DIETRO LE QUINTE
ULTRANAZIONALISMO E SOCIALDEMOCRAZIA IN SERBIA PRIMA DEL 1914


aprile 1999, di Stephen Schwartz


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"Non è solamente questione di una protesta dei lavoratori serbi contro la politica della borghesia serba; dobbiamo salvare l'immagine del popolo serbo agli occhi degli europei di cultura e democratici. Dobbiamo dimostrare che ci sono persone in Serbia, molte persone, che si oppongono a tutto questo e che alla testa di questa opinione si trova la classe lavoratrice e la socialdemocrazia". -- Dusan Popovic, socialdemocratico serbo, 1912.

Uno degli aspetti pi sconcertanti delle Guerre balcaniche dei primi anni '90, che hanno fatto seguito alla fine della Jugoslavia socialista, è costituito dall'apparente assenza dalla scena serba di un'opposizione seria e forte contro le politiche espansioniste e di purezza etnica di Slobodan Milosevic e della sua cricca. Milosevic e i suoi sostenitori hanno fatto opera di propaganda presso il popolo serbo e il mondo, affermando che tutti i serbi, dovunque si trovassero, appoggiavano il progetto di "Grande Serbia" che ha portato alla guerra in Croazia e in Bosnia-Erzegovina, che la patria dei serbi era costituita da una comunità etnica unitaria che si sarebbe automaticamente raccolta intorno alla causa una volta che le affermazioni del martirio serbo in Croazia e in Bosnia-Erzegovina fossero state trasmesse nell'etere. Nessun serbo si sarebbe tirato indietro, perché un tale individuo avrebbe cessato di essere un serbo autentico, sarebbe stato un nemico del popolo serbo, un apostata e un traditore. Una tale obbedienza immediata sarebbe stata, secondo la macchina dei media di Milosevic, un'espressione delle tradizioni nazionali serbe. Milosevic & Co. si sono avvantaggiati anche del vero e proprio tradimento di intellettuali serbi ex dissidenti, i cui maggiori esempi sono Mihajlo Markovic e Ljubomir Tadic, che in passato avevano contribuito alla rivista socialista-umanista Praxis (pubblicata, notiamo, in Croazia), ma che non sono stati assolutamente gli unici. Nel periodo che ha preceduto direttamente il crollo della Jugoslavia socialista, questo gruppo si è distinto per l'intensità e il tono brutale del proprio passaggio dalla convinzione in un pluralismo idealizzato e in una socialdemocrazia post-Tito, a un ultranazionalismo di stile fascista. Ma la verità sulla storia moderna serba non riflette né il mito dell'unità nazionale che sta dietro alla "Grande Serbia" promossa da Milosevic, né il senso frenetico di autocompassione messo in scena da Markovic e dalla sua accolita di intellettuali. In realtà, i serbi del passato non avevano risposto alle chiamate dei loro governanti senza contestare, non si sono lasciati trascinare uniformemente nel culto della sofferenza nazionale e del dettame espansionista e, soprattutto, non mancavano di una coscienza e di un moto di protesta di fronte alle atrocità nazionaliste perseguite dai loro dirigenti. In realtà, i serbi del passato hanno dato vita a tutta una serie di tendenze limitate, ma vigorose, che ripudiavano le pretese imperialiste e i crimini della classe governante di Belgrado. Come contrappeso al programma della "Grande Serbia", il comunismo di Tito, tra il 1943 e il 1989, ha promulgato uno jugoslavismo marxista-internazionalista che si è compromesso sia agli occhi dei serbi, che a quelli dei croati, degli sloveni, dei macedoni e delle altre nazioni o comunità minoritarie dello stato, per la sua evoluzione in un giacobinismo burocratico rigido e corrotto - un programma storicamente in ritardo per uno stato-nazione in cui la comunità multietnica veniva sostituita come base unificatrice da un non esistente "popolo jugoslavo". Tuttavia, un secolo prima che Tito arrivasse al potere, l'illuminista Svetozar Markovic, un seguace dei populisti russi, precursore dell'educazione popolare serba e innegabile patriota serbo, aveva messo in guardia dalla fantasia della "Grande Serbia" - egli è stato, a quanto pare, il primo a utilizzare il termine in maniera critica - che secondo lui avrebbe portato la nazione a un destino peggiore di quello sofferto sotto i turchi. Ma quel che è ancora pi importante, è che trent'anni prima dell'emergere dello stato di Tito, il paesaggio politico serbo offriva un piccolo ma energico Partito Socialdemocratico, che manteneva una combattiva posizione internazionalista a difesa degli albanesi e delle altre vittime dei governanti della Serbia. Il rappresentante di maggiore spicco di questa tradizione era lo scrittore e politico serbo socialdemocratico Dimitrije Tucovic (1881-1914). Una delle tracce pi significative di Tucovic e della sua opera la si può trovare nel Rapporto della Commissione Internazionale d'inchiesta sulle cause e la conduzione delle Guerre balcaniche, pubblicato nel 1914 dal Carnegie Endowment for International Peace (e ripubblicato nel 1993). Tale rapporto analizzava le azioni dei belligeranti in due guerre, la prima tra gli alleati balcanici (Serbia, Montenegro, Grecia, Bulgaria e Romania) e i turchi ottomani, e l'altra tra gli ex alleati, durante il periodo 1912-1913. Lo scopo della coalizione antiottomana era quello di conquistare e spartirsi i territori ottomani che ancora rimanevano in Europa, in particolare la Macedonia. Ma la Serbia e il Montenegro avevano anche serie mire su altri territori, fino ad allora possedimenti ottomani, nei Balcani occidentali: la regione culturale albanese settentrionale che includeva il Kosova e il sangiaccato (parola turca che indica un distretto politico ottomano, pl. sancaklar) di Yenibazar (Novipazar), un corridoio che collega la Bosnia-Erzegovina ai vilayetler (provincie) ottomani di Scutari e del Kosova. Le ambizioni serbo-montenegrine verso l'Albania erano il riflesso di una spinta alla conquista di una parte sostanziale del litorale adriatico, incentrata sulla rotta commerciale tra Scutari, che era il centro commerciale dell'Albania settentrionale, e il porto di mare di Ulqin (It. Dulcigno). Ma questo era stato un obiettivo anche delle politiche della "Grande Serbia" dalla metà del XIX secolo. Le parole impiegate per promuovere questa avventura echeggiavano temi famigliari al discorso nazionalista serbo. Il Kosova, che era all'incrocio della rotta commerciale che da nord a sud collegava Sarajevo-Skopje-Salonicco e che costituiva la via d'accesso al nord dell'Albania, veniva considerato il cuore irredento della nazione serba, sottratto ai serbi dai turchi alla fine del XV secolo. I suoi abitanti, in grande maggioranza di lingua albanese, venivano dichiarati essere in massima parte serbi albanizzati. I rimanenti abitanti di lingua albanese, così come la loro stessa lingua, venivano etichettati come una miscela turco-serba, mentre gli accademici di Belgrado di tanto in tanto spiegavano la presenza albanese nella regione con la teoria allucinante della loro importazione dal Caucaso a opera degli ottomani, nonostante gli albanesi siano stati presenti nell'area ancor prima degli slavi (tali teorie sono ancora moneta corrente a Belgrado, purtroppo). Nel 1912 le truppe serbe si sono spinte attraverso il Kosovo e nell'Albania settentrionale, scarsamente equipaggiate e armate, ma proclamando la "liberazione" della regione con scene di delirio e canti. Gli albanesi hanno reagito con la resistenza, come era prevedibile. Le autorità serbe hanno risposto alle proteste degli albanesi con atrocità che ricordano interamente i pi recenti conflitti balcanici. Nel Rapporto del Carnegie Endowment del 1914 si trova menzione dei socialdemocratici serbi nella seguente citazione, sotto il titolo: "Sterminio, emigrazione, assimilazione": "Per quanto riguarda (gli atti commessi dai) serbi, possediamo prove autentiche nella forma di una lettera di un membro dell'esercito serbo, pubblicata nel giornale socialista serbo Radnicke Novine (Notizie operaie) del 9/22 ottobre (1912)... 'Miei cari amici,' scrive il soldato, 'non ho il tempo di scrivervi diffusamente, ma vi posso riferire cose agghiaccianti che stanno accadendo qui. Ne sono terrificato e mi chiedo incessantemente come degli uomini possano essere così barbari da commettere tali crudeltà. E' orribile. Non oso (nemmeno se ne avessi il tempo, che non ho) dirvi di pi, ma posso diervi che Lume (la regione albanese lungo l'omonimo fiume), non esiste pi. Non ci sono che cadaveri, polvere, ceneri. Ci sono villaggi di 100, 150, 200 case, dove non vi è pi un singolo uomo, letteralmente neanche uno. Li abbiamo raccolti in gruppi da quaranta a cinquanta e poi li abbiamo fatti a pezzi con le nostre baionette fino all'ultimo uomo. Sono in corso saccheggi ovunque. Gli ufficiali dicono di andare a Prizren e di vendere le cose che hanno rubato'". Il giornale che ha pubblicato questa lettera aggiunge:"Il nostro amico ci ha raccontato cose ancora pi terrificanti di queste (!), ma sono così orribili e così offensive della dignità che preferiamo non pubblicarle" (1). Il soldato che scriveva non era altri che Tucovic stesso, unitosi alle forze serbe per stare in mezzo alle masse, mentre portava avanti la sua agitazione del socialismo, al quale aveva aderito come studente delle scuole medie (un particolare abbastanza tipico del contesto dell'Europa Orientale). Egli era rimasto un ufficiale della riserva nell'esercito serbo, nonostante fosse un convinto antimilitarista, ed fu ucciso in un'azione nei primi mesi della Prima guerra mondiale. In altri articoli scritti per Radnicke Novine, sulle Guerre balcaniche e in particolare sulla soppressione degli albanesi, Tucovic scriveva: "Abbiamo tentato di mettere in atto l'omicidio premeditato di un'intera nazione. Siamo stati colti sul fatto mentre compivamo tale atto criminale e siamo stati ostacolati. Ora dobbiamo sopportarne la punizione... Nelle Guerre balcaniche, la Serbia ha raddoppiato non solo il suo territorio, ma anche i suoi nemici... Il nostro nobile popolo sognava terre straniere e libertà straniere, ma noi che siamo stati gli araldi della liberazione nazionale abbiamo portato con noi, invece, il vessillo della schiavit nazionale... La base di tutte le sventure che stiamo soffrendo e che continueremo a soffrire in futuro risiede nel fatto che abbiamo invaso una terra straniera... Abbiamo il diritto di salvare la nostra nazione dalla propagando sciovinista e di impedire che a governare siano le menzogne nazionaliste... I giornalisti di Belgrado sono malvolenti e reazionari. Servono il regime, incitano alla violenza di massa e preparano i loro lettori ad accettare pi facilmente il soffocamento della libertà... Che i lettori si guardino dal ruolo vergognoso svolto dai giornalisti di Belgrado". "Voltaire diceva che il potere ama sempre parlare del suo passato... Ciò è chiaramente vero anche per i piccoli stati balcanici, che volevano creare il loro futuro sulla base del passato. Alcuni si richiamano ai domini del re Dusan, sognano uno stato della Grande Serbia... La memoria di questo 'illustre' passato è inseparabilmente connessa all'espansione territoriale da parte delle classi governanti...". "I possidenti serbi stanno cercando di fare di una minoranza nazionale un maggioranza con i mezzi di uno stato poliziesco e stanno preparando i propri sottomessi a non essere liberi cittadini, ma soggetti passivi. Il regime di straordinarie misure di polizia... è ispirato dal desiderio reazionario di fare avanzare una nazione e di soggiogarne un'altra... allo stesso tempo, esso dà origine a nuove passioni... provocando l'intolleranza e l'odio tra i popoli". "La borghesia serba desidera la libertà della propria nazione al prezzo della libertà di altre nazioni... Noi vogliamo la libertà per la nostra nazione senza negare la libertà degli altri. Questo obiettivo può essere raggiunto nei Balcani solo mediante la formazione di un'entità politica nella quale tutte le nazioni potranno essere completamente eguali... senza tenere conto di chi governasse le varie regioni centinaia di anni fa" (2). Lev Trockij, che si era recato nei Balcani come corrispondente di guerra, scrivendo per i quotidiani liberali russi Kievskaja Mysl' (Il Pensiero di Kiev), Den' (Il Giorno) e Luc (Il Raggio) era un compagno e un amico di Tucovic. E' probabile che Tucovic sia stato la fonte di due dei reportage pi scioccanti di Trockij dal fronte. In 'Dietro l'orlo della tenda', pubblicato da Kievskaja Mysl', Trockij citava tra virgolette un racconto di prima mano delle atrocità militari serbe. "Gli orrori sono cominciati non appena abbiamo attraversato la vecchia frontiera. Il sole era tramontato, stava cominciando a diventare buio. Ma pi diventava buio il cielo, pi aumentava il fulgore con cui la terrificante illuminazione degli incendi risaltava contro di esso. Intorno a noi tutto bruciava. Interi villaggi albanesi erano stati trasformati in roghi - lontano e vicino, fino alla linea ferroviaria... Abitazioni, proprietà accumulate da padri, nonni e bisavoli, andavano in fiamme. In tutta la sua monotonia questo quadro si ripeteva lungo tutto il tragitto fino a Skopje". La rimanente parte di questo lungo resoconto consisteva di una serie, che non si può cancellare dalla memoria, di omicidi, torture, massacri e saccheggi commessi dai soldati e dagli ufficiali serbi (3). Tucovic non era solo un convinto nemico del militarismo e dell'imperialismo serbo, era anche un vero amico del popolo albanese. Per tale motivo, il ricordo della sua figura si è diffuso maggiormente tra gli albanesi che tra i serbi e la sua biografia è stata sfruttata dal regime di Tito come esempio di internazionalismo jugoslavista. Egli era convinto, nei fatti e in notevole misura a ragione, che gli abitanti serbi, montenegrini e albanesi del nord dell'Albania costituissero un'unica comunità regionale interconnessa, che comprende al suo interno due nazioni e tre religioni (gli albanesi della regione sono soprattutto cattolici, mentre alcuni di essi sono musulmani e i serbi e i montenegrini, naturalmente, sono cristiani ortodossi). Ma egli guardava a ciò in una maniera completamente diversa da quella degli sciovinisti serbi i quali dichiaravano che la popolazione non era composta altro che da "serbi albanizzati". In realtà, Tucovic sosteneva che era proprio il contrario: Karadjordje, il capo dell'insurrezione nazionale serba del 1804 e il progenitore della casata regale serba, i Karadjordjevic, era, secondo Tucovic, di origine albanese. Inoltre, pur sostenendo il federalismo balcanico, Tucovic difendeva il diritto dell'Albania all'indipendenza e il carattere a maggioranza albanese del Kosova. Tucovic scriveva: "Le relazioni con le nazioni straniere, e quindi con gli albanesi, devono basarsi su fondamenta democratiche, civili e umane di tolleranza, di esistenza cooperativa e di lavoro... La battaglia condotta oggi dagli albanesi costituisce una lotta naturale, inevitabile e storica per una vita politica differente... La libera nazione serba deve rispettare questa lotta... e negare a ogni governo i mezzi per condurre una politica guerrafondaia" (4). Isolato nel suo rifiuto senza compromessi della "Grande Serbia", il Partito Socialdemocratico Serbo (SSDP), di cui Tucovic era a capo, era una piccola formazione politica fondata nel 1903. Tra gli altri internazionalisti di spicco nel partito vi erano Dusan Popovic, Dragisa Lapcevic e Trisa Kaclerovic. Lo SSDP aveva rapporti con i bolscevichi e con la corrente socialista di sinistra nota con il nome di Tesnjaci, ovvero "Stretti", nonché con Trockij e altri marxisti indipendenti russi. Tucovic e Lapcevic erano stati delegati al congresso dei Tesnjaci del 1910, un avvenimento politico di rilievo all'epoca. Popovic, descritto da Trockij come il "giovane redattore di talento" di Radnicke Novine, ha scritto della campagna albanese del 1912. "I particolari relativi alle operazioni delle forze armate serbe sono terrificanti. Saccheggiano, devastano, bruciano, massacrano e distruggono tutto fino alle radici... Non vi è da meravigliarsi che le nostre masse contadine abbiano tali istinti barbarici, se si pensa che questo stato non ha mai provveduto affinché venissero educate e civilizzate; né dobbiamo rimanere scioccati dagli angusti e miseri orizzonti politici e spirituali dei nostri comandanti militari, che sono stati addestrati a considerare l'assassinio brutale e a sangue freddo di decine di migliaia di albanesi, delle loro mogli e dei loro bambini, come un atto eroico... Gli slogan con i quali tali idee e visioni vengono espressi vengono dagli strati sociali e politici pi alti della Serbia. Non è solo questione di una protesta dei lavoratori serbi contro la politica albanese della borghesia serba; dobbiamo riscattare l'immagine del popolo serbo agli occhi degli europei di cultura e democratici. Dobbiamo dimostrare che vi sono persone in Serbia, molte persone, che si oppongono a tutto questo, e che in prima fila a difendere questa opinione vi sono la classe lavoratrice e la socialdemocrazia" (5). Dragisa Lapcevic scriveva nello stesso periodo, con grande preveggenza e ricorrendo a parole che oggi suonano dense di significato: "Attraverso le politiche del nostro governo sono state create condizioni per cui, per moltissimi anni (forse perfino decenni) ci saranno scontri e sofferenze a catena tra due nazioni sfortunate... La Serbia ha ordinato alle sue armate di sottomettere e schiavizzare... I nostri soldati hanno marciato con i fucili e i cannoni, creando non solo disonore per il loro paese, che una volta aveva una tradizione di rivoluzione e liberazione, ma anche le condizioni per un'eterna discordia. Avremo conflitti e disgrazie costanti se la Serbia non cambierà le sue politiche" (6). A differenza dei pi recenti conflitti balcanici, nel 1912-1913 l'aspetto dell'appoggio della Russia all'aggressione serba era una preoccupazione per molti commentatori e le critiche al ruolo russo erano di gran lunga pi nette di quanto lo siano state nella tragedia del dopo 1989. Trockij si è scatenato contro esempi di "pulizia etnica" ante litteram e il ruolo di complicità che vi avevano i politici zaristi e nazionalisti democratici russi, in due straordinari testi, pubblicati da Den' nel gennaio 1913: "Un'interrogazione extraparlamentare a P. Miljukov", ed "Esiti della 'Interrogazione sui Balcani'". Nella prima, Trockij scriveva: "Signor deputato!... Lei ha frequentemente, sia attraverso le colonne della stampa che dalla tribuna della Duma, assicurato agli alleati balcanici... le simpatie inalterate della cosiddetta società russa per la loro campagna di 'liberazione'. Di recente, durante il periodo dell'armistizio, lei ha effettuato un tour politico nei Balcani... Non ha sentito parlare, durante i suoi viaggi... dei mostruosi atti di brutalità che sono stati commessi dalla trionfante soldataglia degli alleati lungo la loro intera linea di marcia, non solo contro soldati turchi disarmati, feriti o presi prigionieri, ma anche contro i pacifici abitanti musulmani, sui uomini e donne anziani, su bambini indifesi?... I fatti, innegabili e irrefutabili, non la portano a concludere che i bulgari in Macedonia, i serbi nella Vecchia Serbia (Kosova), nel loro sforzo nazionale di correggere i dati delle statistiche etnografiche, non sufficientemente loro favorevoli, sono impegnati semplicemente nello sterminio sistematico della popolazione musulmana?... Non le è chiaro che la silenziosa connivenza dei partiti russi 'pi influenti' e della loro stampa... rende pi facile ai (bulgari e serbi) impegnarsi nella loro opera omicida e proseguire i massacri dei popoli della mezzaluna negli interessi della 'cultura' della croce?"(7). Nel testo successivo, "Esiti della 'Interrogazione sui Balcani'", la polemica di Trockij raggiunge un'intensità rara perfino per lui. Rivolgendosi ancora a Miljukov, egli scriveva: "Dato che i giornali 'pi influenti' hanno messo a tacere o hanno negato le denunce pubblicate nella stampa democratica, un certo numero di bambini albanesi uccisi deve essere messo, signor deputato, sul vostro conto slavofilo. Chieda al suo capo-portinaio di andare a cercarli nel suo ufficio editoriale, signor Miljukov!". Egli continuava così: "La protesta indignata contro il comportamento senza freni di uomini armati di mitragliatori, fucili e baionette era necessaria per la nostra autodifesa morale. Un individuo, un gruppo, un partito o una classe che sono capaci di turarsi 'obiettivamente' il naso mentre osservano uomini ubriachi di sangue e incitati dall'alto massacrare popoli indifesi sono condannati dalla storia a marcire e a venire mangiati dai vermi mentre sono ancora vivi" (8). Data la loro posizione contro l'imperialismo serbo nelle Guerre balcaniche del 1912-1913, non dovrebbe sorprendere che i socialdemocratici serbi abbiano adottato una ferma posizione contro la guerra allo scoppio delle ostilità tra la Serbia e l'Austria-Ungheria, che si sarebbero trasformate nella Prima guerra mondiale. Dragisa Lapcevic e Trisa Kaclerovic, i due deputati del partito nell'assemblea nazionale serba, la Skupstina, avevano votato contro i crediti di guerra nell'agosto 1914 - una posizione condivisa dal movimento socialista internazionale, in quel primo momento, oppure da laburisti britannici come Keir Hardie e John Burns (nel Reichstag tedesco, Karl Liebknecht non aveva votato contro la guerra fino al dicembre 1914; Otto Ruhle, diventato in seguito un noto biografo di Marx e critico del bolscevismo, non si era unito a lui che nel 1915). Nel suo libro "I bolscevichi e la pace mondiale", che si apre con un capitolo su "La questione balcanica", Trockij ha fornito il proprio racconto di testimone oculare del voto nella Skupstina: "Dal momento in cui l'Austria-Ungheria ha posto la questione del proprio destino e di quello della Serbia sul campo di battaglia" scriveva "i socialisti non possono avere il minimo dubbio che il progresso sociale e nazionale verrebbe colpito molto pi duramente nell'Europa sud-orientale da una vittoria asburgica piuttosto che da una vittoria serba. Ma sicuramente, per noi socialisti, non vi è lo stesso alcun motivo per identificare la nostra causa con gli obiettivi dell'esercito serbo. Questa era l'idea che animava i socialisti serbi Lapcevic e Kaclerovic, quando hanno adottato la coraggiosa posizione di votare contro i crediti di guerra". In una nota segnata da un asterisco, egli ha aggiunto: "Per apprezzare in pieno questa azione dei socialisti serbi, dobbiamo tenere presente la situazione politica che si trovavano ad affrontare. Un gruppo di cospiratori serbi aveva ucciso un membro della famiglia asburgica, il principale sostenitore del clericalismo, del militarismo e dell'imperialismo austroungarico. Utilizzando questo fatto come un benvenuto pretesto, il partito militare di Vienna ha inviato alla Serbia un ultimatum che, per la sua estrema impudenza, raramente ha trovato eguali nella storia diplomatica. In risposta, il governo serbo ha fatto delle straordinarie concessioni e ha suggerito che la soluzione della questione oggetto della disputa fosse rimessa al Tribunale dell'Aja. A quel punto, l'Austria ha dichiarato guerra alla Serbia. Se l'idea di una "guerra di difesa" ha qualche senso, certamente essa valeva per la Serbia in questo caso. Nonostante questo, i nostri amici, Lapcevic e Kaclerovic, sono rimasti saldi nella loro convinzione che la linea di azione che dovevano seguire come socialisti era quella di rifiutare al governo il voto di fiducia. L'autore (Trockij) si trovava in Serbia, all'inizio della guerra. Nella Skupstina, in un'atmosfera di incredibile entusiasmo nazionale, si è svolto un voto sui crediti di guerra... Duecento membri hanno tutti risposto 'Sì'. Poi, in un momento di silenzio di tomba, è venuto il voto del socialista Lapcevic: 'No'. Tutti hanno sentito la forza morale di questa protesta, e la scena è rimasta indelebilmente impressa nella mia memoria" (9). L'inizio della guerra ha portato il socialismo serbo in una fase interamente nuova che avrebbe portato alla rivoluzione bolscevica e alla fondazione dell'Internazionale Comunista, alla quale lo SSDP si sarebbe affiliato insieme, nei Balcani, ai Tesnjaci bulgari. La storia del marxismo serbo e della sua relazione con le questioni delle nazionalità è stata stata distorta, per i 60 anni successivi, dagli sviluppi in atto a Mosca e, successivamente, dallo stato di Tito. Questi capitoli sono stati esaminati da tutta una letteratura storica e politica, vasta, anche se incompleta. Nel 1989 le parole taglienti di Tucovic, Popovic, Lapcevic, Kaclerovic e altri opponenti dell'imperialismo serbo sono riemerse per affrontare Milosevic e i suoi colleghi, che cercavano allora di mobilitare l'opinione degli jugoslavi contro gli albanesi del Kosovo: uno studio in tre volumi dei loro scritti, e di quelli di altri, in merito alla questione è stato pubblicato in Slovenia (10). Ma ormai era troppo tardi perché gli avvertimenti storici degli intellettuali socialisti potessero nuovamente stimolare l'opinione interna serba. Tucovic, e Svetozar Markovic prima di lui, venivano banditi come "icone del regime di Tito". La Serbia é stata attraversata da una rivoluzione, che non era l'esito di un capovolgimento elettorale, come quello che in Slovenia e in Croazia ha visto gli ex comunisti riallinearsi come fautori del libero mercato, né della debole pseudo-trasformazione degli stalinisti continuazionisti in una formazione formalmente democratica, come é avvenuto in Romania. Belgrado ha visto invece una rivoluzione di burocrati comunisti che, mantenendo un rigido controllo sull'economia, hanno cercato di perpetuare il loro potere politico mediante il ricorso a tecniche fasciste di mobilitazione nazionalista. Nel secondo periodo di guerre balcaniche del XX secolo la Serbia ha prodotto una rispettabile opposizione contro la guerra, che attingeva soprattutto ai giovani, ai media e a pochi intellettuali. Ma le loro voci sono state isolate e a volte confuse. La classe lavoratrice industriale, agricola e impiegatizia, le migliaia di rifugiati, di soldati chiamati alle armi, che nel loro insieme costituivano la maggioranza dell'opinione pubblica serba, deve ancora farsi sentire. Affinché personalità come quelle di Tucovic e dei suoi compagni possano emergere oggi, affinché alle parole di Tucovic e dei suoi compagni venga anche solo prestata attenzione, ci vorrebbero numerosi fattori che sono assenti: innanzitutto, un chiaro senso di opposizione da parte di un movimento sociale democratico basato sulla classe lavoratrice. Con la stessa esistenza di una tale classe messa ampiamente in dubbio, come possiamo attenderci di vedere qualcosa di meglio di quello che abbiamo visto in Serbia? E tuttavia, una forza ispirata dall'esempio offerto da Dimitrije Tucovic e dei suoi compagni avrebbe potuto offrire una risposta davvero efficiente a Milosevic, ancora più efficiente dell'esercito-fantoccio di Franjo Tudjman, l'autoritario leader croato, o dei bombardamenti degli aerei della NATO.