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Gradualismo rivoluzionario e rivoluzione permanente in Errico Malatesta

di Gigi Di Lembo

Malatesta, arrivato alla maturità della sua esistenza e della sua militanza, che poi in gran parte sono un tutt’uno, traccia una nuova rotta per l’azione anarchica e riflette sulle peculiarità dell’anarchia e dell’anarchismo come patrimonio di idee e  movimento di lotta.

Semplificando al massimo, come osserva N. Berti, M. arriva allora a sganciare l’una e l’altro da qualsiasi forma di determinismo, sia economico, sia naturalistico o giusnaturalistico, sia filosofico, sia pseudoscientifico. L’Anarchia è un esigenza etica sentita da chi soffre per la propria o l’altrui servitù, sia economica o civile o morale, sentita in altri termini da chi non può essere felice se non nella felicità di tutti. Gli anarchici hanno questa esigenza e soprattutto hanno la volontà di costruire una società che la soddisfi; cioè, come minimo, senza governi (di pochi o di maggioranze) e senza padroni (privati o di stato), una società quindi di uomini liberi e solidali basata sui liberi accordi. Se l’Anarchia è priva di qualsiasi necessità intrinseca, è la Volontà di arrivarci ad assumere il carattere di fattore portante, d’altronde M. si è ormai convinto che il vero motore dell’ intero svolgimento umano, nel bene e nel male, sia, e sia stato sempre, un fatto di volontà.

Esigenza etica e Volontà come unici motori dell’Anarchia comportano però non pochi problemi: Intanto pone gli anarchici nella condizione di minoranza agente; non solo nei momenti cruciali quando per M. sono sempre le minoranze il fattore determinante, ma anche nell’agire, per così dire, quotidiano. Inoltre impone loro l’assoluta coincidenza tra fini e mezzi, pena muoversi in modo assurdo o controproducente: in sostanza l’anarchia non la si può imporre. La Volontà poi incontra dei limiti oggettivi: quelli dati da una natura tutt’altro che benigna, quelli dati dal momento che attraversa  la società e, soprattutto, quelli dati dalla logica interna ad ogni azione:

legge generale, assiomatica dell’evoluzione [è] che niente avviene senza causa sufficiente, che nulla si può fare senza avere la forza di farlo […] l’anarchia non può essere l’effetto di un miracolo […] la coscienza, la volontà, la capacità si svolgono gradualmente e trovano occasione e modo di svilupparsi nel graduale modificarsi dell’ambiente, nella realizzazione delle volontà a misura che si formano e diventano imperiose, così l’anarchia non può avvenire che a poco a poco, crescendo gradualmente d’intensità ed in estensione. Non si tratta dunque di fare l’anarchia oggi o domani o tra dieci secoli; ma di camminare verso l’anarchia oggi, domani, sempre.

M. scarta quindi una rivoluzione “anarchica”, non tanto per le difficoltà esterne ma per evitare il “giacobinismo”: in sostanza perché l’anarchia ha bisogno di essere liberamente scelta. D’altra parte considera utopico l’avvicinamento delle masse all’anarchia attraverso la semplice propaganda;  si tratta infatti di assimilare una prassi di libertà e solidarietà il che può avvenire solo in un clima di libertà,  impensabile nelle società autoritarie dei governi e dei padroni. Si indirizza allora verso il concorso degli anarchici ad ogni momento di rottura dei vecchi equilibri sociali , quello che permette l’emergere di quanto si è nel frattempo evoluto nei rapporti umani. Concorso però ben caratterizzato nello spingere all’insurrezione, cioè, dove non ne sia possibile la distruzione, alla paralisi, massima e più lunga possibile, del governo e del padronato, così da aprire spazi alla libera sperimentazione, necessaria agli anarchici per rendere concrete le proprie idee, e alla società per fare i primi passi verso l’autogoverno e un sistema economico solidale. Per M. infatti:

Bisogna ben distinguere il fatto rivoluzionario, che abbatte quanto più può del vecchio regime e vi sostituisce nuove istituzioni, dai governi che vengono dopo ad arrestare la rivoluzione e a sopprimere più che possono delle conquiste rivoluzionarie… 

Più a lungo gli anarchici contribuiranno a impedire l‘istaurarsi di un nuovo governo e quanto più incisiva sarà la loro presenza tanto più metteranno radici, idee e prassi di libertà e solidarietà, rendendo più difficile per i nuovi governi estirparle del tutto e diventando esse stesse patrimonio di base per i nuovi rivolgimenti. Questo in sostanza il gradualismo rivoluzionario di M.

Fabbri per primo capì che M. aveva elaborato queste sue idee, nella loro essenza, già negli anni di fine secolo (1897-99) e vide le elaborazioni successive, per intendersi quelle di “Pensiero e Volontà” (1924-26), solo come una sistemazione delle prime. Diversamente Borghi fece osservare a Fabbri che gli avvenimenti del dopoguerra avevano inciso sul pensiero stesso di M.

In verità non poteva essere diversamente, basti pensare ai ripensamenti in campo anarchico a seguito della vittoria bolscevica in Russia e quella fascista in Italia; ad esempio il piattaformismo, a livello internazionale, o il cosiddetto revisionismo tra gli italiani. In realtà M., alla luce di quelle esperienze, pur rimanendo saldamento ancorato alla elaborazione di fine secolo, a mio avviso, vi apporta delle variazioni di accento che ne modificano non poco le prospettive. L’ultimo M.,lungi da un maggior possibilismo verso soluzioni da “meno peggio”, sembra accentuare ancora, nell’azione anarchica, il valore:  1) del nesso fini-mezzi e, di conseguenza, dell’anarchismo che “rischia” quasi di coincidere con l’Anarchia, 2) dell’ insurrezione, che diventa praticamente l’ unico momento rivoluzionario, unica finestra operativa che si possa presentare per gli anarchici. In altri termini si ha una sottolineatura della funzione rivoluzionaria e critica dell’elemento anarchico al limite di una linea di rivoluzione permanente. A questo proposito è illuminante l’atteggiamento assunto da M. nei riguardi della Piattaforma (Vexata questio dell’organizzazione a parte, mi riferisco alla critica di M. al tipo d’azione, al tipo d’anarchismo quindi, proposto da Makno) e nei riguardi della cosiddetta rivoluzione del ’31 in Spagna, quando M. ha posizioni opposte a quella di M. Nettlau e dei vertici della CNT. Atteggiamenti che poi sono anche le ultime prese di posizione di Malatesta prima che la morte lo spenga.