fondi e fondazioni
Come il pensiero
diventa unico
di susan george*
Se i neoliberali (1) e il pensiero unico (2) sembrano oggi
padroni del campo ideologico, non è sempre stato così. Nei primi
anni dopo la seconda guerra mondiale il neoliberalismo era
ovunque meno che minoritario. Negli Stati uniti i suoi padri
fondatori non disponevano, all'inizio, di molte carte vincenti,
ma in compenso avevano assimilato un principio essenziale: le
idee hanno conseguenze. Nel 1948 Richard Weaver aveva scelto
questa massima come titolo di un libro che avrebbe conosciuto
una lunga carriera e suscitato una vasta eco oltre Atlantico (3).
Non a caso, il libro era stato pubblicato dalla University Press
di Chicago: è infatti l'università di questa città (4) che ha
costituito il nocciolo duro del neoliberalismo nascente. Di
August Friedrich von Hayek, economista e filosofo austriaco in
esilio, quest'editrice aveva pubblicato nel 1944 un libro molto
influente, La via della schiavitù (5); e ha inoltre fatto
conoscere, accanto ai lavori di vari astri nascenti del
movimento, le opere di un altro giovane e brillante economista,
un certo Milton Friedman (6). La scuola di Chicago, costituita
da economisti familiarmente chiamati Chicago Boys, è divenuta
celebre, e i suoi membri ne hanno portato l'influenza in tutto
il mondo, e in particolare nel Cile del generale Pinochet. La
sua dottrina economica, oltre che filosofica e sociale, è
insegnata urbi et orbi. I libri di Milton Friedman ad esempio
Capitalismo e libertà sono divenuti successi editoriali (7).
Per il neoliberale la libertà individuale non risulta affatto
dalla democrazia politica o dai diritti garantiti dallo stato:
libertà significa, al contrario, essere liberi dall'ingerenza
dello stato, che deve limitarsi a stabilire una cornice per
consentire il libero gioco del mercato. E' indispensabile la
proprietà privata di tutti i mezzi di produzione, e dunque la
privatizzazione di tutti quelli appartenenti allo stato. Il
mercato ripartisce nel migliore dei modi le risorse, gli
investimenti e il lavoro, mentre la beneficenza e il
volontariato privati devono sostituire la quasi totalità dei
programmi pubblici destinati ai gruppi socialmente meno favoriti.
L'individuo ridiventa così interamente responsabile della
propria sorte. Per mettere in pratica un programma del genere
che è l'esatto contrario del New Deal o della dottrina dello
stato sociale i neoliberali hanno sempre saputo che bisognava
incominciare dalla trasformazione del paesaggio intellettuale.
Prima di avere conseguenza per la vita dei cittadini e della
società, occorre infatti che le idee vengano propagate. Bisogna
permettere a chi le produce, le pubblica, le insegna e le
diffonde di farlo in condizioni favorevoli. Per questo, fin dal
1945 il movimento neoliberale non ha mai cessato di reclutare
pensatori e finanziatori, e di dotarsi di importanti mezzi
finanziari e istituzionali. Il suo arsenale si compone in parte
da "think-tanks", i più influenti dei quali hanno sede negli
Stati uniti. Non è superfluo ricordare qui ancora una volta (8)
le attività di alcuni di essi.
La Hoover Institution on War, Revolution and Peace è stata
fondata nel 1919 dal futuro presidente Herbert Hoover, e ha la
sua sede nel campus dell'università di Stanford. E' celebre per
le sue raccolte di documenti sulle rivoluzioni russa e cinese.
Alla sua vocazione iniziale di combattente nella guerra fredda
(in particolare attraverso il suo annuario International
Communist Affairs) ha affiancato, a partire dal 1960, un settore
economico. Grazie al suo budget annuo di circa 17 milioni di
dollari, quest'istituzione ha finanziato, accanto a molti altri,
anche i lavori di Edward Teller (uno dei padri della bomba
atomica, generalmente considerato come l'ispiratore del
personaggio del dottor Stranamore) e quelli di economisti quali
George Stigler e Milton Friedman, che fanno la spola tra
Stanford e Chicago.
Anche l'American Enterprise Institute (Aei) è un'istituzione di
vecchia data: è stata infatti fondata nel 1943 da alcuni uomini
d'affari, in contrapposizione a vari aspetti del New Deal. L'Aei,
che ha la sua sede a Washington, si distingue per il suo senso
delle pubbliche relazioni intellettuali e del marketing delle
idee, e lavora a diretto contatto con i membri del Congresso, la
burocrazia federale e i media. Negli anni 80 l'Istituto aveva
alle sue dipendenze circa 150 persone, delle quali una
cinquantina esclusivamente dedite alla ricerca, alla produzione
di libri e di rapporti e all'elaborazione di analisi e
raccomandazioni politiche ed economiche. Il suo budget annuo,
che riflette il declino relativo della sua influenza, era di
12,8 milioni di dollari nel 1993, un po' inferiore a quello
raggiunto dieci anni prima. La Heritage Foundation è la più nota,
in quanto più strettamente associata alla presidenza di Ronald
Reagan. In attività dal 1973, dispone di un budget annuo che si
aggira sui 25 milioni di dollari e produce annualmente circa 200
documenti. Particolarmente attiva presso i media, è la più
citata tra tutte le istituzioni, e pubblica tra l'altro un
annuario degli esperti in materia di politica pubblica (public
policy), contenente i nomi di 1500 ricercatori ed esperti
neoliberali, repertoriati sotto settanta voci. Una vera pacchia
per i giornalisti frettolosi, che possono ricorrere al loro
avallo "scientifico" citandone le enunciazioni a sostegno dei
loro articoli. Vanno menzionati inoltre due centri
intellettuali: il Cato Institute, in piena ascesa, sostenitore
del "governo minimalista" e specializzato in studi sulla
privatizzazione, e il Manhattan Institute for Policy Research,
fondato nel 1978 da William Casey, futuro direttore della Cia,
che ha esercitato una grande influenza con le sue critiche ai
programmi governativi di redistribuzione dei redditi. Questi due
"think-tanks" raccomandano invariabilmente il mercato come
soluzione di tutti i problemi sociali. Tra i "think tanks" e il
governo esiste un sistema di vasi comunicanti che ha permesso
agli ex combattenti della presidenza Nixon di trovare rifugio
durante l'interregno di James Carter; e lo stesso avviene per
quelli del periodo Reagan-Bush sotto l'attuale presidenza
Clinton.
Fuori dagli Stati uniti, la rete delle istituzioni intellettuali
neoliberali è meno fitta. Nel Regno unito, i "commandos di Mrs.
Thatcher", come volentieri si definiscono, hanno tuttavia
segnato importanti punti a proprio vantaggio nella lotta
ideologica. Vanno menzionati il Centre for Policy Studies,
l'Institute of Economic Affairs, l'elenco delle cui
pubblicazioni si legge come un Whos Who degli economisti
conservatori, e soprattutto l'Adam Smith Institute di Londra che,
a detta di Brandon Martin, esperto in materia, (9) "ha fatto
più di qualsiasi altro gruppo di pressione in seno alla nuova
destra per promuovere nel mondo intero la dottrina della
privatizzazione".
La palma dell'anzianità e dell'influenza a lungo termine spetta
però alla Société du Mont Pèlerin. Nell'aprile 1947, una
quarantina di personalità americane ed europee si sono
incontrate, su invito del professor Friedrich von Hayek, per un
colloquio di dieci giorni nel villaggio svizzero di Mont Pèlerin,
nei pressi di Montreux. Dopo aver sottolineato la gravità del
momento "i valori fondamentali della civiltà sono in pericolo" ,
il gruppo dichiarò che la libertà era minacciata dal "declino
delle idee favorevoli alla proprietà privata e al mercato
concorrenziale; infatti, senza la diffusione del potere e
dell'iniziativa che queste istituzioni consentono, è difficile
immaginare una società in cui la libertà possa essere
effettivamente preservata (10)". Tra il 1947 e il 1994, la
Società di Mont Pèlerin ha svolto 26 colloqui, tutti della
durata di una settimana, in città sempre diverse. Nel 1994 è
stata la volta di Cannes. Nel settembre prossimo i suoi membri,
il cui numero è passato da 40 a oltre 450, torneranno alle
origini austriache di Hayek riunendosi a Vienna. La società
vanta volentieri i sei premi Nobel per l'economia usciti dai
suoi ranghi, ma è più reticente per quanto riguarda l'elenco dei
suoi membri, tutti aderenti a titolo personale: preferisce
evitare "la pubblicità e la mediatizzazione". (11)
Da molti anni, centinaia di milioni di dollari vengono spesi per
la produzione e la diffusione dell'ideologia neoliberale. Da
dove viene questo denaro? Nella fase iniziale, negli anni tra il
1940 e il 1950, il William Volker Fund ha giocato un ruolo
centrale. Al suo intervento si deve il salvataggio di riviste
traballanti, il finanziamento di numerosi libri pubblicati a
Chicago, il pagamento delle cambiali scoperte dell'influente
Foundation for Economic Education, o l'organizzazione di
colloqui in varie università americane. Sempre il Volker Fund ha
finanziato la partecipazione degli esponenti americani alla
prima riunione della Società di Mont Pèlerin.
Già negli anni 60 i neoliberali non erano più del tutto
marginali. Numerose fondazioni di grandi famiglie americane
hanno iniziato allora a sostenerli, e non hanno mai cessato di
finanziare le loro istituzioni. La Fondazione Ford, vero e
proprio "elefante" della munificenza, aveva dischiuso le porte
di molte altre fonti di centro-destra e di centro concedendo 300.
000 dollari di sovvenzioni all'American Enterprise Institute. La
Fondazione Bradley (28 milioni di dollari erogati nel 1994)
finanzia tra l'altro la Heritage Foundation, l'American
Enterprise Institute e varie riviste e pubblicazioni (12). Così,
tra il 1990 e il 1993, quattro riviste neoliberali tra le più
importanti (The National Interest, The Public Interest, New
Criterion, American Spectator) hanno ricevuto da varie fonti 27
milioni di dollari. A titolo comparativo, le sole quattro
riviste progressiste americane di diffusione nazionale (The
Nation, The Progressive, In These Times, Mother Jones) hanno
beneficiato collettivamente, durante lo stesso periodo, di un
totale di contributi volontari di soli 269.000 dollari (13).
Alcune fondazioni che poggiano su grandi e antichi patrimoni
industriali americani, quali la Coors (birra), la Scaife e la
Mellon (acciaio) e soprattutto la Olin (prodotti chimici)
finanziano anche alcune cattedre presso le più prestigiose
università statunitensi. Si tratta di "rafforzare le istituzioni
economiche, politiche e culturali sulle quali si basa l'impresa
privata", secondo l'opuscolo della Fondazione Olin, che già nel
1988 aveva stanziato per questo obiettivo 55 milioni di dollari.
E' ovvio che con importi simili il generoso donatore ha il
diritto di nominare i professori che occuperanno le cattedre, e
di dirigere i centri studi (14). Esistono ormai cattedre Olin di
diritto e di economia presso le università di Harvard, Yale,
Stanford e in numerose altre, tra cui ovviamente quella di
Chicago (15). Lo storico francese François Furet, che ha
ricevuto 470.000 dollari in quanto direttore del programma John
M. Olin di storia della cultura politica all'università di
Chicago, è uno degli illustri beneficiari di queste liberalità.
Il denaro permette così di organizzare la notorietà e il "campo"
nel quale si svolgeranno i dibattiti, costruiti di sana pianta.
Nel 1988 Allan Bloom, direttore del centro Olin per lo studio
della teoria e della prassi della democrazia all'università di
Chicago (che percepisce annualmente dalla Fondazione Olin 36
milioni di dollari) invita un oscuro funzionario del
dipartimento di stato a pronunciare una conferenza. L'oratore si
esibisce proclamando la vittoria totale dell'Occidente e dei
valori neoliberali come risultato della guerra fredda. La sua
conferenza è immediatamente ripresa sotto forma di articolo da
The National Interest (rivista che riceve un milione di dollari
di sovvenzioni Olin) il cui direttore è un notissimo neoliberale,
Irving Kristol, finanziato all'epoca a un livello di 326.000
dollari dalla Fondazione Olin in quanto professore alla Business
School della New York University. Irving Kristol invita Bloom,
insieme a un altro rinomato intellettuale di destra, Samuel
Huntington (direttore dell'Istituto Olin di studi strategici a
Harvard, creato grazie a un finanziamento Olin di 14 milioni di
dollari) a "commentare" quest'articolo sullo stesso numero della
rivista. A sua volta, Kristol interviene con un suo "commento".
Il "dibattito", così lanciato da quattro beneficiari di fondi
Olin, a proposito di una conferenza Olin su una rivista Olin, è
riprodotto subito dopo sulle pagine del New York Times, del
Washington Post e del Time. Oggi, tutti hanno sentito parlare di
Francis Fukuyama e della Fine della storia, divenuto un
bestseller in varie lingue! Il cerchio ideologico si chiude
quando si arriva a occupare le pagine dedicate ai dibattiti sui
grandi quotidiani, la radiodiffusione e gli schermi. Questo
trionfo è stato ottenuto praticamente senza colpo ferire. Se non
si crede che le idee abbiano conseguenze, si finisce per subirle.
note:
* Direttore associato, Transnational Institute, Amsterdam;
autrice, tra l'altro (con Fabrizio Sabelli) di Crediti senza
frontiere, Ediz. Gruppo Abele, 1994.
torna al testo (1) La terminologia può prestarsi a confusione. Negli Stati
uniti i neoliberal si definiscono neoconservatori (o neocon),
dato che qui essere liberal vuol dire essere piuttosto di
sinistra, e comunque votare per i democratici.
torna al testo (2) Il "pensiero unico" è stato identificato, definito e
denunciato per la prima volta da Ignacio Ramonet nel suo
editoriale de le Monde diplomatique del gennaio 1995.
torna al testo (3) Richard Weaver, Ideas Have Consequences, University of
Chicago Press, Chicago, 1948.
torna al testo (4) Leggere Serge Halimi, "L'universita di Chicago, un angolo di
paradiso ben difeso", le Monde diplomatique/il manifesto, aprile
1994.
torna al testo (5) August Friedrich von Hayek, La via della schiavitù, Rusconi,
1995.
torna al testo (6) Ad esempio, Russel Kirk (The Conservative Mind, 1953), Leo
Strauss, (Natural Right and History, 1953).
torna al testo (7) Milton Friedman, Capitalismo e libertà. Studio Tesi, 1995.
Il testo originale, Capitalism and Freedom, era stato pubblicato
nel 1962.
torna al testo (8) Leggere l'inchiesta di Serge Halimi, "Dove nascono le idee
della destra americana", le Monde diplomatique/il manifesto,
marzo 1995. Sullo stesso tema, James Allen Smith, The Idea
Brokers: Think-Tanks and the Rise of the New Policy Elites, The
Free Press, New York, 1991; e George H. Nash, The Conservative
Intellectual Movement since 1945, Basic Books, New York 1976.
torna al testo (9) Brandan Martin, In the Public Interest?, Zed Books, Londra,
1993, p. 49.
torna al testo (10) Statement of Aims, Mont Pèlerin Society, adottato l'8
aprile 1947, citato da George Nash, op. cit., p. 26.
torna al testo (11) Queste indicazioni sulle attività intellettuali della
Société du Mont Pèlerin ci sono state cortesemente fornite dal
suo attuale presidente, Pascal Salin, docente all'università
Paris-Dauphine e consulente molto vicino a Alain Madelin.
torna al testo (12) Leggere Beth Schulman, "Foundations for a Movement: How the
Right Wing Subsidises its Press", Extra!, Fairness and Accuracy
in Reporting (FAIR) New York, marzo-aprile 1995.
torna al testo (13) Leggere David Callahan, "Liberal Policy's Weak Foundations",
The Nation, 13 novembre 1995.
torna al testo (14) Jon Weiner, "Dollars for Neocon Scholars", The Nation, 1
gennaio 1990.
torna al testo (15) Jon Weiner, ibid.
(Traduzione di P.M.)
Articolo tratto da Le Monde Diplomatique del Settembre-1996, inserto mensile de il manifesto
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