A cura della Commissione Lavoro della Federazione Anarchica Milanese
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Il boom edilizio che negli ultimi anni ha interessato gli Emirati
arabi del Golfo, tra questi in particolar modo a Dubai, ha alla sua
base un elemento ben poco noto ed assai meno edificante. Sono le
centinaia di migliaia di immigrati che dall'India, Pakistan,
Bangladesh, Nepal, Filippine in questi anni sono accorsi in cerca di
lavoro e fortuna. Dopo avere affrontato i disagi di un viaggio di
migliaia di chilometri, all'arrivo hanno però scoperto che
l'Eldorado loro promesso era in realtà un Inferno fatto di
giornate di lavoro di dodici ore e più, di passaporti
sequestrati e diritti negati pena l'intervento della polizia e
l'espulsione immediata, di paghe bassissime (Human Rights Watch cita
come normale uno stipendio di 100 Sterline al mese contro le 1.500
pagate ai lavoratori locali). Per finire, debiti contratti con i datori
di lavoro, riducendo i migranti in condizioni tali che nel solo 2007 si
sono verificati un centinaio di casi di suicidio. Queste condizioni
spaventose di lavoro hanno però sovente spinto gli immigrati ad
organizzarsi per reclamare migliori condizioni di lavoro: ad esempio,
già nel 2005 e nel 2006 si erano verificati scioperi nei
cantieri. Ma il caso più noto si è verificato il 6
Novembre 2007 quando 4.500 lavoratori Indiani, impegnati nella
costruzione del grattacielo più alto di Dubai, posarono gli
attrezzi di lavoro chiedendo un immediato aumento di circa 130 dollari
in aggiunta ai soli 190 dollari della loro paga. Una volta soddisfatte
le richieste hanno spinto le autorità di Dubai, prese alla
sprovvista e spaventate dalla rivolta, ad emanare una direttiva che
obbligava i datori di lavoro a garantire salari e condizioni di
lavoro decenti ai loro dipendenti.
L'osceno clima di razzismo che regna in Italia ha inevitabilmente
prodotto la sua ennesima vittima. Dopo Ion Cazacu, immigrato rumeno
ucciso con il fuoco nel 2000 a Gallarate, perché aveva chiesto
di essere regolarizzato, dopo Said, immigrato Egiziano ucciso a colpi
di fucile dal figlio del suo datore di lavoro nel 2008 a Gerenzano
(Va), perché aveva osato reclamare il pagamento degli stipendi
arretrati, dopo altri casi in cui lavoratori immigrati, rimasti ignoti,
sono stati ritrovati uccisi in qualche cantiere edile e poi
abbandonati, oggi è toccato a Ibrahim M'bodi. Lavoratore edile
senegalese di 35 anni che è stato ucciso ai primi di Dicembre
con nove coltellate da Michele D'Onofrio. L'ennesimo padroncino
schiavista che ha poi abbandonato il cadavere in un fosso delle risaie
di Arborio (Vc) come se fosse un sacco a perdere. La colpa di Ibrahim?
Aveva chiesto di essere pagato, aveva reclamato il salario arretrato di
tre mesi di lavoro. Per questo è stato ucciso, in un Paese che,
mentre sguinzaglia le forze dell'ordine alla caccia dell'immigrato
irregolare in nome di Legge e Ordine, al tempo stesso permette, anzi,
facilita lo sfruttamento più bestiale dei lavoratori migranti
come Ibrahim. A costoro vengono riservate solo occupazioni in nero
oppure al limite della tanto sbandierata "Legalità", con
stipendi al minimo salariale e mansioni ormai rifiutate dagli Italiani.
Esseri umani dei quali, quando non servono più al "Sistema
Italia", ci si sbarazza volentieri, cacciandoli in un CIE oppure, come
nel caso di Ibrahim, uccidendoli.
Dall'ora zero della mezzanotte tra venerdì e sabato 5
dicembre, fino alle 24 di domenica 6 dicembre 2009, per un totale di 48
ore, i lavoratori di DOM-PLA Srl e della CAMAR, le ditte che svolgono
la cosiddetta "rimozione forzata" degli autoveicoli per conto del
Comune di Milano e in ausilio della Polizia Locale, hanno scioperato.
"Vogliamo ricordare che questo servizio è essenziale per la
rimozione delle auto per le fughe di gas, fermi mezzi ATM e ausilio ai
vigili del fuoco" – sottolineano i responsabili di CUB-Trasporti – che
hanno indetto la mobilitazione. I motivi principali dello sciopero
risiedono nel fatto che il 31/12/2009 termina la deroga dell'appalto e
può essere procrastinata al massimo per il mese di gennaio 2010,
senza che si sappia niente sulla gara di appalto.
Tutto questo rappresenta una grave incognita sul futuro dei lavoratori
occupati. Pertanto viene chiamato in causa la responsabilità del
vice sindaco De Corato, con la sua recente nomina come responsabile ai
trasporti, affinché "dia risposte concrete alla cittadinanza e
ai lavoratori, e alle loro famiglie, che, a un mese della scadenza del
citato appalto, il Comune non ha ancora reso noto". Sabato mattina,
dalle ore 10, i lavoratori in sciopero si sono trovati in piazza
Fontana per rendere pubblica la loro protesta.
Alla Alfa di Arese i lavoratori resistono contro la FIAT
Una vecchia conoscenza del capitalismo italiano, la Fiat: un'azienda
che negli anni ha accumulato enormi profitti e che mai ha avuto il
minimo di interesse e attenzione verso i propri lavoratori. Con il
passare del tempo, naturalmente, la situazione non è migliorata.
Adesso i vertici del colosso di Torino hanno fissato le loro attenzioni
sull'enorme possibilità speculativa offerta dal polo Alfa Romeo
di Arese. In questa zona, nel 2015, si terrà l'Expo e per i
rapaci avvoltoi della Fiat l'occasione di business è assai
ghiotta. Nonostante accordi e promesse, anche con le amministrazioni,
mille posti di lavoro a rischio: l'idea è quella di un
licenziamento di massa per lasciare, dove sorge ora lo storico
stabilimento, solo un museo, a triste ricordo del passato. Per fortuna
agli operai dell'Alfa non difetta la determinazione e la voglia di
lottare e anche la scorsa settimana sono state diverse le scadenze di
lotta e di protesta per difendere la storica fabbrica e i relativi
posti di lavoro. La prima iniziativa, insieme agli operai della Innova
Service (la società che ha assunto circa 70 lavoratori ex Fiat
anch'essi a rischio licenziamento) ha bloccato la portineria sud ovest
dello stabilimento e da lì si è diretta, attraverso la
trafficata arteria della "Varesina" verso il vicino comune di
Garbagnate Milanese, dove in un'affollata assemblea coi cittadini del
paese (molti dei quali hanno lavorato all'Alfa) è stata spiegata
la vertenza. Nello stesso giorno una delegazione dello Slai Cobas
ha chiesto la parola ad un incontro con le rappresentanze dei comuni
proprio sul tema dei programmi Alfa Romeo – Expo 2015. Infine,
lunedì scorso una nuova manifestazione di fronte all'ingresso
principale dell'Alfa. Gli operai non mollano, il progetto speculativo
della Fiat non passerà tanto facilmente.
Prendono soldi dallo stato, cercano qualche complice più o meno credibile, licenziano, e vanno a speculare nel terzo mondo. Sarebbe ridicolo se non fosse tragico e non riguardasse la vita di più di 2000 persone. La crisi non c'entra perché commesse e fatturato sono in aumento e i profitti vanno a gonfie vele. Eppure i padroni chiudono le fabbriche e le trasferiscono in paesi dove lo sfruttamento è ancora più facile e impunito. La lunga tradizione calzaturiera del Salento conta poco per l'avidità dei nostri capitalisti. Tricase, Casarano e altri centri della provincia di Lecce stanno subendo un vero e proprio attacco alla dignità dei lavoratori. Le istituzioni locali, che hanno sempre concesso finanziamenti e benefici, non fanno nulla per frenare questa vergogna, i sindacati confederali danno l'ok ai licenziamenti e al calzaturificio Adelchi hanno addirittura approvato un accordo che a fronte di 806 persone in cassa integrazione e 2000 licenziati prevede il reintegro in fabbrica di 10 operai! Pare che i padroni del Salento stiano ancora brindando... Per fortuna qualcuno sceglie di non piegare la testa e di reagire. Sostenuti dalla CUB, i lavoratori dell'Adelchi chiedono l'immediata riapertura della fabbrica (con tutti i 2.800 lavoratori) e la restituzione di tutti i soldi che, con la scusa di creare occupazione, i padroni hanno ricevuto in tutti questi anni dallo stato.