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Malatesta e l'individualismo anarchico di Emile Armand

di Enzo Papa

 

La stesura di queste note era stata stimolata in origine dalla lettura del testo di Emile Armand Iniziazione individualista anarchica, lettura consigliata com’è noto da Malatesta, ma poi mi è sembrato opportuno affrontare, seppure in modo molto approssimativo, la questione dell’idea di individualismo politico, anche solo per tentare qualche definizione che tenesse conto di alcune implicazioni più generali e che fosse in grado di precisare lo spazio di questa discussione.

La presenza nel pensiero e nel movimento anarchico di correnti di tipo collettivistico, mutualistico, comunistico, individualistico, si spiega col fatto che una della principali preoccupazioni degli anarchici è quella organizzativa. Si tratta di una messa a confronto puntigliosa, caparbia, polemica, appassionata, che coinvolge i fautori dell’organizzazione così come suoi critici, e questo naturalmente, nelle varie gradazioni. È abbastanza evidente che una concezione più o meno favorevole all’organizzazione formale si rifletterà necessariamente nelle metodologie di lotta adottate, nelle pratiche di resistenza sociale, negli atteggiamenti relazionali ed esistenziali.

La messa a confronto, la chiarificazione, la verifica delle varie posizioni non possono, nel metodo anarchico, costituire una semplice esigenza di catalogazione né un mero rigurgito democratico finalizzato a rappresentare le diverse “scuole” presenti, magari secondo la loro importanza numerica. Esse sono invece lo strumento decisivo, non finalizzato ad una integrazione delle varie tendenze - integrazione poco probabile e forse poco auspicabile – ma ad imprimere al movimento anarchico lo slancio necessario ad esprimere tutte le sue energie.

In una società disciplinare come la nostra, che ha fatto dell’esclusione una delle sue tecniche di controllo privilegiate, l’anarchismo non può che muoversi nella direzione opposta: quella della non-esclusione. Non sono mancate tuttavia, nel movimento anarchico, situazioni in cui esponenti di tendenze diverse hanno usato l’uno contro l’altro l’arma insidiosa della reciproca delegittimazione; un’arma che  indebolisce o paralizza la critica dell’anarchismo verso il Potere, quando non lascia addirittura dei militanti alla sua mercé. Basti a proposito ricordare che Bakunin dovette dedicare anni della sua attività politica a difendersi dall’accusa, mossagli in questo caso da giornali vicini a Marx, di essere un agente dello zar.

Malatesta, com’è noto, aderiva alla corrente del comunismo anarchico. E tuttavia non ha mai escluso dal novero dell’anarchismo le altre tendenze, per quanto le ritenesse distanti. Anzi, nonostante la durezza del confronto con le altre tesi ai suoi tempi, egli si è guardato bene dal cadere  nel circolo vizioso delle delegittimazioni e dei veti incrociati perché ne intuiva l’effetto paralizzante per il movimento, e infatti affermava:

<<Vi sono tra gli anarchici di quelli che amano qualificarsi comunisti, o collettivisti, o individualisti, o altrimenti. Spesso è questione di parole diversamente interpretate che oscurano e nascondono una fondamentale identità di aspirazione; qualche volta si tratta solo di teorie, di ipotesi con cui ciascuno spiega e giustifica diversamente conclusioni pratiche identiche[1]>>.

Se quindi molte delle differenze tra le diverse correnti sono spesso dovute ad insufficiente confronto e chiarificazione, se molte distinzioni fra le varie scuole dell’anarchismo sono da attribuirsi più ad un irrigidimento polemico e a volte del tutto pretestuoso, questo non vuol dire che le differenze non esistano o che vadano sottovalutate o negate. Eppure Malatesta sembra convinto che più si proceda nell’opera di chiarificazione delle reciproche differenze sul piano teorico, più si debba riconoscere la sostanziale unità di intenti e di obiettivi, per cui egli non rifugge mai dal lavoro di verifica e precisazione.

<<Bakunin, dice Malatesta,  era anarchico e collettivista, nemico fiero del comunismo perché in esso vedeva la negazione della libertà e quindi della dignità umana. E con Bakunin, e lungo tempo dopo di lui, furono collettivisti (proprietà collettiva del suolo, delle materie prime e degli strumenti di lavoro, e attribuzione del prodotto integrale del lavoro a ciascun produttore, detratta la quota necessaria per i carichi sociali)  quasi tutti gli anarchici spagnoli che pur erano tra gli anarchici più coscienti e conseguenti.

Altri per la stessa ragione di difesa e garanzia della libertà si dichiarano individualisti e vogliono che ciascuno abbia in proprietà individuale la parte che gli spetta di mezzi di produzione e quindi la libera disposizione dei prodotti del suo lavoro.

Altri escogitano sistemi più o meno complicati di mutualità. Ma insomma è sempre la ricerca di una più sicura garanzia della libertà che forma la caratteristica degli anarchici e li divide in scuole diverse.[2]>>

Nonostante Malatesta, proprio in quanto comunista anarchico, si sia trovato spesso in aperto contrasto con la corrente individualistica anarchica, ciò non gli impediva di vedere al di là della difesa ad oltranza di un punto di vista, giungendo a chiarire la pretestuosità di certe contrapposizioni e a dare una definizione piuttosto corretta della concezione individualistica e persino delle sue ragioni:

<< Gli individualisti suppongono o parlano come se supponessero, che i comunisti (anarchici) vogliono imporre il comunismo, il che naturalmente li metterebbe assolutamente fuori dall’anarchismo.

I comunisti suppongono, o parlano come se supponessero, che gli individualisti (anarchici) respingono ogni idea di associazione, vogliono la lotta tra uomo e uomo, il dominio del più forte (v’è stato chi in nome dell’individualismo ha sostenuto queste idee e peggio, ma quelli non possono dirsi anarchici)- e questo li metterebbe non solo fuori dell’anarchismo ma dell’umanità.

In realtà i comunisti sono tali perché nel comunismo liberamente accettato vedono la conseguenza della fratellanza e la garanzia migliore della libertà individuale. E gli individualisti, quelli che sono veramente anarchici, sono anti-comunisti perché temono che il comunismo sottoporrebbe gli individui nominalmente alla tirannia della collettività e in realtà a quella del partito o della casta, che colla scusa di amministrare riuscirebbero ad impossessarsi del potere e a disporre delle cose e quindi degli uomini che di quelle cose hanno bisogno – e vogliono perciò che ciascun individuo, o ciascun gruppo possa esercitare liberamente la propria attività e goderne liberamente i frutti in condizioni di eguaglianza con altri individui e gruppi, conservando con essi rapporti di giustizia ed equità.

Se è così, è chiaro che differenza essenziale non v’è.>>[3]

Anche questa conclusione dimostra come l’intento di Malatesta fosse non quello di annullare le diversità organizzative, metodologiche o esistenziali delle varie correnti di pensiero anarchico, ma di recuperarne la sostanziale compatibilità con il progetto generale dell’anarchismo.

D’altro canto, se l’inconciliabilità tra comunismo autoritario e comunismo anarchico dovrebbe apparire, almeno in prima approssimazione, abbastanza evidente, lo stesso non si può dire per l’individualismo anarchico rispetto a quello borghese o aristocratico. Le ragioni sono da ricercare probabilmente nell’ambiguità di termini come “individualismo”, “libertà”, “trasgressione”, o meglio dall’uso ambiguo che ne è stato fatto, soprattutto sotto l’influenza del pensiero romantico.

Forse non sarà inutile precisare a cosa facciamo riferimento quando parliamo di individualismo, anche per delimitare il campo di questa discussione.

L’individualismo aristocratico tende a marcare l’elemento della distinzione riferita al privilegio di casta, di sangue o di razza, quindi ad affermare le prerogative di un essere superiore agli altri e dunque superiore anche alle leggi ed alle convenzioni; la libertà dell’aristocratico è tutto lo spazio che gli è concesso dalla sua posizione di privilegio e dalla possibilità di sottomettere altri individui. L’insofferenza aristocratica per le leggi e le convenzioni si concretizza nella pratica trasgressiva. Visto che la trasgressione è stata spesso associata al metodo anarchico, vale forse la pena di chiarire la differenza con un esempio.

Un movimento tipicamente trasgressivo fu quello dei libertini: il libertinismo nella sua accezione corrente trovò la sua massima diffusione nella Francia del XVII sec e si caratterizzò inizialmente per una difesa della ragione in opposizione alla politica intollerante del controriformismo cattolico. In seguito si estese nei circoli aristocratici che miravano a influenzare i vertici del Potere senza mettere in discussione l’ordine sociale. Alla fine del XVIII sec, la critica dell’intolleranza religiosa e quella dell’ipocrisia politica appaiono piuttosto dei pretesti per giustificare le scorribande erotiche ed il cinismo”realista” di alcuni settori delle classi dominanti.

A ben vedere il libertino stabilisce nei confronti del Potere e dell’ordine sociale un rapporto particolare. Egli infatti non contesta il principio su cui si regge il sistema delle relazioni sociali e la norma che le regola, non si oppone al principio della legge e dell’ordine gerarchico, ma si arroga il diritto e il privilegio di trasgredirlo. In questo senso il libertinismo è un movimento tutto interno al dispositivo del Potere: non nega il principio ma il dettato della legge. Senza norma senza legge il gioco libertino si svuota di senso. Insomma la trasgressione non è la rivolta: essa è dell’ordine infrazione-violazione e non di quello negazione-rifiuto. La trasgressione libertina non incrina il dispositivo della legge, ma lo elude da una posizione di privilegio. Non a caso il libertinismo si diffuse quasi esclusivamente tra le classi aristocratiche, ed è forse emblematico che lo scrittore Restif de la Bretonne, ritenuto da molti l’esempio di un libertinismo popolare, sia poi finito a fare l’informatore della polizia.

È chiaro che l’individualismo aristocratico e l’atteggiamento trasgressivo ad esso legato non sono compatibili con la negazione anti-autoritaria della gerarchia.

Scrive Malatesta :<<L’insofferenza della oppressione, il desiderio di esser libero e di poter espandere la propria personalità in tutta la sua potenza non basta a fare un anarchico. Quell’aspirazione all’illimitata libertà, se non è contemperata dall’amore degli uomini e dal desiderio che tutti gli altri abbiano eguale libertà, può fare dei ribelli, ma non basta a fare degli anarchici: dei ribelli che, se basta loro la forza, si trasforman subito in sfruttatori e tiranni [4]>>

L’individualismo borghese, anch’esso di derivazione aristocratica, tende a mascherare il fondamentale servilismo-parassitismo di una classe dominante dietro i miti dell’affermazione dal basso: il self-made-man, l’uomo che si è fatto strada per arrivare al successo, l’uomo che è partito dal nulla…, tutto questo insieme ad epopee improbabili di un’affermazione di classe: il capitalismo mercantile d’avventura, la rivoluzione francese come vera rivoluzione borghese ecc. Sarebbe sin troppo facile dimostrare che in una società  dove regna il conformismo sociale ed il servilismo, l’ascesa sociale è legata sì al privilegio ma anche alla pratica dell’auto-umiliazione e della sottomissione: in altri termini, va più avanti chi è più servile, altro che sociobiologia.

L’individualismo anarchico parte da premesse completamente diverse, anzi antitetiche a quello borghese e aristocratico. Esso nega il privilegio gerarchico e la concezione elitaria, supera la concezione romantica della libertà espansiva legata all’idea dell’onnipotenza, dell’unicità, dell’originalità, dell’irripetibilità del soggetto; tutte idee che denotano il persistere della componente religiosa proprio in un atteggiamento – quello dell’umanesimo borghese - che si vorrebbe laico e moderno, ma che in realtà svela la sua carica di arcaica ferocia quando si manifesta sotto la forma del sacro e del sacrificio.

L’individualismo anarchico non può fare riferimento, potremmo dire, alla libertà di ma piuttosto alla libertà da. L’individualismo anarchico non mira ad un concetto – tipico del romanticismo - tanto ampio quanto vago di libertà assoluta, ma piuttosto a quello molto più concreto di liberazione dai meccanismi sociali di disciplina e di coercizione.

Insomma l’individualismo anarchico costituisce un argine contro l’aggressione del conformismo sociale, una difesa contro le pretese del gruppo nei confronti del singolo, una tecnica di resistenza contro le tattiche di pressione psicologica. Non bisogna dimenticare infatti che le forme moderne del Dominio, si chiami esso  Stato etico o democrazia rappresentativa, utilizzano lo strumento dell’”Interesse generale” contro il singolo; ma è chiaro a tutti che “interesse generale” sta per privilegio di pochi, mentre l’”interesse del singolo” corrisponde a quello degli oppressi.

Max Stirner è stato uno dei primi ad intuire che le forme attuali del dominio si reggono su di una continua opera di mistificazione linguistica, di depistaggio ideologico, di capovolgimento semantico. In questo mondo capovolto la società disciplinare che reclude e controlla si chiama democrazia; il privilegio della protezione statale ai capitalisti si chiama “libera concorrenza”; il parassitismo sociale viene definito “libera impresa”, la creazione di mostri inumani contro cui ogni nefandezza è ammessa si chiama “umanesimo”, e ancora oggi è possibile constatare come le rapine post-coloniali vengano definite “aiuti umanitari”, i massacri di popolazioni inermi sono “missioni di pace”, l’organizzazione del terrore su scala planetaria ha assunto il nome di “guerra al terrorismo”.

È stato Max Stirner a chiarire che il Dominio attuale è fondato sulla tirannia del linguaggio, sul sistema di propaganda, e che quello che il Dominio racconta di sé è parte integrante del meccanismo di dominazione. Ad esempio, oggi appare abbastanza evidente che gli apparati di potere spingano ovunque per la destabilizzazione politica, l’insicurezza sociale, la precarizzazione caotica, il disordine generalizzato, al fine abbastanza scoperto di mettere in atto strategie emergenziali giustificative del Potere nelle sue forme più disciplinari e brutali. Questa realtà manda in crisi la vecchia oleografia romantica tanto cara al Potere e a certa letteratura che vede da una parte un potere grigio, burocratico, monotono, ma legato all’ordine, ai cosiddetti valori, custode delle regole della convivenza, ottuso ma affidabile, e dall’altra parte, in antitesi, il disordine creativo, l’immaginazione, il gesto trasgressivo e poetico, il genio e la sregolatezza del ribelle.

Un altro esempio potrebbe essere quello degli Stati Uniti. C’è da rimanere sbalorditi di fronte ad una delle più imponenti operazioni di manipolazione ideologica e di distorsione della realtà nella Storia dell’uomo, se si pensa che una nazione nata sul genocidio delle popolazioni indigene, cresciuta con la deportazione e la messa in schiavitù di milioni di africani, distintasi per aver utilizzato l’arma totale su Hiroshima e Nagasaki,  che strangola economicamente interi continenti come l’America latina, che ha organizzato colpi di Stato, aggressioni terroristiche ed embarghi, e l’elenco come sappiamo potrebbe continuare; bene, questa stessa nazione viene percepita da centinaia di milioni di persone come fondamentalmente buona e generosa, pronta a soccorrere gli altri, un po’ rozza ma di sani principi e dotata di un senso della giustizia rigido ma efficace; e qui l’antiamericanismo non c’entra perché, parafrasando Noam Chomsky, se Andorra o San Marino avessero la stessa potenza politico-militare farebbero certamente lo stesso.  Insomma è chiaro che oggi il vero problema non sono né i rapporti di forza né i meccanismi repressivi, il vero nodo da affrontare è come riuscire a contrastare la propaganda ideologica e la manipolazione della comunicazione.

Ma tornando ancora all’individualismo, in base a quanto detto ci sembra che il pensiero di Stirner possa essere considerato come il più vicino a quello che noi intendiamo per individualismo anarchico. D’altra parte, senza voler pretendere di dare l’interpretazione autentica di Stirner, bisogna riconoscere che il suo pensiero è assolutamente compatibile con la concezione socialista anarchica[5]. Nel 1914, il gruppo autonomo di East Boston pubblicava un opuscolo dal titolo  Max Stirner:un refrattario. In esso l’autore, Victor Rudin, propone una lettura di Stirner ardita, ma nient’affatto paradossale, nella quale il pensatore tedesco  viene presentato come uno dei padri fondatori della teoria della lotta di classe. Chi ha letto l’Unico, o anche solo il testo di Rudin sa che parlare di “operaismo stirneriano” non vuol dire mettere insieme un ossimoro, ma significa fare riferimento a precise possibilità di lotta operaia antigerarchica. In altri termini siamo convinti che l’individualismo anarchico non possa essere incompatibile con il comunismo anarchico e viceversa.

Ora Malatesta non solo si sforza di definire in modo critico ma non svalutativo l’individualismo anarchico, ma arriva addirittura a consigliare la lettura di uno dei testi più importanti dell’individualismo anarchico coevo:

<<Io raccomando caldamente, scrive Malatesta, la lettura del libro di Armand  “l’Iniziazione individualistica anarchica>>…[che] è un libro coscienzioso fatto da uno tra gli individualisti anarchici più qualificati e che ha riscosso l’approvazione generale degli individualisti. Ebbene nel leggere quel libro uno si domanda perché mai Armand parla continuamente di “individualismo anarchico”, come un corpo di dottrina distinto mentre in generale non fa che esporre i principi comuni a tutti gli anarchici di qualsiasi tendenza. In realtà l’Armand, che ama dirsi amoralista, non ha fatto che una specie di manuale di morale anarchica – non “anarchica individualista”- ma anarchica in generale, anzi più che anarchica, morale largamente umana, perché fondata su quei sentimenti umani che rendono desiderabile e possibile l’anarchia[6]>>

In questo invito alla lettura, Malatesta ha individuato alcuni aspetti essenziali dell’opera di Armand. Questo testo infatti, pur ponendo al centro della ricerca individuale l’idea di felicità, non è certamente un inno allo scatenarsi sfrenato di qualsivoglia istinto. Costituisce invece una monumentale e puntigliosa casistica delle eventualità che un anarchico può trovarsi ad affrontare nella propria esistenza. Armand parte da premesse di chiara ascendenza stirneriana, quando propone la centralità dell’esperienza umana realizzata al di fuori di ogni trascendenza. Proprio sulla scia di Stirner, Armand opera una efficace critica di tutte le teorie mistiche e finalistiche che condizionano l’agire umano, una critica che lo porta alla demolizione di tutti gli elementi fondamentali dell’umanesimo borghese e del suo pantheon metafisico come il Progresso, la Storia, l’Uomo.

Scrive Armand: << La ricerca dell’assoluto è indice di incomprensione dell’essenza stessa del concetto individualista. L’assoluto è sempre una violenza, un’autorità astratta, un’entità metafisica, come Dio o la Legge. La dottrina non è altro che la messa in formule dell’assoluto. I tiranni e i capi-scuola di tutti i tempi hanno trovato nella dottrina un ausilio altrettanto prezioso quanto l’assoluto che essa concretizza>>[7]

Come si vede, basta sostituire il termine individualista con quello di anarchico per avere delle affermazioni altrettanto conseguenti. Ma la scelta di Armand va in direzione opposta a quella di Malatesta. Egli non si sforza di inserire nel novero delle compatibilità anarchiche le altre tendenze, che siano comunistiche o collettivistiche. Ma si limita ad elencare attitudini e considerazioni cui attribuisce il carattere specifico ed esclusivo di individualismo, e così non è.

Uno degli argomenti più interessanti del testo di Armand è quello della reciprocità. Il metodo della reciprocità viene illustrato come quello più consono, proprio perché non legato allo schema gerarchico, a regolare i rapporti tra gli individui una volta scomparse le strutture coercitive:

<<Esiste un metodo, scrive Armand,  la cui applicazione assoluta garantisce coloro che lo adottassero come base dei loro rapporti o dei loro accordi, contro ogni lesione, ogni frode, ogni inganno materiale e contro ogni diminuzione, ogni ferita della loro dignità personale: il metodo della reciprocità.>> e più avanti <<Inutile dire che la reciprocità così come abbiamo tentato di definirla con i dettagli e le sfumature da noi abbozzate, non potrebbe essere concepita se non come volontaria. Qui come altrove, rimaniamo sul  terreno fondamentalmente individualista. Solidarietà volontaria, socialità volontaria, garanzia volontaria.[8]>>

Come molti sapranno, il comunismo anarchico non  può prescindere dal suo carattere di volontarietà; è quindi falso affermare che solidarietà volontaria e socialità volontaria siano prerogative dell’individualismo anarchico. Ma Armand restringe  il campo lasciando fuori gli altri. Ecco un altro esempio:

<<È risaputo che una delle maggiori rivendicazioni dell’individualismo anarchico, è la facoltà assoluta, la facoltà piena ed inequivocabile per l’essere umano di evolvere, di svilupparsi, produrre, sperimentare, sia isolatamente, sia in modo associativo. Facoltà illimitata, possibilità completa di esistere e di lavorare al di fuori, ai margini, accanto ad ogni agglomerato o raggruppamento umano. Uguale facoltà, uguale possibilità per ogni essere umano di riunirsi, di associarsi per vivere, per cooperare ad uno scopo qualunque – di unirsi con un piccolo numero dei suoi simili, cominciando dall’associazione familiare – di costituire delle associazioni conglobanti un gran numero di aderenti. Uguale possibilità per le associazioni di federarsi.[9]>>

Armand arriva così al paradosso di considerare lo stesso federalismo anarchico come patrimonio esclusivo degli individualisti, mentre è noto che il federalismo -  da non confondere con quella forma di separatismo provinciale e razzistico cui oggi viene dato lo stesso nome – il federalismo, dicevamo, è una tecnica associativa ampiamente condivisa e sperimentata, nei limiti del possibile, da tutte le scuole anarchiche.

D’altro canto, che la posizione di Armand rientri nell’individualismo anarchico, viene dimostrato anche dalla sua consapevolezza dei limiti del singolo individuo, dal come non si faccia nessuna illusione su di una visione metafisica del soggetto:

<<Io non nego che l’uomo non sia altro che un’apparenza, un aspetto o piuttosto uno stadio momentaneo della materia, un passaggio, un ponte , una relatività, tutto ciò che voi volete. Io non ignoro che l’io non è altro, alla fin fine, che la somma di carne, di ossa, di muscoli, e di organi diversi racchiusi in una specie di sacco che porta il nome di ” pelle”[10].>>

Quindi Armand sembrerebbe molto attento a non avallare la concezione borghese dell’individualismo, che si basa su di una esaltazione preconcetta del singolo e delle sue prerogative, chiarendo che l’individualismo anarchico parte da premesse opposte: i limiti del singolo e la necessità di una difesa dell’individuo dall’aggressione conformistica. In realtà la maggior parte delle tesi di Armand è ampiamente condivisibile. Il vero limite di questo pensatore risiede proprio nella sua incapacità di comprendere le ragioni delle altre scuole dell’anarchismo:

E infatti egli scrive: <<Con una terminologia differente, il socialismo e il cristianesimo preconizzano l’amore fra gli uomini, tutti gli uomini, che essi chiamano, ciascuno e tutti, al banchetto della vita, senza reclamare altro sforzo che un’adesione esteriore a un programma, vogliamo dire l’obbedienza a un credo. È con ragione che si è potuto qualificare il socialismo:”la religione del fatto economico”[11].>>

Le conseguenze, anche sul piano teorico, di questa impostazione che tende come abbiamo detto a delegittimare le altre correnti di pensiero anarchico non sono di poco conto. Infatti, se molte delle riflessioni di Armand sono del tutto compatibili con le altre scuole di pensiero anarchiche, la sua insistenza sulle presunte prerogative dell’individualista anarchico finisce per chiudergli gli sbocchi teorici  e pratici di una vera prospettiva di liberazione per cui, se da un lato è costretto a far ricorso all’educazionismo come lento lavoro coscientizzazione delle masse, dall’altro deve attribuire la possibilità di ribellarsi ad una improbabile “selezione” di individualità più o meno “adatte” all’individualismo anarchico. È evidente il rischio di questo tipo di impostazione, in quanto la scelta anarchica non è più tale, e  diventa invece un dato caratteriale: “vi saranno sempre dei protestatari, dei ribelli, dei refrattari, degli isolati”, scrive Armand. In questo modo viene confermata la lettura che il Potere da di ogni critica politica radicale: una critica che non solo non ha ragione e non ha speranza, ma che non parte dal dato delle relazioni sociali gerarchiche, bensì da un disturbo individuale, da una malformazione del pensiero che prescinde dal contesto. “Vi saranno sempre dei fuorilegge, degli amorali, dei perturbatori”, scrive ancora Armand;  quindi secondo lui vi sarà sempre la legge, la morale e quindi anche lo Stato. Queste evidenti contraddizioni non cancellano certo l’importanza delle ricerche teoriche di Armand, né il loro fondamentale ruolo divulgativo nell’epoca in cui furono scritte. Ma risulta ancora più marcata la capacità di Malatesta di criticare senza delegittimare:

<<I comunisti anarchici […]arrivano quindi ad una conclusione che potrebbe esprimersi colla formula: Quanto più comunismo possibile per realizzare il più possibile di individualismo, vale a dire il massimo di solidarietà per godere del massimo di libertà[12].>>

Il paradosso, solo apparente è appunto che mentre il comunista anarchico Malatesta arriva attraverso il metodo della non-esclusione a cogliere correttamente le ragioni degli individualisti usando talvolta accenti quasi stirneriani, è proprio Armand ad allontanarsi dall’operaismo stirneriano quando vede nell’associazione, e talora in qualsiasi associazione, una degradazione, un abbassamento, una limitazione irreparabile per l’individuo, un espediente temporaneo ma pericoloso.

Scrive Malatesta: << Noi ne conveniamo: tutti siamo egoisti, tutti cerchiamo la nostra soddisfazione. Ma è  anarchico colui che la massima sua soddisfazione la trova nel lottare pel bene di tutti, per la realizzazione di una società in cui egli possa trovarsi, fratello tra  fratelli, in mezzo ad uomini sani, intelligenti, istruiti e felici. Chi invece può adattarsi, contento, a vivere tra schiavi e trarre profitto dal lavoro di schiavi non è, non può essere anarchico[13]>>

E ancora:

<< […]se mi diverto, l’animo mio si attrista appena mi viene in mente che v’è dei disgraziati che gemono in galera; se studio o faccio un lavoro che mi piace, sento come un rimorso pensando che vi sono tanti che hanno maggior ingegno di me e sono costretti a sciupare la vita in una fatica abbrutente, spesso inutile o dannosa. Puro egoismo, come vedete, ma di quell’egoismo che altri chiama altruismo e senza il quale, lo si chiamo come si vuole, non è possibile essere realmente anarchici.[14]>>

Scrive invece Armand: << […] Se tu sei un individualista, qualunque associazione non può essere per te che un “pis aller”, (un peggioramento) un espediente, in quanto associandoti, non puoi fare a meno di perdere un poco della tua indipendenza.[15]>>

E ancora: << A questo punto, noi possiamo renderci conto di ciò che distingue l’associazione individualista anti-autoritaria, dall’associazione come è intesa dai borghesi, statalisti, socialisti, comunisti, ecc.[16]>>

In conclusione, la vera differenza tra Malatesta e Armand non è affatto nelle rispettive adesioni al comunismo ed all’individualismo anarchico. La vera differenza sta nel fatto che, al di là di alcune concessioni generiche del tipo: “gli altri facciano ciò che vogliono purché lascino in pace l’individualista”, Armand finisce per escludere le altre correnti di pensiero antiautoritario dal novero dell’anarchismo con motivazioni che appaiono ampiamente pretestuose quando non del tutto incomprensibili. In questo modo egli alimenta quel meccanismo di delegittimazione che ha spesso innescato nel movimento anarchico una serie di disconoscimenti e veti incrociati paralizzanti.

Come abbiamo visto, Malatesta non cade in questo gioco perverso e interviene nel dibattito tra comunisti e individualisti per cercare caparbiamente il minimo comun denominatore, il fattore unificante, e questo senza nessun bisogno di dover sminuire il contributo teorico alla sua posizione di comunista, senza nessun cedimento omologante, ma praticando in modo consequenziale il metodo della non-esclusione che appartiene come elemento irrinunciabile alla scatola d’attrezzi dell’anarchismo.



[1] Umanità Nova, 27 febbraio 1920

[2] Pensiero e Volontà, 8 agosto 1924

[3] Pensiero e volontà, 1 luglio 1924

[4] Umanità Nova, 16 sett. 1922

[5] <<Io non sono contro il socialismo, ma contro il socialismo consacrato, il mio egoismo non è l’opposto dell’amore, non è nemico del sacrificio né dell’abnegazione…e neanche del socialismo; a farla breve, non è nemico degli interessi veri, e si ribella non all’amore ma all’amore consacrato, non al pensiero ma la pensiero consacrato, non al socialismo ma al socialismo consacrato>> Max Stirner.

[6] Pensiero e Volontà, 1 luglio 1924

[7] E. Armand Vivere l’Anarchia, p.118 Milano 1983  [ I numeri di pagina delle citazioni di Armand si riferiscono al testo Vivere l’Anarchia; questo testo è un compendio molto esauriente (240 p.) dell’originale Iniziazione individualista anarchica che fu pubblicato nel 1923. Vivere l’Anarchia , pubblicato dalle edizioni Antistato è però di più facile reperibilità.]

[8] Ibid. p.164

[9] Ibid. p. 181

[10] Ibid. p.70

[11] Ibid. p.11 ( pref.)

[12] Pensiero e Volontà, 1 aprile 1926

[13] Volontà, 15 giugno 1913

[14] Umanità Nova, 16 sett.1922.

[15] Vivere l’Anarchia, p.191

[16] Ibid. p.188