Si era appena conclusa, a Vallo della Lucania, la conferenza stampa
dei legali della famiglia di Francesco Mastrogiovanni, l'insegnante
anarchico cinquantottenne ricoverato con un TSO illegale, il 31 luglio
del 2009, e deceduto dopo 80 ore di contenzione in totale stato di
abbandono, quando è giunta la notizia che il GIP che conduce le
indagini ha chiuso il reparto di psichiatria dell'ospedale "San Luca"
di Vallo della Lucania dove si è consumato l'ennesimo delitto di
Stato. Nelle diciassette pagine che compongono l'ordinanza di
interdizione temporanea dalla professione, che ha interessato 14
operatori tra medici e paramedici del reparto di psichiatria
dell'ospedale di Vallo della Lucania tra cui il primario Michele Di
Genio, emessa giovedì 21 gennaio dal GIP del Tribunale di Vallo
della Lucania Nicola Marrone, si leggono tutta la violenza, il cinismo,
l'efferatezza dei crimini consumati all'interno di quella stanza. "A
Francesco è stata negata qualsiasi comprensione. Non è
stato nutrito, né qualcuno gli ha dato un sorso d'acqua.
È possibile che su 14 persone nessuno si sia chiesto se
ciò che stavano facendo avesse un profilo di umanità?
Pensate che non si sono neanche accorti che Franco fosse morto.
È una cosa terribile, vergognosa".
Questa dichiarazione rilasciata dall'amico e compagno Giuseppe
Galzerano racchiude i quesiti che migliaia di cittadini pongono non
solo agli operatori di Vallo della Lucania, ma anche a quelli
dell'Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d'Aiello in provincia di
Cosenza dove, chiuso un filone di indagine che ha visto condannare a 7
anni di reclusione l'alto prelato mons. Luberto, la Procura di Paola ne
ha aperto un altro che riguarda 12 pazienti "desaparecidi" di cui i RIS
di Messina stanno cercando di individuarne i corpi, con l'analisi del
DNA, aprendo 60 loculi nell'area cimiteriale riservata all'istituto. Ma
i casi degli ospedali e delle case di cura trasformate in lager non si
limitano a questi due, negli ultimi giorni, ad Ascoli Piceno, i
carabinieri sono penetrati nell'ospizio "Casa di Giobbe", un nome
azzeccatissimo se si pensa che erano più decorose ed accoglienti
le baracche di Auschwitz, e hanno trovato donne e uomini, tra i 70 e i
90 anni, rinchiusi in stanze sovraffollate accovacciati sui letti
sporchi di urine e feci. In queste due realtà non vi erano le
telecamere, mentre nella stanza che ospitava Mastrogiovanni hanno
fornito ai magistrati le prove inconfutabili degli innumerevoli reati
commessi.
Si legge nell'ordinanza del GIP di Vallo: "dalla successiva visione
dell'immagine si evinceva che nella camera di Mastrogiovanni vi era
anche un'altra persona sottoposta a mezzi di contenzione e sorgeva
quindi la necessità di accertare la sua identità, le
ragioni della contenzione e se l'utilizzo di tali mezzi fosse stato
annotato in cartella clinica". Si scopre così, solo per caso,
che il paziente ricoverato nella stessa stanza di Mastrogiovanni
è Giuseppe Mancoletti il quale viene legato al letto anche se
non è previsto, per lui, alcun TSO perché trattasi di
ricovero spontaneo. Mancoletti viene tenuto in contenzione dalle ore
11,50 del 2 alle 9,12 del 3 agosto 2009 senza che gli venga fornita
adeguata assistenza, tanto che "solo fortunosamente nel corso della
notte riusciva a bere dell'acqua da una bottiglia appoggiata su un
tavolino, prima avvicinando il tavolino con un piede, poi facendo
cadere la bottiglia ed in seguito addentandola con la bocca e riuscendo
in tal modo a bere qualche sorso d'acqua". Affrontare il disagio
psichico torturando i corpi: è questa la nuova visione della
psichiatria in Italia condivisa all'interno delle case di cura da tutto
il personale?
Angelo Pagliaro