Nel novembre del 1999 un gruppo di attivisti statunitensi impegnati
nel campo della comunicazione e nelle lotte di base aprì a
Seattle il primo "Independent Media Center" (IMC) allo scopo di
diffondere informazione indipendente in occasione del vertice del WTO
che si sarebbe tenuto in quella città.
Come è noto le manifestazioni contro il vertice si trasformarono
nella "battaglia di Seattle" e divennero l'esplosione di quello che i
mass-media chiamarono "movimento no-global". In quei giorni il centro
funzionò come punto di raccolta di testimonianze e notizie
(foto, filmati, audio, testi) prodotte direttamente dai protagonisti
delle proteste, che furono poi diffuse attraverso vari canali in tutto
il mondo. Il neonato sito web dell'IMC registrò milioni di
contatti e da quel momento in poi lo slogan "don't hate media, become
your media" iniziò a propagarsi, grazie ad Internet, ovunque.
Meno di un anno dopo erano stati fondati già altri IMC a
Città del Messico, a Praga, in Francia e in Belgio, creando le
prime maglie di una vera e propria Rete informativa internazionale.
In Italia la proposta di creare un IMC fu lanciata, nel giugno del
2000, in occasione di una manifestazione organizzata a Bologna contro
una riunione dell'OCSE, l'Organizzazione per la Cooperazione e lo
Sviluppo Europeo. Ma è dopo le giornate del luglio 2001 a Genova
che il sito italiano di Indymedia diventa famoso in tutta la penisola
ed uno dei nodi più attivi dell'intero Network.
La rivoluzione introdotta da Indymedia all'interno del panorama dei
siti web di informazione è stata tra le più radicali,
anche prima del 1999 era ovviamente possibile per un singolo individuo
pubblicare notizie su Internet, ma per fare questo era necessario avere
a disposizione uno spazio e un minimo di conoscenze tecniche.
Con la "pubblicazione aperta" introdotta dagli IMC chiunque ha accesso
ad un computer collegato alla Rete può portare il suo contributo
personale al progetto, alimentando un flusso continuo di comunicazione
alternativo a quella ufficiale. In pratica l'azione diretta irrompeva,
non invitata, nel recinto dei mezzi di comunicazione di massa
portandovi un notevole scompiglio.
E questo ha fatto da subito paura a molti, come dimostrano i numerosi
tentativi di censura operati nel corso degli anni. Ricordiamone
qualcuno: nel 2004 due server sui quali erano ospitati una ventina di
siti del network (tra i quali quello italiano) vennero sequestrati dal
FBI su ordine di un giudice di Bologna. Nel 2005 fu sequestrato dalla
polizia il sito dell'IMC di Bristol. Nel 2006 il Los Angeles Times
rivelò che Indymedia compariva, accanto a "Food Not Bombs" e al
"Communist Party of Texas" in una lista di sorvegliati speciali del
FBI. Nel 2009 è stata spedita ad uno degli amministratori del
sito indymedia.org una ingiunzione legale che ordinava di fornire i
dati utili a identificare tutti coloro che avevano visitato il sito a
partire dal giugno 2008.
Oggi il network internazionale festeggia i suoi primi dieci anni di
vita, contando ancora centinaia di IMC sparsi in tutto il mondo, anche
se alcuni di questi sono inattivi e altri hanno un'attività
davvero ridotta, ma questa è una cosa da considerarsi normale
per una iniziativa che si basa sull'impegno volontario piuttosto che su
un'organizzazione autoritaria e verticistica.
In questi dieci anni il vento è cambiato e l'onda del movimento
di Seattle ha da tempo esaurito la sua spinta, come spesso è
accaduto ad altri movimenti in passato, trasformando in un pallido
fantasma la forza che sembrava avere tra la fine del secolo scorso e
quello corrente. E la Rete internazionale degli IMC ha sicuramente
subito un parallelo ridimensionamento poiché – almeno all'inizio
– era alimentata principalmente proprio da quel movimento. Lo stesso
nodo italiano, dopo aver acquistato una certa notorietà anche
sui media ufficiali, si è trasformato in una serie di IMC
territoriali che però, nonostante le buone intenzioni, dopo tre
anni di lavoro oggi sono pericolosamente in bilico tra la chiusura
definitiva e la trasformazione in qualcosa d'altro.
Nonostante tutti i problemi, restano comunque ancora pienamente validi
i principi fondanti del Network che gli hanno permesso di resistere
fino ad oggi: l'autogestione, la condivisione, l'autonomia. Un metodo
di funzionamento sicuramente molto vicino a quello dell'anarchismo,
applicato allo scopo principale di dare voce a chi non ha
possibilità di accedere ai mezzi di comunicazione ufficiali. E
insieme la consapevolezza della necessità di costruire una rete
planetaria per la comunicazione indipendente, in grado di tenere testa
allo strapotere dei padroni dell'informazione globale. Qualcosa che si
potrebbe definire il "modello Indymedia".
Un modello che in questi anni è stato copiato (male) da
moltissimi altri siti web, sia commerciali sia alternativi, alcuni dei
quali oggi permettono ai loro utenti di pubblicare – ma con notevoli
restrizioni – i propri materiali. Alla fine del 2009, come nel 1999, i
nodi del network Indymedia sono gli unici sui quali è possibile
esprimersi senza censura e senza doversi per forza identificare con
nome e cognome. Un modello questo che ha diversi nemici: da una parte
le strutture di potere (mediatico e politico) sempre pronte a
utilizzare qualsiasi mezzo al fine di ostacolare la comunicazione e
l'informazione libera e dall'altra i gruppi politici autoritari che
spesso spacciano per informazione "indipendente" la loro particolare
visione del mondo.
Sicuramente anche il modello Indymedia ha difetti e problemi:
consentire a chiunque di pubblicare liberamente sul sito espone
inevitabilmente al rischio di ricevere querele da chi si sente
diffamato o che siano pubblicati anche materiali non condivisibili
(fascisti, razzisti, sessisti, ecc...); mantenere in vita un sito senza
ricevere finanziamenti esterni significa doversi impegnare in continue
e faticose campagne di sottoscrizione; far convivere nei collettivi che
gestiscono i siti persone di diverso orientamento politico, non sempre
è facile. Il problema maggiore resta comunque quello di trovare
persone disposte a impegnarsi, a lavorare insieme per continuare a
mantenere attiva la rete. Questo genere di problemi è comune a
tutti gli IMC del mondo e, infatti, in occasione di questo decennale
difficilmente ci sarà un singolo festeggiamento internazionale,
quanto piuttosto piccole iniziative locali con l'obiettivo di
riflettere sul futuro di questo progetto che avrebbe ancora molto da
dare.
Sostenere concretamente Indymedia, oggi come ieri, significa
partecipare pubblicando notizie e informazioni, soprattutto quelle che
sono ignorate o cancellate dai media ufficiali, significa organizzare
anche piccole iniziative per mantenerlo economicamente ma, soprattutto,
significa impegnarsi a partecipare in prima persona alla gestione
collettiva dei siti.
Questo perché l'informazione indipendente ha bisogno di noi e noi dell'informazione indipendente.
Pepsy
Alcuni degli articoli pubblicati su UN a proposito di Indymedia:
Liberi di... tacere (n.8, 0/03/2002) http://www.ecn.org/uenne/archivio/archivio2002/un08/art2067.html
Vilipendio all'intelligenza (n.40, 07/12/2003) http://www.ecn.org/uenne/archivio/archivio2003/un40/art3007.html
Sequestro di stato (n.32, 17/10/2004) http://www.ecn.org/uenne/archivio/archivio2004/un32/art3410.html
Sequestro Indymedia 2. Arrivano gli anarchici (n.33, 24/10/2004)
http://www.ecn.org/uenne/archivio/archivio2004/un33/art3431.html
Il Papa contro Indymedia (n.16, 08/05/2005) http://www.ecn.org/uenne/archivio/archivio2005/un16/art3722.html
Inquisizione di stato (n.17, 15/05/2005) http://www.ecn.org/uenne/archivio/archivio2005/un17/art3734.html
Chiudere per ricominciare (n.40, 10/12/2006) http://www.ecn.org/uenne/archivio/archivio2006/un40/art4517.html