La volontà libertaria
Malatesta e i problemi del nostro tempo
di
Marco Celentano
Da Hobbes a Locke, da Sade a
Nietzsche, se si fa eccezione per Stirner e pochi altri, la libertà
appare sempre come qualcosa che la natura e la società possono
offrire solo a pochi, e precisamente a coloro che sono disposti a
guadagnarsela a spese della libertà altrui. La filosofia politica,
quando non si inchina all’autorità statale e alla supremazia
delle leggi, si ribella ad esse in nome di un individuo che si
considera eccezionale, e perciò dotato di privilegi che non sono
concessi a tutti. Questo tipo di ribellione contro il potere
statale, come accade nelle rivolte aristocratiche di Sade e di
Nietzsche, è in grado di svelare molti meccanismi del potere, ma
rivendica la completa libertà solo per pochi, e accetta in cambio
la schiavitù dei molti.
Nel comunismo libertario, quale
lo intese e praticò Malatesta,
trovano, invece, una sintesi, due irrinunciabili esigenze:
-
La
piena libertà, per ogni singolo individuo, di maturare,
attraverso le esperienze, le proprie scelte e i propri criteri
di scelta.
-
La
uguale libertà di
tutti, intesa come scopo primo dell’organizzazione sociale, e
realizzata attraverso una abolizione dei privilegi economici,
politici, sociali e culturali.
Con
il problema di riproporre, nella propria epoca, e a partire dal
proprio contesto di vita, pratiche utili alla realizzazione concreta
di tale sintesi, deve misurarsi, a mio avviso, ogni volta di nuovo,
l’anarchismo.
Se
il programma malatestiano appare, a tale scopo, ancora valido, nelle
sue linee portanti, esso è tuttavia, inevitabilmente, da
problematizzare e ripensare, per confrontarsi con la mutata realtà
storica.
L’insegnamento
suo più prezioso resta, forse, in quello spirito problematico,
aperto alla libera sperimentazione, antidogmatico, che Malatesta
espresse, attraverso la parola e l’azione, in tutta la sua vita di
anarchico.
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