In queste settimane i mezzi di informazione hanno dato spazio al
presunto scontro tra la dittatura capitalista cinese e Google, il
motore di ricerca più usato su Internet, proponendo - con
piccole varianti - la stessa interpretazione dei fatti. Da una parte ci
sarebbe il "modello occidentale democratico" sul quale si basa un
servizio come Google e dall'altra la necessità di controllo del
sistema di potere cinese, e queste due visioni di come debba funzionare
Internet sarebbero incompatibili fra di loro. Una spiegazione un po'
troppo semplicistica.
Dal 2000 esiste "Baidu" un motore di ricerca "made in China" [1] che ha
le stesse funzioni di Google e che, secondo fonti occidentali, si
colloca, per numero di accessi, al primo posto nella classifica locale
ed al nono in quella mondiale e la società che lo gestisce
è stata la prima impresa cinese ad entrare tra le top 100 del
NASDAQ, la borsa telematica USA [2]. Per avere un'idea delle grandezze
in campo si consideri che "Baidu" ha circa 11 milioni di visitatori al
giorno contro i 64 di Google, solo che il secondo riceve visite da
tutto il mondo mentre il primo, per ovvie questioni di lingua, quasi
esclusivamente dalla Cina. Il 22 gennaio scorso, proprio nei giorni
caldi della polemica, il titolo di Google ha perso in una sola notte
quasi 20 dollari [3]. E, sempre negli stessi giorni, il motore di
ricerca cinese è stato assolto da un tribunale dove era stato
portato in giudizio dai produttori internazionali di musica, che lo
accusavano di facilitare la ricerca di brani musicali da scaricare
gratis senza pagare i diritti d'autore [4]. Giusto per ricordare che lo
scontro non è una mera questione ideologica ma anche e
soprattutto un confronto di tipo economico.
I sostenitori del modello Google accusano il regime cinese di censurare
il web, ovvero di impedire ai propri cittadini di accedere ai siti non
graditi al potere. Negli ultimi anni i media hanno ampiamente
raccontato di come venissero censurate le pagine dedicate al Dalai
Lama, al massacro di Piazza Tien-an-men, alla setta Falun Gong e via
dicendo. Nel 2009 venne anche diffuso in Rete, si dice proprio da un
dipendente di Baidu, un elenco di siti proibiti [5]. Molto meno spazio
sui media hanno invece avuto identiche rivelazioni relative a stati
"democratici" nei quali esistono elenchi di siti che non si possono
visitare. In Italia, per esempio, la lista nera comprende i siti di
scommesse, quelli che vendono sigarette e chissà che altro,
visto che - esattamente come in Cina - queste informazioni sono coperte
da segreto. Per cui la censura di Pechino non è che una delle
tante esercitate, senza troppo clamore, da un qualsiasi altro stato.
Sarebbe anche interessante approfondire le ragioni per le quali Google,
che fino a qualche mese or sono, non aveva grandi problemi ad operare
in Cina, obbedendo alla censura di stato, si sia improvvisamente
riscoperta paladina della "neutralità" di Internet e della
libertà di espressione.
Sarà un caso ma, proprio negli stessi giorni nei quali veniva
pubblicizzata la decisione di Google di non censurare più le
ricerche dei cittadini cinesi, le cronache segnalavano l'attacco
informatico portato proprio contro "Baidu": il 12 gennaio scorso
chiunque (fuori dalla Cina) avesse provato ad accedere a quel motore di
ricerca veniva "dirottato" sulla pagina di una sconosciuta "Iranian
Cyber Army" [6]. A questo attacco facevano seguito, nei giorni
successivi, le notizie relative ad una vendetta di hacker cinesi contro
siti iraniani e alla denuncia di Google riguardante la violazione di
alcune caselle del suo servizio di posta elettronica. Infine sono
arrivate anche le dichiarazioni del Segretario di Stato USA a proposito
dell'importanza di garantire, in tutto il mondo, la libertà su
Internet e di punire i responsabili delle sue violazioni. Quello che la
signora segretaria ometteva di precisare è che gli hacker cinesi
avrebbero violato i servizi di Google approfittando di una "entrata
nascosta" usata dai servizi segreti statunitensi [7].
Questo per dire che è in atto (probabilmente da tempo) una vera
e propria guerra che ha come campo di scontro Internet e che, sebbene
non faccia vittime, produce risultati concreti anche nel mondo reale.
Molti osservatori pensano che l'obiettivo finale del governo cinese sia
quello di costruire una sorta di Internet "nazionale", completamente o
quasi separata dal resto del mondo. Questo perché i numeri del
potenziale mercato interno (330 milioni di consumatori) renderebbero
possibile una sorta di autarchia telematica. Sia questo o meno
l'obiettivo, non si tiene conto del fatto che una delle ragioni per le
quali la Rete è diventata tanto importante è proprio la
sua natura senza confini e costringere gli utenti ad una sorta di
cortile, per quanto vasto possa essere, provocherebbe forse ancora
più problemi di quelli causati dalla censura, in quanto
l'attuale generazione di utenti è abituata ad un modello di
network libero e poco controllabile. Non è detto che sarà
lo stesso per le generazioni future, che potrebbero crescere allevate
ad un uso della comunicazione elettronica completamente diverso da
quello che conosciamo. Per queste, forse potrebbe anche funzionare una
Rete con dei limiti territoriali ben definiti, magari supportata da
qualche cambiamento tecnico che renda la connessione al resto del mondo
più difficile. Quest'ultima ipotesi, per quanto possa sembrare
azzardata, troverebbe altri consensi, si pensi ai paesi governati dalle
teocrazie islamiche, che vedono nella contaminazione di persone e
culture un formidabile nemico.
Come anarchici dovremmo sicuramente sostenere la libertà di
espressione e di comunicazione e batterci per il loro ampliamento, ma
senza farci troppe illusioni sui paladini delle libertà su
Internet che, prima o poi, troveranno sicuramente una conveniente
mediazione con i censuratori, a scapito delle libertà di tutti.
Pepsy
Riferimenti
[1] http://www.baidu.com
[2] http://en.wikipedia.org/wiki/Baidu
[3] http://www.p2pnet.net/story/34676
[4] http://finance.yahoo.com/q?s=GOOG
[5] http://chinadigitaltimes.net/2009/04/baidus-internal-monitoring-and-censorship-document-leaked/
[6] vedi nota 2.
[7] http://www.schneier.com/blog/archives/2010/01/google_vs_china.html