A cura della Commissione Lavoro della Federazione Anarchica Milanese
bel-lavoro@federazioneanarchica.org
"Dopo 9 anni di lotta, siamo riusciti a strappare l'esproprio definitivo".
Questo è il commento festoso e orgoglioso dei lavoratori della
Zenon, uno dei simboli del movimento delle fabbriche occupate in
Argentina, al momento della notizia. Il governo provinciale ha dovuto
cedere, proclamando l'esproprio della fabbrica.
Nel 1998 hanno attivato la commissione interna per lottare contro i
licenziamenti, i maltrattamenti, le umiliazioni, per le condizioni di
sicurezza e igiene, per i salari. Nel 2000, con la pratica della
democrazia diretta, hanno promosso un'organizzazione sindacale al
servizio dei lavoratori.
La Zanon è una fabbrica di ceramiche che, dopo il fallimento del
novembre 2001, ha riaperto grazie alla lotta dei suoi operai riunitisi
nella cooperativa "Fabrica Sin Patrones" (fabbrica senza padroni). In
questi anni la Zanon ha aumentato sia gli occupati da 300 a 450 operai,
sia la produzione mensile, senza le sovvenzioni statali che il
precedente proprietario riceveva ogni mese.
L' occupazione è stata sostenuta con la solidarietà delle
comunità vicine, dei lavoratori nel territorio, delle Madri di
Plaza de Mayo "adottandoli come loro figli", dalla solidarietà
nazionale ed internazionale di compagni che inviavano fondi sciopero
per resistere. È stata consolidata l'unità
operai-studenti, sia delle scuole che delle università.
"La nostra lotta si è sempre basata sulla pratica della lotta di
classe, identificando i governi, i padroni e le burocrazie sindacali
come il nemico dei lavoratori… consideriamo che questa conquista, da
parte di tutto l'insieme della classe dei lavoratori, ha un valore
enorme, e che questo governo che oggi vota l'esproprio della Zanon
è lo stesso che ci ha represso e assassinato i nostri compagni".
"Consideriamo tutto ciò – concludono i lavoratori della Zanon –
un contributo alla trasformazione della realtà, riprendendo il
sogno di tutti i compagni: una società senza sfruttatori
né sfruttati!!"
La Maflaw, azienda metalmeccanica, che produce tubi per
condizionamento per auto, leader mondiale nel settore, è una
multinazionale con 330 lavoratori a Trezzano sul Naviglio (Milano),
circa 100 dipendenti ad Ascoli Piceno, circa 2000 in Polonia, e un
migliaio tra Messico, Brasile, Cina, Spagna, Francia.
Il gruppo ha accumulato circa 250 milioni di debiti; 140 milioni in
Italia, in gran parte grazie ad una spericolata operazione finanziaria
per cui il costo della acquisizione della Manuli da parte del fondo di
"privaty equità ILP" è stato caricato sull'azienda
acquistata.
La Maflow, come conseguenza di tale situazione finanziaria, si trova da
tempo in amministrazione finanziaria straordinaria, con tre commissari
nominati dal Ministero delle attività produttive che dovranno
decidere delle sorti dei lavoratori dipendenti.
Lo stabilimento maggiormente a rischio è quello di Trezzano S.N.
che prevede un suo trasferimento in Polonia, dove il costo del lavoro
è più basso. Tutto questo in conseguenza della scelta da
parte della BMW, il principale cliente, di sospendere la maggior parte
degli ordinativi. Per questo i lavoratori dello stabilimento di
Trezzano hanno promosso una mobilitazione di protesta, molto
partecipata, sotto la sede del consolato tedesco, dove una delegazione
ha richiesto un impegno al ripristino delle commesse da parte della
BMW, che per 10 anni è stata servita in modo qualitativamente
eccellente. I 330 lavoratori, tra i quali la Flmu–Cub è il
sindacato di maggioranza, hanno già in programma un'assemblea in
azienda aperta alla solidarietà della cittadinanza, dei
lavoratori delle altre aziende, per far pressione anche nei confronti
delle istituzioni.
2 febbraio 2008, al supermercato Esselunga di Viale Papiniano a
Milano una delle cassiere chiede la sostituzione per poter andare in
bagno. La risposta del responsabile è negativa. Dopo poco la
richiesta viene nuovamente avanzata, ma la risposta è sempre
negativa. La cosa si protrae per ben un ora e mezza finché, alla
fine, la signora non riesce più a contenersi e si bagna mentre
sta servendo l'ennesimo cliente. Ma le viene ugualmente proibito di
muoversi dal suo posto, tanto che potrà cambiarsi solo a fine
turno, alle 21,30. Il fatto finì sulle pagine dei giornali,
sollevando un notevole vespaio di polemiche.
Ci furono ulteriori e infuocate polemiche e, come risposta, una nutrita
manifestazione di solidarietà dinanzi al supermercato, dopo che,
il 28 delle stesso mese, la cassiera venne aggredita da uno sconosciuto
negli spogliatoi del supermercato, riportando pesanti lesioni (trauma
cranico facciale, distorsione cervicale, ecchimosi alle gambe e
contusione al braccio destro).
Ed ora, a distanza di mesi, la sentenza: archiviazione!
Vengono assolti il direttore, il vicedirettore, il capo cassiere e
l'addetto alla sorveglianza. La GIP ha accolto la richiesta del PM, il
quale, udite, udite, ha sostenuto la «totale mancanza di
attività o volontà persecutoria» da parte dei
denunciati. Non è da considerare un reato (perbacco) vietare per
un'ora e mezzo al dipendente bisognoso di andare al gabinetto. Quanto
poi alle lesioni subite «l'autore del fatto non è stato
identificato e pertanto va accolta la richiesta di
archiviazione». In sostanza non si può parlare di mobbing
dato che «le problematiche che la vittima ha evidenziato appaiono
legate ai disturbi psichici e al suo stato di sofferenza
psicologica».
A conti fatti, se ti costringono a fare la pipì addosso mentre
lavori e poi pure ti menano, non sono loro i cattivi, sei tu che sei
fuori di testa.
(*) osceno e fuorviante titolo dell'articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 17/11/2009
Il sistema delle cooperative è del tutto simile al
caporalato, una copertura legalizzata da leggi e accordi sindacali per
avere lavoratori superflessibili e mal pagati. I ricatti e le
condizioni di lavoro sono ai limiti dello schiavismo, perché ti
possono cacciare da un momento all'altro, non hai alcuna tutela
(neppure la cassa integrazione) e se sei immigrato rischi anche
l'espulsione, a causa della disgustosa Bossi/Fini. Reagire e ribellarsi
è difficile, per lottare ci vuole coraggio e la legislazione
tutela i padroni. Alla Pigna di Bergamo, amministrata dall'onorevole
Jannone del PDL, a fine ottobre due operai pakistani, assunti appunto
tramite cooperativa da ben cinque anni, sono stati brutalmente
licenziati, anche a seguito degli accordi sottoscritti dai sindacati
concertativi.
Per fortuna ogni tanto qualcuno trova la forza e il coraggio di
rispondere a queste meccanismo infernale. I due operai hanno iniziato
una vertenza per riconquistare il posto di lavoro e smascherare la
reale funzione di caporalato che queste cooperative troppo spesso
svolgono. L'FLMU–CUB (insieme alla Cub immigrazione) sta sostenendo
questa battaglia, che rientra nella più generale difesa dei
posti di lavoro e della lotta contro il precariato. Per mettere gli
operai immigrati, ancora disoccupati, nelle condizioni più
favorevoli per resistere fino alla conclusione positiva della vertenza,
è stata anche aperta una raccolta di fondi.
Nel corso della Conferenza mondiale sull'amianto tenutasi a Taormina
(Messina) i ricercatori Ispesl (Istituto Superiore per la Prevenzione e
Sicurezza del Lavoro) denunciano che in Italia ci sono 4 mila morti
l'anno per esposizione all'amianto e che il dato è destinato a
crescere. Tra il 2015-2018 è previsto un picco di vittime.
"Uno degli obiettivi principali della conferenza – si sottolinea dai
ricercatori – è quello di bandire l'amianto a livello
internazionale per non creare discrepanze tra i paesi industrializzati
e i paesi in via di sviluppo. Intendiamo sollecitare interventi di
bonifica e di prevenzione per la sicurezza e la salute dei lavoratori e
degli ambienti di vita in quanto sono previsti in Italia più di
27 mila siti contaminati da amianto".