Il
metodo anarchico di Malatesta
di
Tiziano Antonelli
Giampiero Berti ha
fornito una descrizione personale della vita e del pensiero di
Errico Malatesta; per la profondità e la ricchezza il suo lavoro
costituisce indubbiamente una pietra miliare, al di là della
condivisione o meno dei suoi contenuti. Occuparsi del pensiero di M.
vuol dire quindi anche misurarsi con quest’opera, che cerca di
superare l’apologia tradizionale e le interpretazioni funzionali a
questa o quella tendenza attuale.
Fra le tante
questioni, una mi sembra particolarmente importante e non risolta
dal lavoro del Berti. Malatesta forma la sua concezione in un arco
lunghissimo di tempo e attraverso dibattiti all’interno del
movimento anarchico e del movimento operaio e socialista. E’
possibile dare una visione unitaria di questa concezione, delle sue
articolazioni teoriche, strategiche, tattiche? Una risposta non può
essere data senza stabilire una gerarchia delle fonti: la produzione
di M. è estremamente differenziata e costituita in gran parte da
scritti d’occasione. All’interno di questa massa si può
lavorare in due direzioni:
1.
raccogliendo il
materiale ed ordinando temi e concetti sulla base della maggior
frequenza;
2.
individuare i temi affrontati ed ordinarli a seconda del
contenuto (teorici, strategici, tattici), ed enucleare anche quelle
forme di comunicazione più adatte ad essere comprese da coloro a
cui M. si rivolgeva.
Si pone subito il
problema del Programma Anarchico e del suo ruolo nel modello
interpretativo che andiamo a costruire. La scelta del P. A. è
indubbiamente una scelta politica prima ancora che di indagine
scientifica, almeno al livello attuale della ricerca, ma è una
scelta politica anche considerarlo uno scritto fra tanti.
Il P. A. raggiunge
una sistemazione definitiva al congresso dell’UAI del 1920, tale
sistemazione definitiva è indubbiamente opera di M., ma
all’interno di un dibattito congressuale. Questo fa sì che
l’opera principale di M., quella che definisce le linee teoriche e
strategiche della sua riflessione e della sua azione, è legata
indissolubilmente alla tendenza organizzatrice comunista anarchica.
Inoltre l’elaborazione del programma mostra M.
in un ruolo particolare di intellettuale: come interprete
delle
tendenze
maggioritarie all’interno dell’anarchismo.
Il P. A. è
illuminante su alcune questioni che Berti ripetutamente affronta nel
suo lavoro. Ad esempio il ruolo della storia: solo ad un determinato
punto di sviluppo delle forze produttive la cattiva organizzazione
sociale diviene causa della maggior parte delle sofferenze di cui
soffrono gli uomini; questa relazione era ben presente a M., là
dove sottolinea l’esigenza delle condizioni materiali che stanno
alla base dell’esplicazione della volontà. Un altro aspetto è
illuminato diversamente dal P. A.: là dove si dice che
l’oppressione economica è causa dell’oppressione morale. Se si
abbandona una visione trascendente dell’etica, per cui rispecchia
principi universali, essa si definisce a partire dalle condizioni
materiali d’esistenza: la miseria, la dipendenza economica, lo
sfruttamento sono tutte condizioni che impediscono, a chi ne è
vittima, quella libera scelta che è alla base dell’etica.
Quindi, ritornando
a M., un percorso interessante può essere quello di legare il suo
pensiero alla riflessione su una prassi di trasformazione sociale,
che ha al suo centro la questione economica, e si integra con il
metodo anarchico e con la coerenza mezzi-fini, rimanendo saldamente
ancorata
alla questione di
classe.
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