Dal 7 al 18 dicembre si terrà a Copenhagen la XV Conferenza
ONU sul Cambiamento Climatico (COP15), che dovrà trovare un
successore al Trattato di Kyoto. Sarà, secondo tutte le
previsioni, il più grande vertice sul cambiamento climatico di
sempre. E come al solito si fingerà di avere a cuore il destino
del mondo e di voler cambiare rotta per non cambiare nulla!
La Conferenza è chiamata a negoziare un nuovo trattato per
impegnare l'intera comunità internazionale ad assumere misure in
grado di fermare il riscaldamento globale e l'accordo dovrebbe
sostituirsi al Protocollo di Kyoto, il primo timido tentativo fatto in
ambito ONU per contrastare i cambiamenti climatici.
Ma, al di là dei soliti dibattiti triti e ritriti sul fallimento
o meno della conferenza da parte dei pochi illusi che ancora credono
che un cambiamento dall'alto sia possibile, quel che pare certo
è che la conferenza di Copenhagen non si concluderà con
un nuovo trattato vincolante, ma solo con un accordo politico e che di
un trattato se ne riparlerà nel 2012. Quindi anche i fautori di
soluzioni prese dai padroni del mondo – e con loro tutte quelle
associazioni ambientaliste che ancora si ostinano a praticare una
semplice politica riformista di riduzione del danno attraverso la
richiesta di sistemi legislativi più 'verdi' – rimarranno
profondamente delusi!
Il fallimento della conferenza non dovrà stupire troppo,
perché esso appare del tutto coerente con il modo in cui da
sempre i responsabili della politica mondiale si sono posti di fronte
alla crisi ecologica. Dapprima, per decenni, i governi hanno negato
l'esistenza stessa di una crisi; in seguito ne hanno riconosciuto la
realtà solo quando è scattato l'allarme di esaurimento
delle energie fossili. In ogni caso non hanno mai considerato la crisi
ecologica nella sua globalità, ma hanno concentrato la loro
attenzione soltanto sul mutamento climatico che, sebbene sia certamente
portatore di conseguenze gravissime, non è il solo elemento
critico (basti pensare tra gli altri alla diminuzione costante di acqua
dolce, alla continua e crescente produzione di rifiuti, tra cui scorie
tossiche e radioattive, al degrado del suolo con conseguenti effetti
disastrosi, ecc.). Infine hanno individuato in ciò che chiamano
green economy lo strumento primario di soluzione della questione
ambientale, trovando così il modo di promuovere per
l'ennesima volta una nuova crescita produttiva al servizio del
capitalismo globale: insomma la solita favola del capitalismo dal volto
umano, a cui per l'occasione si aggiunge anche l'aggettivo verde, per
nascondere le ingiustizie del sistema economico imperante, il cui
obiettivo continua inevitabilmente ad essere la crescita dei prodotti e
dei consumi e il cui elemento fondante consiste nello sfruttamento di
un essere umano sull'altro e – come Bookchin ci ha mostrato – sulla
natura.
C'è chi dice giustamente che in realtà COP15 è
già diventata una fiera del commercio di CO2 con conferenza
annessa, essendo stata tramutata nei fatti nell'Organizzazione Mondiale
del CO2mmercio, nel "WTO del clima". Basti pensare ad esempio al
meccanismo che permette a chi non è in regola con i propri
obiettivi di riduzione dei gas serra di acquistare quote di CO2
tagliata da chi è stato invece particolarmente virtuoso oppure
da chi ha ottenuto un pacchetto di crediti per ragioni politiche. Credo
sia evidente l'assurdità di cercare soluzione ai mutamenti
climatici attraverso la vendita di più o meno diritti a
inquinare e la conseguente esplicita riduzione a merce di aria, acqua,
foreste, territorio, ecc.
D'altronde tutto, assolutamente tutto, può essere venduto e
comprato all'interno del capitalismo, e perfino il cambiamento
climatico è diventato un business. Ed è paradossale
pensare che proprio i fautori del riscaldamento climatico, di una corsa
sfrenata al saccheggio dell'ambiente e della salute di tutti noi
possano invertire questa tendenza! Basta guardare all'Italia dove, dopo
il business dei rifiuti, le ecomafie, la privatizzazione dell'acqua, i
mega aeroporti, le centrali a carbone, la TAV, – come se non bastasse –
oggi si riparla di energia nucleare!
Però non tutto il male vien per nuocere e l'inevitabile
fallimento di Copenhagen può essere un'occasione storica, da un
lato, per sottolineare l'evidente inadeguatezza dell'attuale politica
ecologica mondiale, funzionale alla conservazione del sistema che della
stessa crisi planetaria è responsabile; e, dall'altro, per
mettere in luce la necessità, di fronte a problemi sempre
più incombenti, di una radicale trasformazione della
società che all'oppressione e allo sfruttamento sostituisca il
mutuo appoggio, la democrazia diretta e l'autogestione, consapevoli che
la crisi del clima è una crisi del sistema.
Ed è, spero, sulla scia di considerazioni come queste che, dieci
anni dopo Seattle, ancora una volta numerosi attivisti e attiviste di
tutto il mondo si ritroveranno a Copenhagen – ma non solo – per
contestare questo vertice e proporre le alternative che i movimenti dal
basso stanno sperimentando in tutte le parti del pianeta. Per chi
volesse recarsi a Copenhagen, Climate Justice Action (CJA), la rete
mondiale dei movimenti di giustizia climatica, ha redatto un utilissimo
opuscolo con tutte le informazioni pratiche, disponibile su internet.
Selva