Quarant'anni fa, il 12 dicembre del 1969, irrompeva a piazza Fontana
il primo grande misfatto di quella strategia della tensione costituita
da bombe, omicidi, depistaggi e provocazioni con cui gli apparati dello
stato terrorizzarono il paese con l'obiettivo di stroncare le lotte e
le rivendicazioni che in quegli anni attraversavano il corpo sociale.
Servendosi della manovalanza nazifascista, lo stato italiano
dichiarò guerra alla società per riaffermare un dominio
che non poteva tollerare oltremodo le istanze di libertà ed
emancipazione che caratterizzavano quegli anni.
Questo quarantesimo anniversario viene a cadere in uno dei momenti
peggiori della storia recente del paese. Negli ultimi vent'anni, i
potentati politici ed economici hanno plasmato la società
facendola arretrare a livelli inauditi. Il mondo del lavoro è
stato ulteriormente umiliato e in gran parte distrutto dalla
globalizzazione neoliberista, i diritti sono stati erosi costantemente,
il carattere pubblico dei servizi essenziali (dall'istruzione, alla
sanità, ai trasporti, ecc.) è stato sacrificato
sull'altare delle privatizzazioni, la repressione è diventata
strumento qualificante per l'amministrazione del quotidiano, il
razzismo è stato elevato a criterio normativo per la gestione
dei flussi migratori e, più o meno implicitamente, anche a
criterio morale nelle relazioni con chiunque sia fatto rientrare nella
categoria di "straniero" o, peggio, di "clandestino".
Il quarantennale di piazza Fontana trova un'Italia in ostaggio,
sfiancata da una crisi economica (e, allo stesso tempo, sociale e
culturale) prodotta da chi detiene il potere e le leve di comando:
un'Italia mortificata da un autoritarismo con cui un'impresentabile
classe dirigente è riuscita ad appestare perfino i rapporti
sociali.
Per ricordare l'eccidio di piazza Fontana è necessario
smascherare il revisionismo storico con cui, proprio quest'anno, i
vertici delle istituzioni hanno tentato un'ambigua – quanto impossibile
– riconciliazione tra vittime e carnefici: il nostro pensiero va,
insieme a tutte le altre vittime innocenti, al compagno Giuseppe
Pinelli, ingiustamente incolpato della strage, ucciso innocente nei
locali della questura di Milano, volato giù dalla finestra
dell'ufficio del commissario Luigi Calabresi dopo un interrogatorio di
tre giorni.
Ma per ricordare piazza Fontana è necessario rendersi conto
della stringente attualità di questo anniversario, in un momento
in cui gli attacchi dello stato e del capitale nei confronti dei
lavoratori, della gente comune, dei più deboli, sono sempre
più violenti e spudorati. Con il suo tragico portato di dolore e
ingiustizia, piazza Fontana resta l'emblema della criminalità di
ogni potere e dimostra quanto possa essere spietato l'esercizio della
cosiddetta ragion di stato.
Oggi come allora, la risposta più efficace è quella di
sempre: lottare e impegnarsi, con tenacia e coraggio, senza cedere alla
rassegnazione, per costruire una società libera da ogni
ingiustizia e da ogni potere.
Il modo migliore per onorare le vittime ma, soprattutto, per riappropriarci del nostro futuro.
Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana – FAI