Gli
anarchici e l'informazione - tra fantasmi e consistenze
di
Gianfranco Marelli
“In principio era la stampa e poi apparve
il mondo.
K. Kraus
“In principio
era l’informazione, per essa accade il mondo.”
G. Anders
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Necessariamente si
è obbligati, quando si analizza il rapporto tra gli anarchici e
l’informazione, suddividere la questione in due fondanti aspetti:
gli anarchici dell’informazione (ossia, in che modo
l’informazione si occupa di loro) e l’informazione degli
anarchici (vale a dire, i modi e gli strumenti che essi utilizzano
per informare). Questo non solo perché essere soggetti,
protagonisti, dell’informazione è evidentemente diverso
dall’esserne l’oggetto della stessa, quanto perché
l’informazione è una modalità del comunicare che tradisce la sua
essenziale peculiarità di trasmettere ordini, e pertanto incespica
ogni qual volta l’argomento concerne l’anarchia: vale a dire il
tanto vituperato disordine. Cosicché anche la più semplice
esplicazione di chi sono gli anarchici – “coloro che non hanno
capi” – fa cortocircuitare l’informazione al punto da esser
costretta ad inventarsi non tanto di sana pianta gli anarchici,
quanto i “capi” degli anarchici. Malatesta docet.
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Certo, gli anarchici
dell’informazione difficilmente esulano da archetipi, modelli, che
se assolvono alle necessità informative della polizia, altrettanto
soddisfano le curiosità di chi – degli anarchici – preferisce
ricondurli a facili interpretazioni pregiudiziali (o utopisti, o
terroristi), piuttosto che cercare di conoscerli per quello che
sono, confrontandosi con loro. Dopotutto, “l’anarchico” è
sempre un aggettivo e quasi mai un sostantivo quando
più che cercare risposte ai problemi posti ci si accontenta di
formulare domande desuete, mal celando supponenza, alterigia e
spocchia. Essere diversi è di per sé una colpa che si espia avvicinandosi
il più possibile alla anormalità. Cosicché gli anarchici non
possono che essere o utopisti, oppure terroristi, altrimenti
darebbero da pensare.
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Capita pure – ma
è un’eccezione che conferma la regola – che gli anarchici
dell’informazione possano apparire per quello che sono nella loro
normale quotidianità: soggetti attivi all’interno delle lotte
sociali, affermanti pratiche di libertà attraverso metodi
organizzativi autogestionari, dove la delega è sempre uno strumento
e mai uno scopo. È vero che sarebbe più corretto parlare di
anarchismo e non di anarchici, poiché il loro impegno non è
finalizzato a divenire in alcun modo “guide”, “leaders”,
“capi”, bensì ad attuare un metodo pratico dove sperimentare
soluzioni a specifici problemi senza ricorrere a forme organizzative
gerarchiche e autoritarie (o limitandone sempre più). Cosicché
diviene difficile (ma soprattutto inutile) individuare gli anarchici
in quanto non si danno pregiudizialmente diversi da chi nelle
pratiche di lotta quotidiana attua l’anarchismo, ossia forme di
organizzazione anarchica. E allora, delle due l’una: o gli
anarchici dell’informazione assumono necessariamente connotazioni
anormali – solvendo le esigenze di un’informazione che a-priori
deve necessariamente identificarli come diversi, financo “capi”
–, oppure l’informazione li ignora, ignorandone vieppiù il
metodo.
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Di quest’ultimo
aspetto occorre osservare e approfondire la questione della
“visibilità mediatica” e di come essa attui regole non
facilmente eludibili. La prima è che per esistere bisogna apparire.
Poiché per apparire non è necessario soltanto esistere, ciò
significa che non si possiede una “visibilità mediatica” per
come si è; al limite si è posseduti dalla “visibilità mediatica”
per come si può apparire funzionali all’informazione.
Generalmente ciò concerne due aspetti: il politico/culturale e il
poliziesco. Di entrambi poco importa la coerenza, quanto
l’apparenza. Cosicché si può essere considerati – e
considerarsi – “anarchici” pur sedendo in Parlamento, esser
Ministro, o addirittura Capo del governo, così come considerarsi
– ed essere considerati –“anarchici” pur essendo un
infiltrato, un prezzolato, un poliziotto. Ovviamente tali estremi
non precludono – anzi, includono – possibili variazioni sul
tema, cosicché come non è necessario esser deputati per adombrare
un’aura di anarchico utopista, allo stesso modo non è
indispensabile farsi assumere in forza dalla Digos per ammantarsi di
un’aura da anarchico insurrezionalista. Per tutti – anarchici e
non – valgono i più banali quindici minuti di celebrità!
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Cosa non si fa per
la celebrità. In primis, cercare di essere interessanti per i
media. In quanto “anarchici” – se si rispettano i clichés –
non è affatto difficile. Difficile, invece, è accettarne le
conseguenze. Perché risulta defatigante il doversi sempre smarcare
ogni qual volta i riflettori sono puntati addosso: non c’è
chiarezza che possa mai a sufficienza cancellare le ombre. Cosicché
le solite domande – ovvie, e in parte anche legittime –
ricondurranno il discorso degli anarchici, ad un discorso sugli
anarchici, dove qualsiasi sfumatura varrà quanto una precisazione,
qualsiasi pregiudizio varrà quanto un giudizio di merito, qualsiasi
“nota di colore” varrà quanto una constatazione. Perché il
linguaggio dei media è impostato su tempi e spazi circoscritti e
obbligati dall’intrattenimento che tritura ogni fatto in notizia e
ogni notizia in merce preconfezionata (e viceversa).
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Se li conosci li
eviti? Benissimo. Il problema però rimane se si osserva che il non
volere avere rapporti con i media, non significa che i media non
hanno rapporti con gli “anarchici”. Ma, quel che più conta, è
che gli “anarchici” sono già oggetto dell’informazione
mediatica al pari di qualsiasi soggetto reale che
l’informazione spettacolare trasmette come oggetto iper-reale,
virtuale, dal momento che la merce/simulacro è sufficiente a se
stessa, in quanto ciò che appare può anche non essere. Fantasmi,
gli anarchici, che popolano l’immaginazione collettiva, quanto più
non è facile trovarne traccia e consistenza nei media.
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…Traccia
e consistenza che, invece, traspaiono prepotentemente
nell’informazione degli anarchici, quasi ad affermare la continuità
fra azione e pensiero: vera e propria caratteristica di questo
movimento rivoluzionario. Sarebbe infatti opportuna un’analisi
gnoseologica dell’informazione degli anarchici al fine di
comprenderne le modalità pratiche che determinano il loro
organizzarsi, nel senso che è proprio attorno al realizzarsi di
strumenti d’informazione che si è formato il movimento anarchico,
sviluppando percorsi e processi organizzativi specifici. Dai fogli
unici al quotidiano “Umanità Nova”, passando per le miriadi di
riviste apparse e riapparse nel corso del tempo, non si è mai dato
un processo organizzativo degli anarchici che non abbia visto il
sorgere di uno strumento informativo ad hoc, tant’è che la
vitalità degli anarchici – in quanto movimento organizzato – è
attorno ad uno dei loro giornali. Trovati questi, trovati gli
anarchici.
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La consistenza degli
anarchici – che in parte ne determina la sua peculiare
caratteristica – passa attraverso l’organizzazione di strumenti
comunicativi posti in campo (giornali, riviste, libri) al fine di
dare forma e concretezza alla propria azione: informare, appunto.
Essa si attua a partire dal disvelamento delle incrostazioni
ideologiche sulla realtà quotidiana, affinché sia ancora possibile
formulare quelle domande inquiete e spiazzanti che l’attuale
sistema di dominio soffoca con risposte concilianti e rassicuranti.
Ma soprattutto terrificanti.
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