"Si è rivelato un flop lo
sciopero del pubblico impiego sostenuto dalla sola Cgil. I dati
rilevati nei posti di lavoro, evidenziano infatti una partecipazione
molto inferiore a quella annunciata dai promotori: su base nazionale la
percentuale complessiva si è attestata sul 9,97%.
Pochissimi dunque i lavoratori pubblici ad incrociare le braccia, poco più di 150 mila su oltre 1 milione e mezzo.
Con qualche differenza tra i vari
settori. Bassa soprattutto l'adesione nei due comparti più
consistenti del pubblico impiego, sanità e autonomie locali, nei
quali non è stata infranta neanche la soglia del 10%. In
sanità dei 686.518 addetti solo l'8,89% si è astenuto dal
lavoro, mentre nelle autonomie locali hanno scioperato 51.620 persone
su oltre 520 mila (9,92%).
Percentuali molto contenute anche
nelle amministrazioni centrali: con la sola eccezione degli enti
pubblici non economici (16,80%), che nel complesso impiegano meno di 60
mila lavoratori, hanno aderito meno del 15% dei lavoratori. Nei
ministeri hanno scioperato meno di 21 mila lavoratori su 189 mila
(11,06%) e nelle agenzie fiscali meno di 7 mila su 54 mila (12,80%)."
(Dal sito CISL Funzione Pubblica)
"Sono 180mila i lavoratori della
conoscenza di scuola, università, enti di ricerca e di alta
formazione, e i dipendenti pubblici dei ministeri, degli enti locali,
della sanità e di tutte le funzioni dello stato che oggi hanno
sfilato in tre cortei a Roma, Milano e Napoli."
(Dal sito CGIL Funzione Pubblica)
Lo ha detto il ministro Renato
Brunetta, a Padova, spiegando che "vi ha aderito il 9,5% dei dipendenti
pubblici, un numero inferiore agli iscritti della Cgil. Insomma, uno
sciopero senza capo né coda".
(Ansa più varie agenzie)
Questo sostanzialmente dovrebbe essere il quadro dello sciopero della
Funzione Pubblica indetto dalla CGIL, cifra più cifra meno.
Il primo dato riguarda il numero reale degli scioperanti: a detta di
molti davvero basso. Molti della CGIL, anche dove presto lavoro io
(Provincia di Genova) come appaltato di cooperativa, non hanno
scioperato, altri, mestamente, lo hanno fatto per dovere di
organizzazione.
Se questo sciopero non sarà ricordato come uno degli eventi
più riusciti del comparto pubblico CGIL, avrà però
un'utile funzione come indicatore del peso specifico e della
capacità di attrarre che la CGIL si è costruita in questo
comparto, come in altri presumibilmente, negli ultimi anni.
Veniamo al dunque: la CGIL è giunta ad un bivio epocale, da essa
stessa costruito, assieme ad altri soggetti, nel nome della cogestione
governativa e padronale. Questo bivio è costituito da due
strade: la prima, quella maestra, continua sostanzialmente l'opera
intrapresa fino ad ora e va direttamente dove ci sono già CISL,
UIL e UGL. L'altra, più stretta, non ha sbocchi certi, ma
richiede una certa dose di coraggio, qualità che non sembra
caratterizzare i pavidi burocrati cigiellini, la possibilità di
perdere parte delle bende e prebende conquistate sino ad ora e quindi
soldi, servizi, distacchi, sedi, insomma posti di lavoro. Questa
seconda ipotesi, alquanto impervia nonché incerta richiederebbe
alla CGIL di virare di almeno 180 gradi rispetto a quanto svolto negli
ultimi trenta anni e di provare ad inerpicarsi nella faticosa strada
del conflitto sociale e di classe. Cosa alquanto faticosa sia per i
primi dei motivi citati poc'anzi sia perché quando non si
è più abituati a fare una o più cose è
alquanto difficile impararle nuovamente daccapo.
In secondo luogo richiederebbe un cambiamento fondamentale della forma
mentis adottata sino ad ora. In terzo ed ultimo luogo alcuni
potrebbero, come detto sopra rischiare il posto sindacale, e forse
tornare a lavorare, ahimè, in qualche angusta fabbrica, ufficio
o altro del genere.
La prima strada ha come contropartita lo svantaggio di menomare una
finta identità di difesa dei lavoratori, di non farla sembrare
più di sinistra, ma soltanto quello che è realmente,
ovvero un apparato di co-gestione al ribasso dei diritti e dei soldi
dei lavoratori. In questa ipotesi la CGIL potrebbe, ma non so quanto,
perdere manciate di iscritti a favore del sindacalismo di base ed in
particolare di quello neo-costituendo RDB-SDL-SNATER ecc., a patto che
questi riesca a garantire preventivamente posti di lavoro solidi e non
soltanto promesse.
Di qui si capisce perché scioperano e perché lo fanno in
malo modo: si muovono per comparti, mai assieme, e tentano di
rivendicare una presunta autonomia simbolica ed identitaria dalla nuova
triplice CISL, UIL e UGL, senza però perdere la tenerezza sia
nei confronti dei padroni che verso il governo.
I lavoratori, poi, essi stessi vittime consapevoli, quand'anche non
promotrici, del sistema di compartimentazione corporativa delle
carriere e dei premi di produzione, si mobilitano o per ancoraggio
ideologico, sempre più raro, o perché sono rimasti fuori
dalla mischia, o perché soffrono realmente dell'impoverimento
collettivo. Se non pensano di trarne vantaggio o se pensano solamente
che un ulteriore perdita di salario possa compromettere l'ulteriore
impoverimento di vita o se ritengono che ai fini di passaggi personali
di carriera la cosa non convenga, se ne stanno bellamente al lavoro. E,
in questo senso, i modelli estremi di cogestione della CISL e della UIL
sono già mentalmente vincenti, ovvero rispondono in maniera
più determinata anche a ciò che la CGIL ha contribuito a
produrre: modelli di disuguaglianza effettiva tra lavoratori.
Per ora non vedo altro, ma credo che il loro prossimo congresso
primaverile li porti dove devono andare, in attesa di un più
comprensivo governo centrista a venire.
Sull'Onda. Che gli studenti partecipino ad uno sciopero generale che
coinvolge anche la scuola non mi stupisce, né mi scandalizza: se
c'è un'occasione la si prende al volo. Quanto poi il movimento
studentesco sia autonomo da partirti, sindacati e quant'altro non
è dato di saperlo. Credo che si differenzi da posto a posto, da
situazione a situazione, ma penso che, di fondo, il movimento
studentesco non abbia mai discusso, se non in piccole frange, di quali
realtà sindacali appoggiare e perché. Quindi, e
giustamente per loro, ogni occasione è buona, poi quanta strada
si faccia è un altro discorso. Sulle pratiche di piazza, gli
scontri ecc: non ho mai pensato che il tasso di violenza messo in campo
determini il livello dello scontro sociale in atto né la
qualità dello stesso, altrimenti bisognerebbe pensare che tutte
le volte che gli ultras si pestano con la polizia questo sia un segnale
di ripresa conflittualità sociale. Il corpo a corpo ed altra
pratiche fisiche in manifestazioni non sono nuove ed hanno diverse
tradizioni politiche. Forse inizierò a pensare che le cose
staranno per cambiare quando vedrò le famosissime massaie di
Voghera scendere in piazza dure ed arrabbiate quanto mai, senza
apparati di alcun tipo a sostegno (so che siamo tutti contro lo
spontaneismo antiorganizzatore, velleitario e inconcludente quanto mai,
ma per favore non raccontiamoci quella dell'uva sui grandi risultati
raggiunti dalle organizzazioni nostrane). Fino ad allora dovremmo
interpretare il tutto come un noioso risiko della politica nostrana.
Pietro Stara