Umanità Nova, n.45 del 20 dicembre 2009, anno 89

Risiko o sciopero di ruolo?


"Si è rivelato un flop lo sciopero del pubblico impiego sostenuto dalla sola Cgil. I dati rilevati nei posti di lavoro, evidenziano infatti una partecipazione molto inferiore a quella annunciata dai promotori: su base nazionale la percentuale complessiva si è attestata sul 9,97%.
Pochissimi dunque i lavoratori pubblici ad incrociare le braccia, poco più di 150 mila su oltre 1 milione e mezzo.
Con qualche differenza tra i vari settori. Bassa soprattutto l'adesione nei due comparti più consistenti del pubblico impiego, sanità e autonomie locali, nei quali non è stata infranta neanche la soglia del 10%. In sanità dei 686.518 addetti solo l'8,89% si è astenuto dal lavoro, mentre nelle autonomie locali hanno scioperato 51.620 persone su oltre 520 mila (9,92%).
Percentuali molto contenute anche nelle amministrazioni centrali: con la sola eccezione degli enti pubblici non economici (16,80%), che nel complesso impiegano meno di 60 mila lavoratori, hanno aderito meno del 15% dei lavoratori. Nei ministeri hanno scioperato meno di 21 mila lavoratori su 189 mila (11,06%) e nelle agenzie fiscali meno di 7 mila su 54 mila (12,80%)."
(Dal sito CISL Funzione Pubblica)

"Sono 180mila i lavoratori della conoscenza di scuola, università, enti di ricerca e di alta formazione, e i dipendenti pubblici dei ministeri, degli enti locali, della sanità e di tutte le funzioni dello stato che oggi hanno sfilato in tre cortei a Roma, Milano e Napoli."
(Dal sito CGIL Funzione Pubblica)

Lo ha detto il ministro Renato Brunetta, a Padova, spiegando che "vi ha aderito il 9,5% dei dipendenti pubblici, un numero inferiore agli iscritti della Cgil. Insomma, uno sciopero senza capo né coda".
(Ansa più varie agenzie)

Questo sostanzialmente dovrebbe essere il quadro dello sciopero della Funzione Pubblica indetto dalla CGIL, cifra più cifra meno.
Il primo dato riguarda il numero reale degli scioperanti: a detta di molti davvero basso. Molti della CGIL, anche dove presto lavoro io (Provincia di Genova) come appaltato di cooperativa, non hanno scioperato, altri, mestamente, lo hanno fatto per dovere di organizzazione.
Se questo sciopero non sarà ricordato come uno degli eventi più riusciti del comparto pubblico CGIL, avrà però un'utile funzione come indicatore del peso specifico e della capacità di attrarre che la CGIL si è costruita in questo comparto, come in altri presumibilmente, negli ultimi anni.
Veniamo al dunque: la CGIL è giunta ad un bivio epocale, da essa stessa costruito, assieme ad altri soggetti, nel nome della cogestione governativa e padronale. Questo bivio è costituito da due strade: la prima, quella maestra, continua sostanzialmente l'opera intrapresa fino ad ora e va direttamente dove ci sono già CISL, UIL e UGL. L'altra, più stretta, non ha sbocchi certi, ma richiede una certa dose di coraggio, qualità che non sembra caratterizzare i pavidi burocrati cigiellini, la possibilità di perdere parte delle bende e prebende conquistate sino ad ora e quindi soldi, servizi, distacchi, sedi, insomma posti di lavoro. Questa seconda ipotesi, alquanto impervia nonché incerta richiederebbe alla CGIL di virare di almeno 180 gradi rispetto a quanto svolto negli ultimi trenta anni e di provare ad inerpicarsi nella faticosa strada del conflitto sociale e di classe. Cosa alquanto faticosa sia per i primi dei motivi citati poc'anzi sia perché quando non si è più abituati a fare una o più cose è alquanto difficile impararle nuovamente daccapo.
In secondo luogo richiederebbe un cambiamento fondamentale della forma mentis adottata sino ad ora. In terzo ed ultimo luogo alcuni potrebbero, come detto sopra rischiare il posto sindacale, e forse tornare a lavorare, ahimè, in qualche angusta fabbrica, ufficio o altro del genere.
La prima strada ha come contropartita lo svantaggio di menomare una finta identità di difesa dei lavoratori, di non farla sembrare più di sinistra, ma soltanto quello che è realmente, ovvero un apparato di co-gestione al ribasso dei diritti e dei soldi dei lavoratori. In questa ipotesi la CGIL potrebbe, ma non so quanto, perdere manciate di iscritti a favore del sindacalismo di base ed in particolare di quello neo-costituendo RDB-SDL-SNATER ecc., a patto che questi riesca a garantire preventivamente posti di lavoro solidi e non soltanto promesse.
Di qui si capisce perché scioperano e perché lo fanno in malo modo: si muovono per comparti, mai assieme, e tentano di rivendicare una presunta autonomia simbolica ed identitaria dalla nuova triplice CISL, UIL e UGL, senza però perdere la tenerezza sia nei confronti dei padroni che verso il governo.
I lavoratori, poi, essi stessi vittime consapevoli, quand'anche non promotrici, del sistema di compartimentazione corporativa delle carriere e dei premi di produzione, si mobilitano o per ancoraggio ideologico, sempre più raro, o perché sono rimasti fuori dalla mischia, o perché soffrono realmente dell'impoverimento collettivo. Se non pensano di trarne vantaggio o se pensano solamente che un ulteriore perdita di salario possa compromettere l'ulteriore impoverimento di vita o se ritengono che ai fini di passaggi personali di carriera la cosa non convenga, se ne stanno bellamente al lavoro. E, in questo senso, i modelli estremi di cogestione della CISL e della UIL sono già mentalmente vincenti, ovvero rispondono in maniera più determinata anche a ciò che la CGIL ha contribuito a produrre: modelli di disuguaglianza effettiva tra lavoratori.
Per ora non vedo altro, ma credo che il loro prossimo congresso primaverile li porti dove devono andare, in attesa di un più comprensivo governo centrista a venire.
Sull'Onda. Che gli studenti partecipino ad uno sciopero generale che coinvolge anche la scuola non mi stupisce, né mi scandalizza: se c'è un'occasione la si prende al volo. Quanto poi il movimento studentesco sia autonomo da partirti, sindacati e quant'altro non è dato di saperlo. Credo che si differenzi da posto a posto, da situazione a situazione, ma penso che, di fondo, il movimento studentesco non abbia mai discusso, se non in piccole frange, di quali realtà sindacali appoggiare e perché. Quindi, e giustamente per loro, ogni occasione è buona, poi quanta strada si faccia è un altro discorso. Sulle pratiche di piazza, gli scontri ecc: non ho mai pensato che il tasso di violenza messo in campo determini il livello dello scontro sociale in atto né la qualità dello stesso, altrimenti bisognerebbe pensare che tutte le volte che gli ultras si pestano con la polizia questo sia un segnale di ripresa conflittualità sociale. Il corpo a corpo ed altra pratiche fisiche in manifestazioni non sono nuove ed hanno diverse tradizioni politiche. Forse inizierò a pensare che le cose staranno per cambiare quando vedrò le famosissime massaie di Voghera scendere in piazza dure ed arrabbiate quanto mai, senza apparati di alcun tipo a sostegno (so che siamo tutti contro lo spontaneismo antiorganizzatore, velleitario e inconcludente quanto mai, ma per favore non raccontiamoci quella dell'uva sui grandi risultati raggiunti dalle organizzazioni nostrane). Fino ad allora dovremmo interpretare il tutto come un noioso risiko della politica nostrana.

Pietro Stara

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