È di pochi giorni fa la notizia della chiusura della rete
televisiva Rctv da parte del governo venezuelano. Dopo l'annuncio del
provvedimento, migliaia di manifestanti si sono scontrati con la
polizia a Caracas, per protestare contro la soppressione di una
emittente rea di non aver trasmesso i proclami che il Presidente Chavez
rivolge alla nazione (inesauribile vanità declamatoria che lo
accomuna al suo amico Fidel Castro – sono famosi i suoi sproloqui
televisivi della durata di ore che hanno reso la tv cubana un autentico
incubo cui sfuggire sintonizzandosi sulle emittenti commerciali Usa!).
Detta così, l'oscuramento di Rctv sembrerebbe la ripicca di un
autocrate vanesio e, almeno in parte, lo è. Purtroppo, dal
Venezuela giungono anche notizie meno folkloristiche, come l'assassinio
di sindacalisti non allineati al regime. Dove sta andando il paese del
socialismo bolivariano? La risposta è: in crisi. Mentre chiudeva
la televisione che ha rifiutato i monologhi del Presidente megalomane,
il governo stava studiando un nuovo piano di austerità.
Le principali società internazionali presenti in Venezuela
(Kraft, Ford, Coca Cola) hanno dovuto riorganizzare l'attività
dei loro stabilimenti per far fronte ai continui black out elettrici.
Infatti, il paese deve fronteggiare la più grave crisi
energetica degli ultimi anni. Il che è piuttosto singolare, se
si pensa che il Venezuela è tra i principali produttori mondiali
di petrolio.
Venerdì 8 gennaio di quest'anno, era stata annunciata la maxi
svalutazione del bolivar, la moneta venezuelana. Il provvedimento ha
creato un complicato sistema valutario, articolato su due distinti
tassi di cambio tra dollaro e bolivar. Il primo, pari a 2,6 bolivar per
dollaro (prima era di 2,15), vale per le importazioni di merci
considerate generi di prima necessità (alimentare, sanitario,
meccanico, tecnologico). Il secondo cambio, 4,3 bolivar per dollaro, si
applica ai prodotti petrolchimici, alle automobili e all'elettronica.
La credibilità economica del Venezuela nella comunità
mondiale scarseggia, come segnalato anche dai credit default swap
(assicurazioni contro l'insolvenza) sui suoi titoli pubblici, i
più alti al mondo: oltre il 14%. D'altra parte, al mercato nero,
reazione pragmatica all'autoritarismo valutario, ci vogliono ben 6
bolivar per comprare un dollaro!
Subito dopo l'annuncio della svalutazione, i centri commerciali sono
stati presi d'assalto dalla popolazione, desiderosa di spendere quanto
più possibile prima che i prezzi aumentino ulteriormente,
distruggendo il valore dei risparmi delle famiglie (l'inflazione nel
2009 è stata del 25% e, per il 2010, le previsioni oscillano tra
un ottimistico 30% e un pessimistico 50%). Molti, in coda davanti ai
negozi, intonavano ironici coretti "Viva Chavez! A comprar, a comprar
que el mundo se va a acabar" (compriamo, compriamo che arriva la fine
del mondo).
Il drastico deprezzamento del bolivar serve al presidente bolivarista
ad ottenere più moneta locale dalle esportazioni di petrolio,
pagate in dollari.
Prima della svalutazione, per ogni dollaro di petrolio esportato si
ricavavano 2,15 bolivar, adesso 4,3, ossia il doppio. Ciò
dovrebbe consentire al governo una maggiore capacità di spesa
per i programmi sociali, fondamentali in vista delle elezioni
legislative di settembre. Infatti, la popolarità di Chavez,
tuttora alta tra le fasce più diseredate, è comunque in
calo a causa della mancanza di energia elettrica, dei problemi di
approvvigionamento idrico, dell'elevato tasso di inflazione e della
diffusione della criminalità.
Da dove vengono i guai che il governo venezuelano deve affrontare oggi?
Alcuni studi, pubblicati nel 2008, rilevavano come il Venezuela, per
mantenere in equilibrio la bilancia dei pagamenti, avesse bisogno di un
prezzo del petrolio (che rappresenta la quasi totalità delle sue
esportazioni) di circa 100 dollari al barile. Tutto bene fino al luglio
del 2008, quando un barile di greggio quotava oltre 147 dollari.
Però non occorreva molta fantasia per intuire che un calo del
prezzo del greggio avrebbe compromesso il fragile equilibrio economico
venezuelano. Oggi, con quotazioni inferiori agli 80 dollari al barile,
la miopia della politica "bolivariana" emerge in tutta la sua evidenza.
La tanto decantata Revolucion non ha cambiato la realtà
economica del Venezuela, basata solo sulle esportazioni di petrolio.
L'assistenzialismo statale, finanziato con le rendite petrolifere, ha
fatto la fortuna elettorale e d'immagine di Chavez, ma non ha invertito
il deterioramento, anche sociale, del paese. Adesso che le rendite
petrolifere si sono ridotte, i poveri sono chiamati a pagare il conto
con l'aumento dei prezzi dei generi alimentari. Il binomio panem et
circenses può fare, per un certo periodo, la fortuna
dell'autocrate di turno, ma non ha niente a che vedere con la giustizia
sociale e la costruzione di una solida economia che offra
opportunità di lavoro e benessere duraturi.
Toni Iero