Cinquant’anni fa moriva Errico Malatesta
di
Gaetano Manfredonia
pubblicato sulla stampa anarchica francese in occasione del cinquantenario della morte di E. Malatesta
Nell’ambito del movimento anarchico, Malatesta è visto come il prototipo stesso del militante sempre fedele a se stesso e a un ideale di giustizia e di libertà che difenderà con eguale fervore per tutta la vita. Malatesta costituisce un notevole esempio di coerenza rivoluzionaria.
La sua incredibile attività militante si sviluppa su più di mezzo secolo e lo vede coinvolto, in Europa come in America, nelle vicissitudini del movimento anarchico, dal congresso di Saint-Imier fino ai dibattiti sul piattaformismo degli anni ’30. Eppure, fino a qualche anno fa, si poteva dire che Malatesta fosse ampiamente sconosciuto in Francia. Successivamente, numerose riedizioni dei suoi opuscoli e la pubblicazione delle raccolte di suoi articoli sono giunte a colmare almeno in parte questa lacuna. Solo in parte, dato che il contributo specifico di Malatesta al movimento italiano ed internazionale resta ancora in gran parte da scoprire. Più pratico che teorico, troppo spesso alcuni hanno voluto vedere nella sua attività quella di un propagandista, instancabile certo, ma che si è limitato a compiere un’opera di sistemazione e di divulgazione delle dottrine anarchiche negandogli ogni apporto originale. Questo vuol dire, secondo noi, sottovalutare pesantemente il contributo dell’anarchico italiano.
Le problematiche sollevate da Malatesta, lungi dall’essere sorpassate, continuano a presentare una grandissima attualità. A Malatesta, più ancora che a Kropotkin stesso, va il merito di aver maggiormente contribuito a dare al nostro movimento la sua espressione politica più compiuta. Durante tutta la sua vita militante, Malatesta porta avanti uno sforzo costante di chiarificazione teorica mirante a mettere in luce i fondamenti sociali ed etici dell’anarchismo.
Un anarchismo fondato sulla coerenza dei mezzi e dei fini; un anarchismo senza aggettivi, largo, pluralista, antidogmatico, che poggia sull’analisi dei fatti, ma che non fa alcuna concessione sui principi.
Un anarchismo sociale, dopo un primo periodo giovanile - durante il quale Malatesta si mostra ancora troppo tributario di schemi insurrezionali ispirati al ‘48, e che derivano da un vecchio fondo di blanquismo condiviso in quel momento da tutti gli anarchici, - questi si renderà ben presto conto che una rivoluzione fatta da un solo partito, senza l’appoggio delle masse, condurrebbe ad una nuova dittatura. Rompendo risolutamente con le esitazioni dell’epoca, egli propone la lotta in seno alle masse, per gli scioperi e le rivendicazioni operaie, ricollegandosi così alla la tradizione di Saint-Imier.
Il discorso di Malatesta è un discorso di classe, tuttavia egli si rivolge indistintamente a tutti gli sfruttati della società borghese (contadini, operai o intellettuali). Talvolta pure, preferirà utilizzare la nozione di popolo piuttosto che quella di proletariato, senza per questo cadere nel populismo interclassista. La costante preoccupazione di essere con il popolo, condividere le sue aspirazioni, confondersi con esso, costituisce senza dubbio uno dei tratti specifici del modo di procedere malatestiano.
Ma contrariamente ad altri, egli si rifiuterà sempre di idealizzare le classi operaie, di indicare un “soggetto” rivoluzionario privilegiato, e si mostrerà sempre critico verso le possibilità rivoluzionarie intrinseche degli sfruttati. Profondamente umano nel suo procedere, Malatesta farà della realizzazione di una società anarchica il compimento di un ideale comune a tutti gli uomini. Mentre si oppone ad ogni violenza inutile, a tutti i fanatici di una idea, il suo discorso etico va tuttavia di pari passo con il riconoscimento della lotta di classe e dell’impiego necessario della violenza rivoluzionaria per venirne a capo.
Volere l’anarchismo
La nostra società fondata sull’oppressione dell’uomo sull’uomo, non morirà a causa della sue contraddizioni interne; le possibilità di realizzare una società libertaria non dipenderanno dalle leggi della società, da una qualsiasi evoluzione interna. Se la storia dovesse dimostrarci qualcosa, sarebbe semmai il contrario: dovunque lo sfruttamento ha trionfato e trionfa.
Sta a noi, e con noi a tutti gli sfruttati, a tutti i rivoluzionari, conquistare un nuovo mondo. L’anarchismo per Malatesta non è affatto una cosa ineluttabile, ma una scelta di società necessaria che ci spetta di concretizzare. Da questo punto di vista, l’attualità di Malatesta è particolarmente presente.
In un’epoca in cui l’assenza di scelta appare come la principale caratteristica del movimento rivoluzionario, in cui le sole possibilità di cambiamento sociale che ci sono offerte passano attraverso un pallido riformismo, volere l’anarchismo, affermare la nostra scelta libertaria deve permettere di spezzare il cerchio del consenso sociale. L’anarchismo di Malatesta tuttavia non è mai idealismo. Fare di questi il difensore di un ideale anarchico a-temporale, i cui canoni sono stati formulati una volta per tutte e che conterrebbe già tutte le risposte possibili, è un procedimento falso che costituisce una negazione flagrante sia dello spirito che della lettera dell’insegnamento malatestiano.
Il suo anarchismo è profondamente ancorato alla storia e si sforza di fornire risposte alle domande poste dalla storia. Il suo ideale anarchico non resta tra le nuvole, ma si modifica a contatto con la realtà.
Un approccio politico
In fondo, l’approccio della rivoluzione sociale da parte di Malatesta è essenzialmente “politico”. Che si tratti del suo insurrezionalismo, del “partito” anarchico, del problema delle alleanze rivoluzionarie, la sua preoccupazione costante sarà di rendere conto delle condizioni che rendono possibile la rottura rivoluzionaria e di integrarle nel suo discorso militante. In un dato momento della nostra storia, quando ogni sforzo organizzativo, ogni accordo stabile tra i gruppi, e persino l’idea stessa di un congresso erano percepiti da uno come Jean Grave come “vestigia del parlamentarismo” o “forme antiquate d’organizzazione”, a Malatesta spetterà il merito di aver propugnato, per primo (fin dal 1889, dopo la scomparsa dell’AIT anti-autoritaria), l’organizzazione delle forze anarchiche sulla base di un programma liberamente accettato e rispettato da tutti. E ciò per condurre un’azione specifica di “partito”, indipendente da ogni organizzazione operaia e sindacale . Malatesta non abbandonerà mai questo punto di vista, e rilancerà in diverse occasioni l’idea di organizzare il partito anarchico, sempre animato da un largo sentimento di tolleranza verso le altre correnti dell’anarchismo.
Certo, Malatesta sa, e lo dice, che la rivoluzione non è il fatto di un partito, foss’anche quello anarchico, ma sono le masse che la faranno, e gli anarchici costituiranno solo una della forze che agirà nel suo seno. Essi dovranno così tener conto degli altri partiti che si richiamano alla rivoluzione; da qui il problema di stabilire alleanze rivoluzionarie, problema che egli risolverà in maniera empirica nel 1914, durante la settimana rossa, o nel 1920, durante l’occupazione delle fabbriche.
Ma il ruolo che devono svolgere gli anarchici è considerevole: minoranza agente, che deve spingere le masse “a fare” da sé. Educarle, dare l’esempio, guadagnarle alle nostre idee, insomma imprimere nel movimento di rivolta popolare lo slancio libertario necessario per evitare che ricada in strade già battute in passato. “Una rivoluzione – scriverà - sarà anarchica solo in misura delle nostre forze”. La costruzione di una società anarchica non si farà in un colpo solo, ma per tappe, tappe segnate ognuna da una rottura rivoluzionaria.
Il gradualismo di Malatesta non è né riformismo né riconoscimento di un periodo di transizione, ma il tentativo più avanzato di definire l’atteggiamento degli anarchici prima, durante e dopo la rivoluzione.
Il revisionismo di Malatesta
Malgrado la sua costante preoccupazione di mettere in valore e salvaguardare la specificità anarchica contro ogni “deviazione” individualista, terrorista, sindacalista, bolscevica del movimento, ciò non di meno Malatesta fu un “revisionista” dell’anarchismo. Si sforzerà sempre di fa aderire l’anarchismo alla realtà sociale denunciando i miti facili di cui i militanti si nutrivano, di andare controcorrente quando le scelte del movimento gli sembravano pregiudizievoli per la causa.
Non ci sarebbe ironia peggiore che fare di lui una sorta di cerbero posto a difesa di una “ortodossia” anarchica che avrà contribuito di più a forgiare. Lui, che era stato uno degli istigatori dell’adozione del comunismo anarchico e dell’abbandono del collettivismo bakuninista in seno all’AIT, si rifiutò sempre di vedere nel comunismo la sola forma di organizzazione economica compatibile con i principi libertari.
Dopo aver “teorizzato” e praticato la propaganda attraverso il fatto in gioventù, sarà uno dei pochi, con il suo amico Merlino, ad osare alzare la voce per protestare in piena infatuazione ravacholista contro gli eccessi del terrorismo, al punto di vedersi, lui partigiano dell’insurrezione armata, accusato di legalismo. Malatesta, che aveva indicato la necessità per gli anarchici di entrare nelle organizzazioni operaie per farvi della propaganda, sarà colui che contribuirà maggiormente a preservare la specificità anarchica di fronte all’entusiasmo sindacalista del momento.
La lista degli esempi sarebbe ancora lunga. Limitiamoci a segnalare che Malatesta, fino agli ultimi anni della sua vita, proseguirà quel lavoro di rielaborazione delle scelte tattiche del movimento, fino ad attaccare lo stesso Kropotkin e le sue concezioni giudicate troppo ottimistiche. E se oggi le scelte di Malatesta ci appaiono essere tributarie del semplice “buon senso”, se la fondatezza delle sue opinioni si è imposta a tutti, non dimentichiamo che all’epoca in cui le sue idee erano espresse, non sollevavano certo l’unanimità.
Il grande merito di Malatesta sarà stato quello d’aver scosso le idee correnti, le credenze facili del momento, per compiere un proficuo lavoro di messa a punto rivoluzionaria del nostro ideale.
Un insegnamento per l’avvenire
Malatesta non ha fatto tutto, non ha detto tutto. I suoi grandi meriti rappresentano oggi i suoi limiti. IL suo approccio anarchico rimanda ad una metodologia che si fonda sulla coerenza del rapporto mezzi/fini. Questa metodologia è certamente quello che resta di più vivo nell’apporto di Malatesta. Essa deve servirci da cornice per la nostra azione militante di tutti i giorni, ma questa cornice in se stessa è incapace di fornirci le risposte di cui abbiamo bisogno. Non bisogna chiedere a Malatesta quello che non può offrirci; questo compito è demandato al valore, alle capacità, alla chiaroveggenza degli uomini del presente. Malatesta non ha una risposta bell’e fatta da fornirci, ma piuttosto dei consigli da darci. Così, ad esempio, una volta riconosciuta la necessità dell’organizzazione anarchica, niente è ancora detto sul modo effettivo del suo funzionamento. Contrariamente a quello che pensano gli autoritari, non c’è una sola forma di organizzazione, ed è possibile concepire diversi raggruppamenti anarchici specifici funzionanti con modalità diverse, ma sempre anarchiche. È solo l’esperienza del momento, il contesto storico che decideranno la validità di una forma o di un’altra d’organizzazione.
Così, per quel che concerne il movimento operaio, Malatesta ci fornisce tutt’al più la cornice del nostro intervento.
Lavorare dentro o fuori i sindacati, insieme o contro, non è in Malatesta, malgrado la sua luminosa critica del sindacalismo, che troveremo la risposta. Il pensiero di Malatesta non costituisce la soglia invalicabile dell’anarchismo odierno. E tuttavia questo è vero almeno nella misura in cui il nostro movimento è stato incapace di risolvere finora i problemi sollevati da Malatesta e che necessitano ancora di una risposta.
Malatesta ci sembra essere oggi il punto di partenza obbligato, ma solo il punto di partenza, di ogni ulteriore riflessione sul movimento anarchico.
Siamo malatestiani fino in fondo e andiamo avanti.
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