Sono passati vent’anni dal rapimento di Aldo Moro, presidente del partito-regime della prima repubblica, la Democrazia Cristiana. Quel 16 marzo 1978 si doveva votare in parlamento il governo di unità nazionale DC-PCI, presieduto da Andreotti. Ministro dell’interno: Cossiga.
Vent’anni fa con il rapimento dell’artefice della strategia di quel compromesso storico nato per svuotare di senso l’impressionante stagione di lotte di tutti quei soggetti sociali irriducibili alla logica del lavoro, dei sacrifici, della crisi economica, si rappresentava simbolicamente l’apice dello scontro. Non per noi, che abbiamo sempre guardato con diffidenza a coloro che cercavano di ricondurre tutto il movimento all’esperienza clandestina della lotta armata come unica scelta praticabile.
Il movimento del ’77 è la nostra storia, lì le nostre radici. Nella cacciata di Lama dall’Università di Roma, nella rivolta contro la socialdemocrazia a Bologna, in Radio Alice, nel corteo del 12 marzo a Roma, nella violenza diffusa, nella gioiosa radicalità, nel sovversivismo di massa che hanno caratterizzato quel movimento.
Ripubblicare questo fumetto: in primo luogo perché è un fumetto, poi perché allora fu sequestrato con tutto il primo numero di una coraggiosa rivista, Metropoli L’autonomia possibile, e a tutt’oggi impossibile da reperire. 
Ripubblicare questo fumetto perché dal caso Moro bisogna ripartire per chiedere  l’AMNISTIA per tutti i compagni che ancora oggi sono in galera accusati di fatti avvenuti negli anni ’70, condannati con leggi speciali e rinchiusi in carceri speciali. I politici, specialmente gli ex democristiani continuano a ripetere che non si può parlare di amnistia, indulto, grazia, perché ci sono ancora troppi segreti sul caso Moro, troppi misteri.
Ma quali segreti? E’ tutto semplice ed evidente, ed era evidente soprattutto a Moro che nelle lettere si ostina a ripetere che se qualcuno voleva liberarlo la strada c’era, era possibile, bastava scambiare la sua vita con quella di qualche brigatista incarcerato. La via umanitaria era praticabile. Moro si chiede nell’ultima lettera:  <Da che cosa si può dedurre che lo Stato va in rovina, se, un volta tanto, un innocente sopravvive e, a compenso, altra persona va invece che in prigione, in esilio?>.
Lo dice chiaro che è la DC che non vuole trattare, che la ragion di stato, per lui in quella situazione così incomprensibile, lo condanna. La stessa ragion di Stato che ha condannato gli innocenti di Ustica, di Piazza Fontana, della strage di Bologna.
Una verità evidente, alla luce del sole, lampante per chiunque legga con una minima attenzione le lettere di Moro, uno tra i più interessanti documenti della storia della Prima Repubblica, in cui emerge la meschinità e il cinismo del potere, proprio dalle parole di chi quel potere lo conosce bene per averlo gestito per decenni. Moro è stato sacrificato dalla Dc, dalla logica interna degli stessi centri di potere di cui faceva parte.
E’ questo che non si vuole riconoscere.  Ci spieghino loro come mai hanno preferito lasciar uccidere Moro.
Dopo vent’anni molto è cambiato, non c’è più né la DC né il PCI, Andreotti è alla sbarra, Craxi ad Hammamet.
A vent’anni di distanza da quei fatti ci sono ancora centottanta detenuti politici in Italia, rinchiusi per una stagione di conflitto ormai definitivamente chiusa.
Sono contemporaneamente in galera i due leader dei due più rappresentativi gruppi extraparlamentari di allora (Antonio Negri per l’Autonomia e Adriano Sofri per Lotta Continua), cosa mai successa neanche negli anni ’70.

Ci sono ancora centinaia di persone costrette all’esilio.
 
Vogliamo la LIBERTA’ per tutti i detenuti politici!
Vogliamo che tutti gli esuli possano ritornare in Italia!
 
zip@ecn.org