In occasione del 40° anniversario della strage di Piazza Fontana
avvenuta il 12 dicembre 1969 a Milano molte saranno le
iniziative, sia istituzionali che di denuncia. Credo che da parte
anarchica l'intenzione che si manifesterà non avrà nulla
di sottinteso: l'obiettivo sarà quello di rendere visibile la
continuità di una politica che ha al centro del proprio
interesse il mantenimento di prerogative e poteri dei ceti dominanti,
per garantire il quale nulla è precluso.
Non a caso abbiamo scritto "40 anni di stragi, menzogne e repressione"
perché è proprio a partire dalla strage di Piazza Fontana
del 12 dicembre 1969 che si dipana con maggior forza l'operazione
politica che, con stragi, minacce di colpi di stato, leggi
eccezionali, provocazioni, manipolazioni mediatiche, è riuscita
a garantire, almeno fino ad oggi, gli assetti di potere, ridisegnando
il sistema dei partiti, cloroformizzando e recuperando le
organizzazioni sindacali maggioritarie, emarginando e criminalizzando i
'non sottomessi'.
Infatti, dalla stagione delle stragi e delle minacce golpiste, alla
dura repressione dei movimenti di questi anni, alla ripresa
dell'attività nazifascista, alla sindrome securitaria con la sua
legislazione d'emergenza e la criminalizzazione dei migranti, un filo
si snoda ininterrottamente fino ad oggi: il filo di una politica che,
al di là di alcuni aggiustamenti di facciata, mantiene
inalterato il suo carattere autoritario e classista.
La spinta proletaria e la contestazione giovanile, che dal luglio del
1960 in un crescendo continuo fino alle lotte operaie e studentesche
del 1968/'69, avevano scosso dalle fondamenta il potere borghese, si
dovettero misurare con una reazione belluina che non ebbe alcun timore
di ricorrere alle bombe pur di fermare il movimento – nel quale gli
anarchici avevano una presenza significativa - e di riportarlo
all'ordine.
Le prime bombe sono quelle del 25 aprile 1969 a Milano: una al
padiglione della Fiat della Fiera campionaria e l'altra all'Ufficio
cambi della Banca nazionale delle comunicazioni della Stazione
ferroviaria centrale. I feriti, non gravi, sono alcune decine. Accusati
ed arrestati un gruppo di sei anarchici, che solo nel 1971 vedranno
riconosciuta la loro estraneità ai fatti.
Altre bombe, dieci, vengono piazzate il 9 agosto su altrettanti treni:
otto scoppiano provocando 12 feriti. Cresce la campagna di stampa
individuando negli anarchici i responsabili di tali azioni criminali.
Per inciso: per tali bombe verrà poi incriminato un gruppo di
neonazisti.
Il 12 dicembre 1969 avviene poi quella che sarà definita "la
madre di tutte le stragi": in piazza Fontana nel centro di Milano,
all'interno della Banca dell'Agricoltura, una bomba esplode dilaniando
14 persone e ferendone 78. Un'altra bomba viene ritrovata alla Banca
Commerciale di Milano ed altre ancora esplodono all'Altare della patria
a Roma. Immediatamente le indagini si dirigono contro gli anarchici e
la grande stampa borghese scatena una campagna d'ordine. Avvengono
centinaia di fermi, di perquisizioni e di interrogatori di militanti
anarchici e della sinistra rivoluzionaria.
Si tratta di una provocazione ordita ad arte sulla pelle dei componenti
di un circolo anarchico romano costituitosi da poco, il 22 marzo,
pesantemente infiltrato da poliziotti, carabinieri e fascisti il cui
esponente di spicco è l'anarchico milanese Pietro Valpreda, che
in quel giorno si trovava nella sua città natale, convocato per
un processo per un volantino anticlericale! La provocazione, che doveva
innescare una reazione fascista di piazza tale da giustificare il
ricorso a misure eccezionali quali la sospensione delle libertà
costituzionali e l'intervento dell'esercito, trovò però
un primo ostacolo nel muro di popolo accorso ai funerali delle vittime.
Non solo: le contraddittorie versioni date dalla polizia e dal potere
politico sulla morte dell'anarchico milanese Giuseppe Pinelli, avvenuta
nella notte tra il 15 ed 16 dicembre, dopo essere precipitato dal
quarto piano della questura di Milano, durante il suo interrogatorio ad
opera del commissario Calabresi e della sua squadra, contribuirono a
mettere in crisi il velo di menzogne che stava alla base dell'intera
operazione costringendo l'opinione pubblica a misurarsi con la
realtà delle cose al di là delle manipolazioni del
potere. La versione del 'suicidio' di Pinelli non resse alla prova dei
fatti ed il suo assassinio divenne successivamente un dato acquisito
nella maggior parte dell'opinione pubblica.
Il 17 dicembre una conferenza stampa degli anarchici milanesi che si
ritrovavano nel 'Circolo Ponte della Ghisolfa' denunciò la
strage come 'Strage di Stato', un'espressione che successivamente
divenne patrimonio pubblico, rivendicò la libertà per
Valpreda e compagni e accusò la polizia della morte di Pinelli,
un vero e proprio assassinio.
Furono anni quelli di mobilitazione continua contro nemici potenti ed
agguerriti, interni ed esterni, in un mondo segnato dalla divisione in
blocchi, dalla guerra cosiddetta fredda, da un susseguirsi di colpi di
stato – dalla Grecia nel 1967, alla Cecoslovacchia nel 1969, al Cile
nel 1973 – dal sedicente confronto tra capitalismo e 'comunismo', che
mascherava in realtà un'unitarietà d'azione contro gli
sfruttati e gli oppressi di tutti i paesi.
Smascherare le menzogne di Stato divenne una necessità assoluta,
non tanto e non solo riguardo al fatto specifico, ma per conquistarsi
un'agibilità sociale che veniva ridotta e negata dalla sua
azione manipolatoria e repressiva.
Gli anarchici, dapprima soli, trovarono al loro fianco intellettuali
progressisti, esponenti onesti della società civile,
giornalisti, e progressivamente le forze della sinistra rivoluzionaria
e persino settori di quella riformista ed istituzionale.
La strage di piazza Fontana sarà oggetto di indagini varie, di
inchieste giornalistiche, di speculazioni di vario tipo e di manovre
politiche, originando processi interrotti, ripetuti, spostati,
caratterizzati dall'occultamento deliberato della verità
attraverso protezioni, silenzi, menzogne, in un contesto di bombe e
stragi, come quelle del 22 luglio 1970 e del 4 agosto 1974 ai treni
(complessivamente 18 morti e 187 feriti), del 31 maggio 1972 (Peteano,
autobomba contro i carabinieri, della quale si autoaccuserà un
militante neonazista), del 28 maggio 1974 (Brescia, bomba contro una
manifestazione sindacale, 8 morti ed un centinaio di feriti), del 2
agosto 1980 alla stazione di Bologna (85 morti e 200 feriti), di
assassinati durante le manifestazioni di denuncia come quella del 12
dicembre 1970 (Milano, lo studente Saverio Saltarelli da parte della
polizia), di atti controversi come quello dell'assassinio del
commissario Luigi Calabresi (17 maggio 1972) per il quale verranno
accusati nel 1988 militanti del gruppo dell'estrema sinistra Lotta
Continua.
Valpreda e compagni verranno scarcerati il 30 dicembre 1972 dopo tre
anni di carcere ed una legge approvata in Parlamento dietro l'impulso
dell'indignazione popolare: verrà poi riconosciuta la loro
totale estraneità ai fatti in un successivo processo. I
neonazisti Franco Freda e Giovanni Ventura, insieme ad agenti e
dirigenti del servizio segreto, verranno prima condannati e poi
definitivamente assolti in una sequenza di ben sei processi che si
terranno in varie città (Roma, Milano, Catanzaro, Bari) dal 1972
al 1991.
Intanto una nuova inchiesta verrà aperta a Milano nel 1989 e si
concluderà con il rinvio a giudizio di un gruppo di neonazisti
facenti capo ad Ordine Nuovo del Veneto in combutta con servizi segreti
americani e italiani. Condannati all'ergastolo in prima istanza
verranno successivamente e definitivamente prosciolti da una sentenza
della Corte di Cassazione che pur riconoscendo la matrice neonazista
della strage non ne individuò gli esecutori materiali. Per
concludere, i familiari delle vittime della strage avrebbero dovuto
anche pagare le ingenti spese processuali! Lo Stato non condanna se
stesso. E' il 3 maggio 2005.
Per quanto riguarda la vicenda di Giuseppe Pinelli registriamo subito
l'archiviazione della sua morte come 'fatto accidentale' da parte del
giudice istruttore e la riapertura del caso grazie alla martellante
campagna di stampa del settimanale 'Lotta Continua' che indicando nel
commissario Calabresi il principale responsabile dell'assassinio di
Pinelli lo costringe, di fatto, a querelare il direttore responsabile
del periodico, Pio Baldelli. Nel processo che seguirà, si
evidenzieranno le palesi contraddizioni dei poliziotti presenti nella
stanza a tal punto da far sospendere il processo con scuse risibili.
Sarà la vedova di Pinelli a riportare in tribunale il
commissario ed i suoi sottoposti nell'ottobre del 1971, accusandoli
dell'assassinio del nostro compagno, ma il processo verrà
interrotto con l'omicidio del commissario nel maggio del 1972.
L'inchiesta giudiziaria proseguirà ed il 27 ottobre 1975 il
giudice progressista Gerardo D'Ambrosio, diventato poi famoso per 'Mani
pulite' e successivamente parlamentare per il Partito Democratico, la
chiuderà con una sentenza paradossale: per non incolpare i
poliziotti e non riconoscere la loro versione del suicidio si
inventerà un 'malore attivo', un malore cioè che, causato
dallo stato di stress in cui si trovava, avrebbe spinto Pinelli a
saltare la balaustra della finestra e cadere nel vuoto. Una sentenza
scandalosa che si può capire solo con il clima politico di
allora caratterizzato dal compromesso storico teorizzato dal Partito
Comunista Italiano interessato ad un rapporto di collaborazione con il
partito dominante, la Democrazia Cristiana, nel cui seno si trovavano
gli ispiratori delle stragi. Il caso Pinelli avrebbe potuto disturbare
i manovratori.
Ed è forse per il disagio che questa vicenda ha lasciato in
molti protagonisti di allora che questa primavera il presidente della
Repubblica, Napolitano, già prestigioso militante del PCI, ha
voluto invitare la vedova Pinelli ad una cerimonia pubblica in ricordo
delle vittime del terrorismo, annoverando quindi il nostro compagno tra
le vittime di quella strategia stragista antipopolare.
Noi continueremo comunque nel nostro impegno nel ricordare che 'la
strage fu di Stato' e per rivendicare la verità sull'assassinio
di Pinelli in sintonia con l'impegno totale del movimento anarchico di
allora teso a spezzare l'isolamento politico in cui la manovra
stragista voleva metterlo. Un impegno che nella sua sostanza si
ricollega a grandi linee con quanto è successo nei confronti del
movimento cosiddetto no-global, con l'uso della provocazione e della
repressione dura rispetto alle manifestazioni di piazza. Quanto
è successo a Napoli e a Genova nel 2001 durante le
manifestazioni contro il G8 e le cui dinamiche si sono evidenziate nei
processi in corso, la dicono lunga sulla volontà politica di
garantire lo status quo, a costo di spargere menzogne e falsità.
Gli armadi della Repubblica sono pieni di queste menzogne e di queste
operazioni speciali, ma anche la nostra memoria è piena dei
fatti ad essi collegati.
La necessità di riproporre il senso ed il significato di quella
storia, almeno in alcuni dei suoi punti salienti, appare quindi
centrale in questa fase con l'obiettivo non solo di ricordare alcuni
fatti e alcune figure che hanno segnato il nostro tempo, ma di
delineare una cornice di riferimento dalla quale far ripartire una
critica radicale sempre più condivisa in un contesto dominato
dalla sindrome securitaria figlia della guerra infinita e della grande
menzogna che le sta a monte, funzionale alla strumentalizzazione dei
fatti e all'annichilimento delle coscienze. In sostanza al mantenimento
dello sfruttamento e dell'oppressione.
Massimo Varengo