Come anticipato, con una breve nota
dell'ultima ora sul numero scorso, ritorniamo sulle vicende della
strage di Piazza Fontana e sulla strategia della tensione che quella
strage inaugurò, pur se i prodromi del 25 aprile e dell'agosto
'69 la lasciavano già presagire.
Dalle anticipazioni che avevamo avuto ci potevamo aspettare qualcosa di
più. Nell'intervista rilasciata all'Espresso del 9 dicembre
ultimo scorso, il generale Gianadelio Maletti, ha detto delle
verità parziali.
Evidentemente richiederà dei salvacondotti per vuotare definitivamente il sacco.
La notizia è stata comunque di rilievo. Il massimo responsabile
operativo delle strutture di polizia dello stato italiano in carica in
quegli anni, conferma la verità "storica" ben consapevole che
per quella giudiziaria non vi è "storia". E' vero che i reati di
strage non vanno in prescrizione e quindi, nuovi processi possono
essere istruiti, come chiedono i familiari delle vittime di Piazza
Fontana, ma è altrettanto vero che sul piano processuale quando
mai vi si dovesse ritornare le carte potrebbero essere, ancora una
volta, mescolate.
Conferma, il generale, che la strategia c'era. Fino a quando è
rimasto in Italia (1980, dopo essersi sottratto all'arresto per aver
depistato le indagini sulle stragi) aveva sempre ribadito che strategia
non c'era e che, al massimo, qualche sottoposto aveva mal compreso le
direttive impartite.
Non ci dilunghiamo oltre anche perché diamo per letto l'ampio
inserto sulla Strage di Stato che abbiamo pubblicato nel numero scorso.
Nel quale i vari interventi ribadivano la nostra verità che
è quella storica.
Pubblichiamo invece una ulteriore cronologia di eventi connessi; per
contribuire, ad uso dei più giovani, alla ricostruzione dello
scenario e delle connessioni.
Maletti ci dice, oggi, che il governo italiano e gli alleati
internazionali (la "mitica" NATO) erano preoccupati dell'avanzare del
comunismo. Un comunismo, sia ben inteso, che non era quello dell'URSS,
ma delle masse operaie e dei giovani che contestavano il sistema dalle
sue fondamenta; i capi, le gerarchie, il conformismo, lo sfruttamento,
l'oppressione, la famiglia e tutte le istituzioni.
Un comunismo molto simile all'anarchia per la quale ancora oggi si lotta in tutto il mondo.
Ma allora il "pericolo rosso" era ben consistente. Allora il mettere in
atto <<…la guerra civile in Italia; nella lotta contro il
comunismo tutti i mezzi sono giustificabili, per cui non ci deve
più essere distinzione tra misure civili e misure
militari...>> come indicava il segretario del MSI (repubblichino,
fucilatore di partigiani) Giorgio Almirante [vedi cronologia], era
"difendere le istituzioni dalla loro sovversione".
Per cui ordire colpi di stato, assecondare e coprire (nonché
finanziare e addestrare, fornendo supporto logistico, armamenti e
coperture) i "patrioti" fascisti, depistare, arrestare, provocare
incidenti di piazza, era l'estrema ratio per salvare lo stato, le
alleanze internazionali, il sistema.
Maletti non ci dice, invece, come si svilupparono le vicende, chi prese
le decisioni, chi avallò. Anzi su questo alza la cortina di fumo
dietro a rivelazioni di facciata: il connubio Andreotti-Gelli che
rimanda alla figliolanza berlusconiana, lo scomodo cadavere di
Pecorelli, il mondo degli immondi spioni e intrallazzatori. Mette
quindi in secondo piano le responsabilità della classe dirigente
di allora che è poi quella di oggi. Come farebbe il "sinistro"
Fini a spiegare alla nazione il suo ruolo; come farebbe il "moderato"
Casini che incarna l'eredità democristiana a continuare con la
sua "faccia d'angelo"; come farebbero i Sacconi, gli Scajola, a
rimanere beati. Spesso questi ci dicono che allora erano fanciulli;
peccato che le loro biografie ce li documentano come militanti attivi
già nei primi anni '70 in quelle formazioni politiche che
sostenevano il sistema e che negavano con forza una qualsiasi strategia
della tensione, una qualsiasi responsabilità dello stato, che
sostenevano la credibilità dei Maletti di allora in buona
compagnia dei Giannettini, dei Freda, dei Ventura.
Immancabile, poi, la chiosa: il terrorismo non ha colore, dietro al
caso Moro (il cui ruolo viene riportato alle scelte del '69) c'è
ancora un'ombra oscura. Se vuole Maletti può fare luce. Forse in
punto di morte.