lotte durissime per tornare agli acquedotti
pubblici.
Da parte del PD è mancata l'osservazione più ovvia, e
cioè che sarebbe impossibile per i Comuni privatizzare gli
acquedotti rimanendo nella legalità, perché anche il
più fatiscente degli acquedotti costituisce comunque una
infrastruttura di un valore tale che risulterebbe impensabile per
qualsiasi privato, compresa una multinazionale, di poterla acquistare
ad un prezzo congruo. Anche solo il mantenimento in efficienza di una
tale infrastruttura comporta costi talmente proibitivi che nessun
privato sarebbe interessato ad acquisirla in quanto tale.
Non sarebbe possibile vendere regolarmente gli acquedotti, ma è
possibile solo rubarli. Il furto viene perciò perpetrato
attraverso l'inghippo di privatizzare la gestione della distribuzione
mantenendo pubblica la rete, ovvero lo Stato e i Comuni tirano fuori i
soldi per mantenere le infrastrutture in quanto ne sono proprietari,
mentre il privato incamera i profitti. Quindi la funzione del privato
è esclusivamente parassitaria e illegale. Quella norma che il PD
ha presentato come un suo successo costituisce la base di tutto
l'inganno: la rete idrica rimane pubblica, cioè a spese del
contribuente, mentre le crescenti bollette degli utenti verranno pagate
ad un privato che non tira fuori un soldo per mantenere in efficienza
gli acquedotti. E queste non sono ipotesi, ma la cronaca di quanto
accaduto laddove la gestione idrica sia stata privatizzata, come ad
Arezzo.
Il PD, come anche "La Repubblica", rappresenta interessi affaristici
favorevoli alle privatizzazioni, dato che le imprese organizzate nella
Lega delle Cooperative non vedono l'ora di partecipare alla spartizione
delle infrastrutture idriche ed al relativo business. Sia la Lega delle
Cooperative che la Compagnia delle Opere – legata a Comunione e
Liberazione – agognavano da anni di partecipare all'affare, anche se
sanno in anticipo che la parte del leone la faranno le multinazionali.
Si ricorre spesso al luogo comune secondo il quale ci sarebbe da una
parte un capitalismo "cattivo" delle banche e delle multinazionali, e
dall'altra parte un capitalismo "dal volto umano", composto dallo
sforzo produttivo di tanti piccoli e medi imprenditori. In effetti non
esiste nessun "capitalismo", né buono né cattivo, ma solo
un affarismo privato assistito dallo Stato; ed all'interno di questo
affarismo si verificano diversi gradi di capacità di
vampirizzare la spesa pubblica. Quindi in democrazia esiste un partito
unico degli affari, che non prevede l'esistenza di vere opposizioni.
La piccola e media impresa organizzata è una sanguisuga della
spesa pubblica, e non a caso oggi la piccola e media impresa
organizzata, tramite il controllo che esercita sui dipendenti,
costituisce il maggiore serbatoio di voto organizzato a disposizione
del sistema politico. Il fatto che la piccola e media impresa sia
spesso vittima della prepotenza delle multinazionali e delle banche,
non elimina questo dato di fondo. È vero che la piccola e media
impresa può avere interesse ad uno sviluppo del mercato interno,
e quindi non opporrà mai ai miglioramenti salariali e normativi
dei lavoratori degli ostacoli paragonabili a quelli delle
multinazionali, che esigono il costo del lavoro più basso
possibile. È però altrettanto vero che la piccola e media
impresa organizzata obbedisce allo stesso richiamo della foresta delle
multinazionali, e quindi non vuole rimanere fuori del paradiso delle
privatizzazioni.
La faccia pacioccona di un Bersani, la sua "comprensione" pelosa verso
i diritti del lavoro, non devono far dimenticare che, quando si tratti
di privatizzare, egli sarà sempre complice e battistrada delle
multinazionali, anche se si tratta di partecipare solo alle briciole
dell'affare.
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