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Due sono i pericoli per quel popolo nomade che talvolta, presi da furia classificatoria, chiamiamo "sinistra antagonista": darsi delle arie e, all'opposto, vivere al di sotto dei propri mezzi. Darsi delle arie significa: la voglia di "successi" visibili, sanciti dai media; l'ansia di chiudere rapidamente il cerchio interferendo con il sistema dei partiti, cercando una nicchia ben arredata nelle istituzioni, giocando a tutti i costi la carta elettorale. Vivere al di sotto dei propri mezzi significa: non capire che, tra prove ed errori, si sta sperimentando il primo e solo abbozzo di una politica finalmente estranea alla tradizione moderna; di una politica, dunque, che non ha di mira la costruzione di un nuovo Stato, ma la dissoluzione di ogni sovranità, di ogni "monopolio della decisione politica", di ogni ulteriore riduzione dell'attività intelligente di uomini e donne a "lavoro". Vivere al di sotto dei propri mezzi significa accettare l'orrenda autodefinizione di "sinistra sociale" (e quale mai sarebbe la "sinistra politica", forse quella parte dei verdi compartecipi della guerra, o i sindaci che fanno tandem con di Pietro?). Né cortocircuiti boriosi, né la malinconia di chi preferisce accucciarsi nella marginalità. Ecco, in due parole, il senso (o il tono di voce) del seminario che si è svolto a Imperia il 16 e il 17 luglio. Più che un seminario, una jam session orchestrata da un certo numero di centri sociali, associazioni, collettivi di quella regione europea che è il Nord-Ovest italiano: Leonkavallo, Bulk, Eterotopia e Ponte della Ghisolfa di Milano; Punto Zip di Torino; Zapata e Terra di nessuno di Genova; la Talpa e l'Orologio di Imperia; la rivista e il centro studi DeriveApprodi. Va da sé che queste sigle non sono affatto il "sale della terra": altre decine di situazioni avrebbero potuto partecipare con uguale diritto all'incontro. Si è discusso di organizzazione e di rappresentanza: sullo sfondo, com'è naturale, della guerra umanitaria appena conclusa (meglio: sospesa). Comportandosi di fatto come un "laboratorio" o un "forum", in cui conta la varietà degli esperimenti in corso, la diversità degli accenti, la qualità delle domande su cui ci si affaccenda. E comportarsi come un "laboratorio" è l'unico modo di diventarlo, anzi di esserlo. Che vuol dire, oggi, parlare di organizzazione? Una cosa, almeno, è certa: l'unica organizzazione non parodistica è quella capace di trasformare in risorsa politica la socialità, l'intelligenza collettiva, i saperi attualmente compressi nel processo produttivo. L'organizzazione ricalca e rovescia l'intreccio tra tempo di lavoro e tempo di vita su cui si basa il postfordismo. Ma come tradurre la cooperazione lavorativa in organizzazione politica? Non vi è che un modo, qui e ora: esplorare e censire le soggettività, le inclinazioni, i modi di essere del lavoro vivo contemporaneo, ricostruire con pazienza ciò che abbiamo sotto gli occhi (anzi, di cui siamo parte) e che spesso non riusciamo a vedere. Occorre un'inchiesta sul bacino del lavoro precario, sulle sue stratificazioni, sulle sue miserie e potenzialità. Fare inchiesta significa fare organizzazione: ripartendo dal "basso", da quel "basso" che è l'unico ambito di una grande politica, immune da diplomazie ed escamotages piccoli piccoli. Fare inchiesta (o autoinchiesta) sul/nel/attraverso il nuovo paesaggio produttivo significa costruire le moderne camere del lavoro e del non-lavoro. Significa, soprattutto, moltiplicare le relazioni, capire che la partita in corso non si gioca solo tra le forze emerse, ma ha il suo baricentro in ciò che ancora è azzittito, mal conosciuto, informe. Quel che più conta sono gli spazi bianchi, le carte del mazzo non ancora distribuite, le incognite, le variabili. Proprio per questo, la discussione in corso su il manifesto (nata dalla proposta di un "Forum della sinistra" avanzata da Luigi Pintor) ci sembra una discussione inutile. In essa (non sempre, ma per lo più) si ragiona come se la scacchiera fosse piena e si trattasse solo di rimettere in ordine i pezzi. Non è così. E' necessario piuttosto far irrompere sulla scena attori nuovi, strani e imprevisti: il lavoro precario, i suoi usi e costumi, i suoi desideri, la sua eventuale organizzazione (oggi inimmagginabile). Il resto, cioé la cattiva fretta che lavora con i cocci, è solo il grido con cui si cerca di vincere la paura del buio. Il seminario di Imperia si è impegnato a produrre in un breve arco di tempo materiali scritti su diverse questioni, dal reddito di cittadinanza all'immigrazione, passando per tutti gli snodi che qualificano oggi il nostro intervento sociale. Un esempio sul reddito di cittadinanza. E' opportuno intervenire con tempismo sulle contraddizioni stridenti della legislazione attuale (la "legge Turco" prevede un sussidio ridicolo per i disoccupati soltanto in 42 comuni: perché non denunciare l'incostituzionalità di questo dispositivo, provando a forzarne i limiti?), nonché sulla legge-delega prossima ventura che dovrebbe ridefinire gli "ammortizzatori sociali" per i senza lavoro. E poi: sarebbe sbagliato trascurare la proposta di un "salario sociale" che viene da un settore di Rifondazione comunista (rompendo il tradizionale "lavorismo" di questa organizzazione). Ma su tutto ciò, si diceva, seguiranno testi che la discussione collettiva passerà a contropelo. La jam session del Nord-Ovest, soprattutto grazie alle sollecitazioni venute dai compagni di Torino, Imperia, Genova, Milano, ha messo in cantiere, inoltre, un confronto non rissoso né scontato su "terzo settore" e annessi. Il "terzo settore" è un aspetto della soluzione o parte del problema? La socializzazione della funzione imprenditoriale (in concreto: il fatto che i compiti di ideazione, coordinamento, innovazione non si concentrino più nella figura specializzata del manager, ma siano a portata di mano di tutto il lavoro vivo) un elemento straordinariamente importante. Ma è accettabile che questo elemento dia luogo alla pura e semplice moltiplicazione di imprese e impresine? Che la socializzazione della funzione imprenditoriale si risolva...in un nuovo strato di imprenditori? Non conviene piuttosto intendere il "terzo settore" come organizzazione politica degli "utenti", brutta parola per indicare coloro che utilizzano i servizi sociali al tramonto del welfare? Infine, ma certo non ultime per importanza, due questioni-chiave messe in rilievo soprattutto dai compagni di "Ya Basta" di Milano: le biotecnologie come nuova frontiera della tecnica con cui fare i conti da subito; la qualità del tempo non lavorativo, del tempo di vita, e dunque l'intervento sui consumi sociali. Il seminario di Imperia si è dato due appuntamenti per l'autunno. Un convegno a Torino, organizzato da PuntoZip, sull'immigrazione. Un incontro spericolato a Milano sul tema "formazione e Università". Non si tratta dunque di un episodio, ma di un percorso. E, per il momento, di un segnale. Segnale di cosa? E' giunto il momento di riprendere l'Esodo, dopo un periodo in cui si è girato in tondo. Esodo dalle compatibilità della società postfordista, dai modelli politici e organizzativi oggi prevalenti. Esodo verso una sfera pubblica che è realmente tale proprio e soltanto perché non più statale. Esodo verso un nuovo calendario, ossia verso una diversa organizzazione del tempo sociale complessivo. *** Laboratorio del Nord-Ovest: Leonkavallo, Bulk, Eterotopia. Ponte della Ghisolfa (Milano); Punto Zip (Torino); Zapata, Terra di Nessuno (Genova); La Talpa, L'Orologio (Imperia); Deriveapprodi |
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