Umanità Nova, n.4 del 7 febbraio 2010, anno 90

Venezuela: la crisi di un modello superato


È di pochi giorni fa la notizia della chiusura della rete televisiva Rctv da parte del governo venezuelano. Dopo l'annuncio del provvedimento, migliaia di manifestanti si sono scontrati con la polizia a Caracas, per protestare contro la soppressione di una emittente rea di non aver trasmesso i proclami che il Presidente Chavez rivolge alla nazione (inesauribile vanità declamatoria che lo accomuna al suo amico Fidel Castro – sono famosi i suoi sproloqui televisivi della durata di ore che hanno reso la tv cubana un autentico incubo cui sfuggire sintonizzandosi sulle emittenti commerciali Usa!).
Detta così, l'oscuramento di Rctv sembrerebbe la ripicca di un autocrate vanesio e, almeno in parte, lo è. Purtroppo, dal Venezuela giungono anche notizie meno folkloristiche, come l'assassinio di sindacalisti non allineati al regime. Dove sta andando il paese del socialismo bolivariano? La risposta è: in crisi. Mentre chiudeva la televisione che ha rifiutato i monologhi del Presidente megalomane, il governo stava studiando un nuovo piano di austerità.
Le principali società internazionali presenti in Venezuela (Kraft, Ford, Coca Cola) hanno dovuto riorganizzare l'attività dei loro stabilimenti per far fronte ai continui black out elettrici. Infatti, il paese deve fronteggiare la più grave crisi energetica degli ultimi anni. Il che è piuttosto singolare, se si pensa che il Venezuela è tra i principali produttori mondiali di petrolio.
Venerdì 8 gennaio di quest'anno, era stata annunciata la maxi svalutazione del bolivar, la moneta venezuelana. Il provvedimento ha creato un complicato sistema valutario, articolato su due distinti tassi di cambio tra dollaro e bolivar. Il primo, pari a 2,6 bolivar per dollaro (prima era di 2,15), vale per le importazioni di merci considerate generi di prima necessità (alimentare, sanitario, meccanico, tecnologico). Il secondo cambio, 4,3 bolivar per dollaro, si applica ai prodotti petrolchimici, alle automobili e all'elettronica.
La credibilità economica del Venezuela nella comunità mondiale scarseggia, come segnalato anche dai credit default swap (assicurazioni contro l'insolvenza) sui suoi titoli pubblici, i più alti al mondo: oltre il 14%. D'altra parte, al mercato nero, reazione pragmatica all'autoritarismo valutario, ci vogliono ben 6 bolivar per comprare un dollaro!
Subito dopo l'annuncio della svalutazione, i centri commerciali sono stati presi d'assalto dalla popolazione, desiderosa di spendere quanto più possibile prima che i prezzi aumentino ulteriormente, distruggendo il valore dei risparmi delle famiglie (l'inflazione nel 2009 è stata del 25% e, per il 2010, le previsioni oscillano tra un ottimistico 30% e un pessimistico 50%). Molti, in coda davanti ai negozi, intonavano ironici coretti "Viva Chavez! A comprar, a comprar que el mundo se va a acabar" (compriamo, compriamo che arriva la fine del mondo).
Il drastico deprezzamento del bolivar serve al presidente bolivarista ad ottenere più moneta locale dalle esportazioni di petrolio, pagate in dollari.
Prima della svalutazione, per ogni dollaro di petrolio esportato si ricavavano 2,15 bolivar, adesso 4,3, ossia il doppio. Ciò dovrebbe consentire al governo una maggiore capacità di spesa per i programmi sociali, fondamentali in vista delle elezioni legislative di settembre. Infatti, la popolarità di Chavez, tuttora alta tra le fasce più diseredate, è comunque in calo a causa della mancanza di energia elettrica, dei problemi di approvvigionamento idrico, dell'elevato tasso di inflazione e della diffusione della criminalità.
Da dove vengono i guai che il governo venezuelano deve affrontare oggi? Alcuni studi, pubblicati nel 2008, rilevavano come il Venezuela, per mantenere in equilibrio la bilancia dei pagamenti, avesse bisogno di un prezzo del petrolio (che rappresenta la quasi totalità delle sue esportazioni) di circa 100 dollari al barile. Tutto bene fino al luglio del 2008, quando un barile di greggio quotava oltre 147 dollari. Però non occorreva molta fantasia per intuire che un calo del prezzo del greggio avrebbe compromesso il fragile equilibrio economico venezuelano. Oggi, con quotazioni inferiori agli 80 dollari al barile, la miopia della politica "bolivariana" emerge in tutta la sua evidenza.
La tanto decantata Revolucion non ha cambiato la realtà economica del Venezuela, basata solo sulle esportazioni di petrolio. L'assistenzialismo statale, finanziato con le rendite petrolifere, ha fatto la fortuna elettorale e d'immagine di Chavez, ma non ha invertito il deterioramento, anche sociale, del paese. Adesso che le rendite petrolifere si sono ridotte, i poveri sono chiamati a pagare il conto con l'aumento dei prezzi dei generi alimentari. Il binomio panem et circenses può fare, per un certo periodo, la fortuna dell'autocrate di turno, ma non ha niente a che vedere con la giustizia sociale e la costruzione di una solida economia che offra opportunità di lavoro e benessere duraturi.

Toni Iero

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