Umanità Nova, n.4 del 7 febbraio 2010, anno 90

Bel lAvoro


A cura della Commissione Lavoro della Federazione Anarchica Milanese
bel-lavoro@federazioneanarchica.org

A Termini Imerese gli operai scendono in campo contro la chiusura

A suo tempo era stato osannato come audace manager dalle idee rivoluzionarie e salvatore della FIAT, alla prova dei fatti Marchionne continua a rivelarsi uguale a tanti suoi predecessori. Dopo avere annunciato la chiusura irrevocabile di Termini Imerese, scatenando le proteste dei lavoratori FIAT, Marchionne non ha battuto ciglio e ha iniziato lo smantellamento dello stabilimento siciliano partendo dalle piccole cose. In questo caso dalla Delivery Mail, una delle aziende dell'indotto che ruota intorno allo stabilimento, alla quale era affidata la pulizia dei cassoni usati nella produzione delle auto e i cui operai hanno per primi ricevuto la lettera di licenziamento, con decorrenza dal 1 febbraio, in quanto la FIAT ha rescisso il contratto di fornitura servizi.
Per tutta risposta, i lavoratori della Delivery Mail dal 19 gennaio sono saliti sul tetto dello stabilimento dove resistono nonostante il freddo, a 20 metri di altezza, decisi a tutto: "rimarremo qui fino a quando non vedremo scritto nero su bianco che i nostri posti di lavoro sono salvi". L'azione ha subito raccolto la solidarietà della popolazione, mentre gli operai dello stabilimento FIAT e delle aziende dell'indotto, appresa la notizia, scendevano in sciopero per un'ora, effettuando blocchi stradali nella zona circostante.
Ma a Termini si gioca una partita decisiva tra Marchionne, il governo e i lavoratori. Con lo stabilimento condannato alla chiusura, gli operai già dopo l'annuncio del 12 gennaio avevano proclamato una serie di scioperi spontanei e picchetti per bloccare l'afflusso dei pezzi da assemblare. Tanto è bastato a Marchionne per proclamare il giorno 27 una serrata a tempo indeterminato, un solo giorno dopo avere clamorosamente proclamato 2 settimane di cig per tutto il gruppo FIAT.
Mentre governo e sindacati starnazzano "indignati" e impotenti, si avvicina l'ora della mischia finale: quella tra la FIAT ed i suoi lavoratori, che in italia potrebbe rappresentare un punto di svolta nel conflitto tra capitale e lavoro.

Alla JABIL i lavoratori respingono l'aumento dei carichi di lavoro

A Cassina dè Pecchi, hinterland Milanese, nel polo di ricerca elettronica e produzione ex gruppo Nokia-Siemens, ceduto tre anni fa alla Jabil Cm di Bergamo, lavorano attualmente circa 350 addetti, 250 già presenti nel sito, mentre 108 si sono aggiunti provenienti dallo stabilimento Jabil di Mapello (Bg) in via di chiusura, dove 100 lavoratori sono ancora in Cig. A metà gennaio, la direzione generale di Cassina, unilateralmente e senza il minimo preavviso, impone un nuovo orario di lavoro consistente nell'aumento di un'ora di lavoro per ogni turno "per fare fronte ai nuovi carichi di lavoro". Come dire, mentre a Mapello molti sono in cassa integrazione, gli altri devono sgobbare ancora di più per aumentare i profitti dell'azienda.
Parte immediatamente sin dalle 4 di notte del 18 gennaio lo sciopero a oltranza con picchetto; cancelli bloccati. Il 19 tentano di entrare il capo del personale ed il direttore di produzione ma devono rinunciare. Proseguono sciopero e picchetto anche nella gelida nottata. 20 Gennaio mattina, nuovo tentativo di entrare al lavoro da parte dei capi e di parte degli impiegati, il tutto alla presenza di carabinieri e polizia in minaccioso assetto anti-sommossa, giunti alla Jabil con ben 6 (sei) cellulari. Il picchetto non cede e, alla fine, il 21 gennaio l'azienda abbassa la cresta e notifica la rinuncia al nuovo piano dei turni.

Gli operai ALCOA non mollano

Prosegue l'odissea dei lavoratori Alcoa di Portovesme e Fusina. Il 22/1 Sacconi annuncia di avere trovato il marchingegno per fornire alla multinazionale Usa energia elettrica a basso costo, consentendole di proseguire l'attività in Italia e salvando così 2.000 posti di lavoro: un Ddl "che introduce misure per garantire la messa in sicurezza e il potenziamento del servizio elettrico nazionale nelle isole maggiori".
Ma l'azienda statunitense evidentemente non si fida del governo. Il 26, durante l'incontro a Roma con governo e sindacati, annuncia la fermata degli impianti per 6 mesi con inizio dal 6 febbraio, in attesa di nuovi sviluppi sulle tariffe dell'energia e sulla posizione della commissione europea. Viene confermata la cassa integrazione per gli 800 lavoratori di Portovesme (500 diretti, 300 degli appalti) e per quelli di Fusina (VE).
Per tutta risposta gli operai, che attendevano l'esito della trattativa, decidono di presidiare la sala riunioni del ministero delle attività produttive. "L'occupazione della sala - annunciano - proseguirà fino a quando non verrà sottoscritto dal governo e dall'azienda un documento in cui ci sia l'impegno a proseguire la produzione negli stabilimenti italiani".
Il giorno 26, tre lavoratori si incatenano ai cancelli della Centrale Enel di Portovesme che fornisce energia allo stabilimento mentre inizia il blocco dei cancelli per impedire entrata e uscita delle merci. Il 28, infine, un migliaio di persone tra lavoratori e familiari, dopo avere bloccato la circolazione sulla statale 131 "Carlo Felice", si dirigono all'aeroporto di Elmas, dove alcuni operai bloccano la strada di accesso al terminal partenze, mentre un altro gruppo entra all'interno dell'aerostazione innalzando uno striscione con la scritta "Alcoa: rispetto e lavoro". La lotta continua.

A Magenta gli operai si battono contro la chiusura della Novaceta

La battaglia per la difesa del posto di lavoro è iniziata prima di natale e la determinazione sino ad ora mostrata dai lavoratori fa pensare, e sperare, che continuerà sino a quando non ci saranno risposte soddisfacenti.
Alla Novaceta di Magenta (MI), fabbrica che produce aceto di cellulosa, il progetto dei padroni prevede un vero e proprio massacro sociale: 220 lavoratori sono attualmente in cassa integrazione (700 euro al mese), ma l'obiettivo è la totale dismissione della fabbrica per realizzare, sull'area in cui sorge lo stabilimento, una colossale speculazione edilizia.
Nell'ultima settimana del 2009 gli operai hanno organizzato un presidio permanente, poi, lo scorso 12 gennaio, hanno chiuso la loro assemblea sindacale salendo sul tetto della loro fabbrica. "Siamo abbandonati dalle istituzioni: non esiste ancora un piano industriale chiaro", ha denunciato Giovanni Cippo, rappresentante dell'Allca-Cub. "A farne le spese maggiori saranno come sempre gli operai". Mentre si attende la costituzione di un tavolo tecnico fra sindacato e azienda per affrontare concretamente la situazione, nel frattempo i lavoratori stanno  predisponendo un proprio piano industriale, che comprende la costituzione di una loro cooperativa.

All'ASL di Codogno si esternalizza sulla pelle dei cittadini

Abbiamo già parlato, in questa rubrica, delle scelte politiche dell'asl di Codogno (Lodi), che alla fine del mese di dicembre, in accordo con i sindacati confederali, ha iniziato il trasferimento/deportazione delle ospiti dell'rsa al Fatebenefratelli di s. Colombano. Questa manovra nei fatti avvia il percorso di privatizzazione proprio a favore del Fatebenefratelli, che resterà così l'unica struttura sul territorio per la cura della malattia mentale.
Pochi giorni dopo l'avvio di questo processo, due delle ospiti trasferite sono morte: è evidente che lo shock emotivo di un trasferimento così repentino non ha giovato a persone già molto fragili sul piano psicofisico.
Slai Cobas ed RdB attaccano le scelte dell'asl e invitano i lavoratori del Fatebenefratelli a bocciare l'ipotesi di accordo portata avanti da sindacati confederali e confasl, che dà inizio al percorso di privatizzazione dell'rsa di Codogno. Nei prossimi giorni si terranno altre iniziative di lotta.

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