Malatesta
e l'individualismo anarchico di Emile Armand
di
Enzo Papa
La stesura di queste note era stata stimolata in
origine dalla lettura del testo di Emile Armand Iniziazione
individualista anarchica, lettura consigliata com’è noto da
Malatesta, ma poi mi è sembrato opportuno affrontare, seppure in
modo molto approssimativo, la questione dell’idea di
individualismo politico, anche solo per tentare qualche definizione
che tenesse conto di alcune implicazioni più generali e che fosse
in grado di precisare lo spazio di questa discussione.
La presenza nel
pensiero e nel movimento anarchico di correnti di tipo
collettivistico, mutualistico, comunistico, individualistico, si
spiega col fatto che una della principali preoccupazioni degli
anarchici è quella organizzativa. Si tratta di una messa a
confronto puntigliosa, caparbia, polemica, appassionata, che
coinvolge i fautori dell’organizzazione così come suoi critici, e
questo naturalmente, nelle varie gradazioni. È abbastanza evidente
che una concezione più o meno favorevole all’organizzazione
formale si rifletterà necessariamente nelle metodologie di lotta
adottate, nelle pratiche di resistenza sociale, negli atteggiamenti
relazionali ed esistenziali.
La messa a confronto, la chiarificazione, la
verifica delle varie posizioni non possono, nel metodo anarchico,
costituire una semplice esigenza di catalogazione né un mero
rigurgito democratico finalizzato a rappresentare le diverse
“scuole” presenti, magari secondo la loro importanza numerica.
Esse sono invece lo strumento decisivo, non finalizzato ad una
integrazione delle varie tendenze - integrazione poco probabile e
forse poco auspicabile – ma ad imprimere al movimento anarchico lo
slancio necessario ad esprimere tutte le sue energie.
In una società disciplinare come la nostra,
che ha fatto dell’esclusione una delle sue tecniche di controllo
privilegiate, l’anarchismo non può che muoversi nella direzione
opposta: quella della non-esclusione. Non sono mancate tuttavia, nel
movimento anarchico, situazioni in cui esponenti di tendenze diverse
hanno usato l’uno contro l’altro l’arma insidiosa della
reciproca delegittimazione; un’arma che
indebolisce o paralizza la critica dell’anarchismo verso il
Potere, quando non lascia addirittura dei militanti alla sua mercé.
Basti a proposito ricordare che Bakunin dovette dedicare anni della
sua attività politica a difendersi dall’accusa, mossagli in
questo caso da giornali vicini a Marx, di essere un agente dello
zar.
Malatesta, com’è noto, aderiva alla
corrente del comunismo anarchico. E tuttavia non ha mai escluso dal
novero dell’anarchismo le altre tendenze, per quanto le ritenesse
distanti. Anzi, nonostante la durezza del confronto con le altre
tesi ai suoi tempi, egli si è guardato bene dal cadere
nel circolo vizioso delle delegittimazioni e dei veti
incrociati perché ne intuiva l’effetto paralizzante per il
movimento, e infatti affermava:
<<Vi sono tra gli anarchici di
quelli che amano qualificarsi comunisti, o collettivisti, o
individualisti, o altrimenti. Spesso è questione di parole
diversamente interpretate che oscurano e nascondono una fondamentale
identità di aspirazione; qualche volta si tratta solo di teorie, di
ipotesi con cui ciascuno spiega e giustifica diversamente
conclusioni pratiche identiche>>.
Se quindi molte delle differenze tra le
diverse correnti sono spesso dovute ad insufficiente confronto e
chiarificazione, se molte distinzioni fra le varie scuole
dell’anarchismo sono da attribuirsi più ad un irrigidimento
polemico e a volte del tutto pretestuoso, questo non vuol dire che
le differenze non esistano o che vadano sottovalutate o negate.
Eppure Malatesta sembra convinto che più si proceda nell’opera di
chiarificazione delle reciproche differenze sul piano teorico, più
si debba riconoscere la sostanziale unità di intenti e di
obiettivi, per cui egli non rifugge mai dal lavoro di verifica e
precisazione.
<<Bakunin, dice Malatesta, era
anarchico e collettivista, nemico fiero del comunismo perché in
esso vedeva la negazione della libertà e quindi della dignità
umana. E con Bakunin, e lungo tempo dopo di lui, furono
collettivisti (proprietà collettiva del suolo, delle materie
prime e degli strumenti di lavoro, e attribuzione del prodotto
integrale del lavoro a ciascun produttore, detratta la quota
necessaria per i carichi sociali) quasi
tutti gli anarchici spagnoli che pur erano tra gli anarchici più
coscienti e conseguenti.
Altri per la stessa ragione di difesa e garanzia
della libertà si dichiarano individualisti e vogliono che ciascuno
abbia in proprietà individuale la parte che gli spetta di mezzi di
produzione e quindi la libera disposizione dei prodotti del suo
lavoro.
Altri escogitano sistemi più o meno complicati di
mutualità. Ma insomma è sempre la ricerca di una più sicura
garanzia della libertà che forma la caratteristica degli anarchici
e li divide in scuole diverse.>>
Nonostante
Malatesta, proprio in quanto comunista anarchico, si sia trovato
spesso in aperto contrasto con la corrente individualistica
anarchica, ciò non gli impediva di vedere al di là della difesa ad
oltranza di un punto di vista, giungendo a chiarire la pretestuosità
di certe contrapposizioni e a dare una definizione piuttosto
corretta della concezione individualistica e persino delle sue
ragioni:
<< Gli
individualisti suppongono o parlano come se supponessero, che i
comunisti (anarchici) vogliono imporre il comunismo, il che
naturalmente li metterebbe assolutamente fuori dall’anarchismo.
I comunisti
suppongono, o parlano come se supponessero, che gli individualisti
(anarchici) respingono ogni idea di associazione, vogliono la lotta
tra uomo e uomo, il dominio del più forte (v’è stato chi in nome
dell’individualismo ha sostenuto queste idee e peggio, ma quelli
non possono dirsi anarchici)- e questo li metterebbe non solo fuori
dell’anarchismo ma dell’umanità.
In realtà i
comunisti sono tali perché nel comunismo liberamente accettato
vedono la conseguenza della fratellanza e la garanzia migliore della
libertà individuale. E gli individualisti, quelli che sono
veramente anarchici, sono anti-comunisti perché temono che il
comunismo sottoporrebbe gli individui nominalmente alla tirannia
della collettività e in realtà a quella del partito o della casta,
che colla scusa di amministrare riuscirebbero ad impossessarsi del
potere e a disporre delle cose e quindi degli uomini che di quelle
cose hanno bisogno – e vogliono perciò che ciascun individuo, o
ciascun gruppo possa esercitare liberamente la propria attività e
goderne liberamente i frutti in condizioni di eguaglianza con altri
individui e gruppi, conservando con essi rapporti di giustizia ed
equità.
Se è così,
è chiaro che differenza essenziale non v’è.>>
Anche questa
conclusione dimostra come l’intento di Malatesta fosse non quello
di annullare le diversità organizzative, metodologiche o
esistenziali delle varie correnti di pensiero anarchico, ma di
recuperarne la sostanziale compatibilità con il progetto generale
dell’anarchismo.
D’altro canto,
se l’inconciliabilità tra comunismo autoritario e comunismo
anarchico dovrebbe apparire, almeno in prima approssimazione,
abbastanza evidente, lo stesso non si può dire per
l’individualismo anarchico rispetto a quello borghese o
aristocratico. Le ragioni sono da ricercare probabilmente
nell’ambiguità di termini come “individualismo”, “libertà”,
“trasgressione”, o meglio dall’uso ambiguo che ne è stato
fatto, soprattutto sotto l’influenza del pensiero romantico.
Forse non sarà
inutile precisare a cosa facciamo riferimento quando parliamo di
individualismo, anche per delimitare il campo di questa discussione.
L’individualismo
aristocratico tende a marcare l’elemento della distinzione
riferita al privilegio di casta, di sangue o di razza, quindi ad
affermare le prerogative di un essere superiore agli altri e dunque
superiore anche alle leggi ed alle convenzioni; la libertà
dell’aristocratico è tutto lo spazio che gli è concesso dalla
sua posizione di privilegio e dalla possibilità di sottomettere
altri individui. L’insofferenza aristocratica per le leggi e le
convenzioni si concretizza nella pratica trasgressiva. Visto che la
trasgressione è stata spesso associata al metodo anarchico, vale
forse la pena di chiarire la differenza con un esempio.
Un movimento
tipicamente trasgressivo fu quello dei libertini: il libertinismo
nella sua accezione corrente trovò la sua massima diffusione nella
Francia del XVII sec e si caratterizzò inizialmente per una difesa
della ragione in opposizione alla politica intollerante del
controriformismo cattolico. In seguito si estese nei circoli
aristocratici che miravano a influenzare i vertici del Potere senza
mettere in discussione l’ordine sociale. Alla fine del XVIII sec,
la critica dell’intolleranza religiosa e quella dell’ipocrisia
politica appaiono piuttosto dei pretesti per giustificare le
scorribande erotiche ed il cinismo”realista” di alcuni settori
delle classi dominanti.
A ben vedere il
libertino stabilisce nei confronti del Potere e dell’ordine
sociale un rapporto particolare. Egli infatti non contesta il
principio su cui si regge il sistema delle relazioni sociali e la
norma che le regola, non si oppone al principio della legge e
dell’ordine gerarchico, ma si arroga il diritto e il privilegio di
trasgredirlo. In questo senso il libertinismo è un movimento tutto
interno al dispositivo del Potere: non nega il principio ma il
dettato della legge. Senza norma senza legge il gioco libertino si
svuota di senso. Insomma la trasgressione non è la rivolta: essa è
dell’ordine infrazione-violazione e non di quello
negazione-rifiuto. La trasgressione libertina non incrina il
dispositivo della legge, ma lo elude da una posizione di privilegio.
Non a caso il libertinismo si diffuse quasi esclusivamente tra le
classi aristocratiche, ed è forse emblematico che lo scrittore
Restif de la Bretonne, ritenuto da molti l’esempio di un
libertinismo popolare, sia poi finito a fare l’informatore della
polizia.
È chiaro che l’individualismo aristocratico e
l’atteggiamento trasgressivo ad esso legato non sono compatibili
con la negazione anti-autoritaria della gerarchia.
Scrive Malatesta :<<L’insofferenza della
oppressione, il desiderio di esser libero e di poter espandere la
propria personalità in tutta la sua potenza non basta a fare un
anarchico. Quell’aspirazione all’illimitata libertà, se non è
contemperata dall’amore degli uomini e dal desiderio che tutti gli
altri abbiano eguale libertà, può fare dei ribelli, ma non basta a
fare degli anarchici: dei ribelli che, se basta loro la forza, si
trasforman subito in sfruttatori e tiranni >>
L’individualismo
borghese, anch’esso di derivazione aristocratica, tende a
mascherare il fondamentale servilismo-parassitismo di una classe
dominante dietro i miti dell’affermazione dal basso: il
self-made-man, l’uomo che si è fatto strada per arrivare al
successo, l’uomo che è partito dal nulla…, tutto questo insieme
ad epopee improbabili di un’affermazione di classe: il capitalismo
mercantile d’avventura, la rivoluzione francese come vera
rivoluzione borghese ecc. Sarebbe sin troppo facile dimostrare che
in una società dove
regna il conformismo sociale ed il servilismo, l’ascesa sociale è
legata sì al privilegio ma anche alla pratica
dell’auto-umiliazione e della sottomissione: in altri termini, va
più avanti chi è più servile, altro che sociobiologia.
L’individualismo anarchico parte da
premesse completamente diverse, anzi antitetiche a quello borghese e
aristocratico. Esso nega il privilegio gerarchico e la concezione
elitaria, supera la concezione romantica della libertà espansiva
legata all’idea dell’onnipotenza, dell’unicità,
dell’originalità, dell’irripetibilità del soggetto; tutte idee
che denotano il persistere della componente religiosa proprio in un
atteggiamento – quello dell’umanesimo borghese - che si vorrebbe
laico e moderno, ma che in realtà svela la sua carica di arcaica
ferocia quando si manifesta sotto la forma del sacro e del
sacrificio.
L’individualismo anarchico non può fare
riferimento, potremmo dire, alla libertà di ma piuttosto
alla libertà da. L’individualismo anarchico non mira ad un
concetto – tipico del romanticismo - tanto ampio quanto vago di
libertà assoluta, ma piuttosto a quello molto più concreto di
liberazione dai meccanismi sociali di disciplina e di coercizione.
Insomma l’individualismo anarchico
costituisce un argine contro l’aggressione del conformismo
sociale, una difesa contro le pretese del gruppo nei confronti del
singolo, una tecnica di resistenza contro le tattiche di pressione
psicologica. Non bisogna dimenticare infatti che le forme moderne
del Dominio, si chiami esso Stato
etico o democrazia rappresentativa, utilizzano lo strumento
dell’”Interesse generale” contro il singolo; ma è chiaro a
tutti che “interesse generale” sta per privilegio di pochi,
mentre l’”interesse del singolo” corrisponde a quello degli
oppressi.
Max Stirner è stato uno dei primi ad intuire
che le forme attuali del dominio si reggono su di una continua opera
di mistificazione linguistica, di depistaggio ideologico, di
capovolgimento semantico. In questo mondo capovolto la società
disciplinare che reclude e controlla si chiama democrazia; il
privilegio della protezione statale ai capitalisti si chiama
“libera concorrenza”; il parassitismo sociale viene definito
“libera impresa”, la creazione di mostri inumani contro cui ogni
nefandezza è ammessa si chiama “umanesimo”, e ancora oggi è
possibile constatare come le rapine post-coloniali vengano definite
“aiuti umanitari”, i massacri di popolazioni inermi sono
“missioni di pace”, l’organizzazione del terrore su scala
planetaria ha assunto il nome di “guerra al terrorismo”.
È stato Max Stirner a chiarire che il
Dominio attuale è fondato sulla tirannia del linguaggio, sul
sistema di propaganda, e che quello che il Dominio racconta di sé
è parte integrante del meccanismo di dominazione. Ad esempio,
oggi appare abbastanza evidente che gli apparati di potere spingano
ovunque per la destabilizzazione politica, l’insicurezza sociale,
la precarizzazione caotica, il disordine generalizzato, al fine
abbastanza scoperto di mettere in atto strategie emergenziali
giustificative del Potere nelle sue forme più disciplinari e
brutali. Questa realtà manda in crisi la vecchia oleografia
romantica tanto cara al Potere e a certa letteratura che vede da una
parte un potere grigio, burocratico, monotono, ma legato
all’ordine, ai cosiddetti valori, custode delle regole della
convivenza, ottuso ma affidabile, e dall’altra parte, in antitesi,
il disordine creativo, l’immaginazione, il gesto trasgressivo e
poetico, il genio e la sregolatezza del ribelle.
Un altro esempio potrebbe essere quello degli
Stati Uniti. C’è da rimanere sbalorditi di fronte ad una delle più
imponenti operazioni di manipolazione ideologica e di distorsione
della realtà nella Storia dell’uomo, se si pensa che una nazione
nata sul genocidio delle popolazioni indigene, cresciuta con la
deportazione e la messa in schiavitù di milioni di africani,
distintasi per aver utilizzato l’arma totale su Hiroshima e
Nagasaki, che strangola
economicamente interi continenti come l’America latina, che ha
organizzato colpi di Stato, aggressioni terroristiche ed embarghi, e
l’elenco come sappiamo potrebbe continuare; bene, questa stessa
nazione viene percepita da centinaia di milioni di persone come
fondamentalmente buona e generosa, pronta a soccorrere gli altri, un
po’ rozza ma di sani principi e dotata di un senso della giustizia
rigido ma efficace; e qui l’antiamericanismo non c’entra perché,
parafrasando Noam Chomsky, se Andorra o San Marino avessero la
stessa potenza politico-militare farebbero certamente lo stesso.
Insomma è chiaro che oggi il vero problema non sono né i
rapporti di forza né i meccanismi repressivi, il vero nodo da
affrontare è come riuscire a contrastare la propaganda ideologica e
la manipolazione della comunicazione.
Ma tornando ancora all’individualismo, in
base a quanto detto ci sembra che il pensiero di Stirner possa
essere considerato come il più vicino a quello che noi intendiamo
per individualismo anarchico. D’altra parte, senza voler
pretendere di dare l’interpretazione autentica di Stirner, bisogna
riconoscere che il suo pensiero è assolutamente compatibile con la
concezione socialista anarchica.
Nel 1914, il gruppo autonomo di East Boston pubblicava un opuscolo
dal titolo Max
Stirner:un refrattario. In esso l’autore, Victor Rudin,
propone una lettura di Stirner ardita, ma nient’affatto
paradossale, nella quale il pensatore tedesco
viene presentato come uno dei padri fondatori della teoria
della lotta di classe. Chi ha letto l’Unico, o anche solo
il testo di Rudin sa che parlare di “operaismo stirneriano” non
vuol dire mettere insieme un ossimoro, ma significa fare riferimento
a precise possibilità di lotta operaia antigerarchica. In altri
termini siamo convinti che l’individualismo anarchico non possa
essere incompatibile con il comunismo anarchico e viceversa.
Ora Malatesta non solo si sforza di definire in modo
critico ma non svalutativo l’individualismo anarchico, ma arriva
addirittura a consigliare la lettura di uno dei testi più
importanti dell’individualismo anarchico coevo:
<<Io raccomando caldamente,
scrive Malatesta, la lettura del libro di Armand
“l’Iniziazione individualistica anarchica>>…[che]
è un libro coscienzioso fatto da uno tra gli individualisti
anarchici più qualificati e che ha riscosso l’approvazione
generale degli individualisti. Ebbene nel leggere quel libro uno si
domanda perché mai Armand parla continuamente di “individualismo
anarchico”, come un corpo di dottrina distinto mentre in generale
non fa che esporre i principi comuni a tutti gli anarchici di
qualsiasi tendenza. In realtà l’Armand, che ama dirsi amoralista,
non ha fatto che una specie di manuale di morale anarchica – non
“anarchica individualista”- ma anarchica in generale, anzi più
che anarchica, morale largamente umana, perché fondata su quei
sentimenti umani che rendono desiderabile e possibile l’anarchia>>
In questo invito
alla lettura, Malatesta ha individuato alcuni aspetti essenziali
dell’opera di Armand. Questo testo infatti, pur ponendo al centro
della ricerca individuale l’idea di felicità, non è
certamente un inno allo scatenarsi sfrenato di qualsivoglia istinto.
Costituisce invece una monumentale e puntigliosa casistica delle
eventualità che un anarchico può trovarsi ad affrontare nella
propria esistenza. Armand parte da premesse di chiara ascendenza
stirneriana, quando propone la centralità dell’esperienza umana
realizzata al di fuori di ogni trascendenza. Proprio sulla scia di
Stirner, Armand opera una efficace critica di tutte le teorie
mistiche e finalistiche che condizionano l’agire umano, una
critica che lo porta alla demolizione di tutti gli elementi
fondamentali dell’umanesimo borghese e del suo pantheon metafisico
come il Progresso, la Storia, l’Uomo.
Scrive Armand: <<
La ricerca dell’assoluto è indice di incomprensione
dell’essenza stessa del concetto individualista. L’assoluto è
sempre una violenza, un’autorità astratta, un’entità
metafisica, come Dio o la Legge. La dottrina non è altro che la
messa in formule dell’assoluto. I tiranni e i capi-scuola di tutti
i tempi hanno trovato nella dottrina un ausilio altrettanto prezioso
quanto l’assoluto che essa concretizza>>
Come si vede, basta sostituire il termine
individualista con quello di anarchico per avere delle affermazioni
altrettanto conseguenti. Ma la scelta di Armand va in direzione
opposta a quella di Malatesta. Egli non si sforza di inserire nel
novero delle compatibilità anarchiche le altre tendenze, che siano
comunistiche o collettivistiche. Ma si limita ad elencare attitudini
e considerazioni cui attribuisce il carattere specifico ed esclusivo
di individualismo, e così non è.
Uno degli argomenti più interessanti del testo di
Armand è quello della reciprocità. Il metodo della reciprocità
viene illustrato come quello più consono, proprio perché non
legato allo schema gerarchico, a regolare i rapporti tra gli
individui una volta scomparse le strutture coercitive:
<<Esiste un metodo, scrive Armand, la
cui applicazione assoluta garantisce coloro che lo adottassero come
base dei loro rapporti o dei loro accordi, contro ogni lesione, ogni
frode, ogni inganno materiale e contro ogni diminuzione, ogni ferita
della loro dignità personale: il metodo della reciprocità.>>
e più avanti <<Inutile dire che la reciprocità così come
abbiamo tentato di definirla con i dettagli e le sfumature da noi
abbozzate, non potrebbe essere concepita se non come volontaria. Qui
come altrove, rimaniamo sul terreno
fondamentalmente individualista. Solidarietà volontaria, socialità
volontaria, garanzia volontaria.>>
Come molti sapranno,
il comunismo anarchico non può
prescindere dal suo carattere di volontarietà; è quindi falso
affermare che solidarietà volontaria e socialità volontaria siano
prerogative dell’individualismo anarchico. Ma Armand restringe il campo lasciando fuori gli altri. Ecco un altro esempio:
<<È risaputo che una delle maggiori
rivendicazioni dell’individualismo anarchico, è la facoltà
assoluta, la facoltà piena ed inequivocabile per l’essere umano
di evolvere, di svilupparsi, produrre, sperimentare, sia
isolatamente, sia in modo associativo. Facoltà illimitata,
possibilità completa di esistere e di lavorare al di fuori, ai
margini, accanto ad ogni agglomerato o raggruppamento umano. Uguale
facoltà, uguale possibilità per ogni essere umano di riunirsi, di
associarsi per vivere, per cooperare ad uno scopo qualunque – di
unirsi con un piccolo numero dei suoi simili, cominciando
dall’associazione familiare – di costituire delle associazioni
conglobanti un gran numero di aderenti. Uguale possibilità per le
associazioni di federarsi.>>
Armand arriva così al paradosso di
considerare lo stesso federalismo anarchico come patrimonio
esclusivo degli individualisti, mentre è noto che il federalismo -
da non confondere con quella forma di separatismo provinciale
e razzistico cui oggi viene dato lo stesso nome – il federalismo,
dicevamo, è una tecnica associativa ampiamente condivisa e
sperimentata, nei limiti del possibile, da tutte le scuole
anarchiche.
D’altro canto, che
la posizione di Armand rientri nell’individualismo anarchico,
viene dimostrato anche dalla sua consapevolezza dei limiti del
singolo individuo, dal come non si faccia nessuna illusione su di
una visione metafisica del soggetto:
<<Io non nego
che l’uomo non sia altro che un’apparenza, un aspetto o
piuttosto uno stadio momentaneo della materia, un passaggio, un
ponte , una relatività, tutto ciò che voi volete. Io non ignoro
che l’io non è altro, alla fin fine, che la somma di carne, di
ossa, di muscoli, e di organi diversi racchiusi in una specie di
sacco che porta il nome di ” pelle”.>>
Quindi Armand
sembrerebbe molto attento a non avallare la concezione borghese
dell’individualismo, che si basa su di una esaltazione preconcetta
del singolo e delle sue prerogative, chiarendo che
l’individualismo anarchico parte da premesse opposte: i limiti del
singolo e la necessità di una difesa dell’individuo
dall’aggressione conformistica. In realtà la maggior parte delle
tesi di Armand è ampiamente condivisibile. Il vero limite di questo
pensatore risiede proprio nella sua incapacità di comprendere le
ragioni delle altre scuole dell’anarchismo:
E infatti egli scrive: <<Con una
terminologia differente, il socialismo e il cristianesimo
preconizzano l’amore fra gli uomini, tutti gli uomini, che essi
chiamano, ciascuno e tutti, al banchetto della vita, senza reclamare
altro sforzo che un’adesione esteriore a un programma, vogliamo
dire l’obbedienza a un credo. È con ragione che si è potuto
qualificare il socialismo:”la religione del fatto economico”.>>
Le conseguenze, anche sul piano teorico, di questa
impostazione che tende come abbiamo detto a delegittimare le altre
correnti di pensiero anarchico non sono di poco conto. Infatti, se
molte delle riflessioni di Armand sono del tutto compatibili con le
altre scuole di pensiero anarchiche, la sua insistenza sulle
presunte prerogative dell’individualista anarchico finisce per
chiudergli gli sbocchi teorici
e pratici di una vera prospettiva di liberazione per cui, se
da un lato è costretto a far ricorso all’educazionismo come lento
lavoro coscientizzazione delle masse, dall’altro deve attribuire
la possibilità di ribellarsi ad una improbabile “selezione” di
individualità più o meno “adatte” all’individualismo
anarchico. È evidente il rischio di questo tipo di impostazione, in
quanto la scelta anarchica non è più tale, e
diventa invece un dato caratteriale: “vi saranno sempre dei
protestatari, dei ribelli, dei refrattari, degli isolati”, scrive
Armand. In questo modo viene confermata la lettura che il Potere da
di ogni critica politica radicale: una critica che non solo non ha
ragione e non ha speranza, ma che non parte dal dato delle relazioni
sociali gerarchiche, bensì da un disturbo individuale, da una
malformazione del pensiero che prescinde dal contesto. “Vi saranno
sempre dei fuorilegge, degli amorali, dei perturbatori”, scrive
ancora Armand; quindi secondo lui vi sarà sempre la legge, la morale e
quindi anche lo Stato. Queste evidenti contraddizioni non cancellano
certo l’importanza delle ricerche teoriche di Armand, né il loro
fondamentale ruolo divulgativo nell’epoca in cui furono scritte.
Ma risulta ancora più marcata la capacità di Malatesta di
criticare senza delegittimare:
<<I comunisti
anarchici […]arrivano quindi ad una conclusione che potrebbe
esprimersi colla formula: Quanto più comunismo possibile per
realizzare il più possibile di individualismo, vale a dire il
massimo di solidarietà per godere del massimo di libertà.>>
Il
paradosso, solo apparente è appunto che mentre il comunista
anarchico Malatesta arriva attraverso il metodo della non-esclusione
a cogliere correttamente le ragioni degli individualisti usando
talvolta accenti quasi stirneriani, è proprio Armand ad
allontanarsi dall’operaismo stirneriano quando vede
nell’associazione, e talora in qualsiasi associazione, una
degradazione, un abbassamento, una limitazione irreparabile per
l’individuo, un espediente temporaneo ma pericoloso.
Scrive
Malatesta: << Noi ne conveniamo: tutti siamo egoisti,
tutti cerchiamo la nostra soddisfazione. Ma è
anarchico colui che la massima sua soddisfazione la trova nel
lottare pel bene di tutti, per la realizzazione di una società in
cui egli possa trovarsi, fratello tra
fratelli, in mezzo ad uomini sani, intelligenti, istruiti e
felici. Chi invece può adattarsi, contento, a vivere tra schiavi e
trarre profitto dal lavoro di schiavi non è, non può essere
anarchico>>
E ancora:
<<
[…]se mi diverto, l’animo mio si attrista appena mi viene in
mente che v’è dei disgraziati che gemono in galera; se studio o
faccio un lavoro che mi piace, sento come un rimorso pensando che vi
sono tanti che hanno maggior ingegno di me e sono costretti a
sciupare la vita in una fatica abbrutente, spesso inutile o dannosa.
Puro egoismo, come vedete, ma di quell’egoismo che altri chiama
altruismo e senza il quale, lo si chiamo come si vuole, non è
possibile essere realmente anarchici.>>
Scrive
invece Armand: << […] Se tu sei un individualista,
qualunque associazione non può essere per te che un “pis aller”,
(un peggioramento) un espediente, in quanto associandoti, non puoi
fare a meno di perdere un poco della tua indipendenza.>>
E ancora:
<< A questo punto, noi possiamo renderci conto di ciò
che distingue l’associazione individualista anti-autoritaria,
dall’associazione come è intesa dai borghesi, statalisti,
socialisti, comunisti, ecc.>>
In
conclusione, la vera differenza tra Malatesta e Armand non è
affatto nelle rispettive adesioni al comunismo ed
all’individualismo anarchico. La vera differenza sta nel fatto
che, al di là di alcune concessioni generiche del tipo: “gli
altri facciano ciò che vogliono purché lascino in pace
l’individualista”, Armand finisce per escludere le altre
correnti di pensiero antiautoritario dal novero dell’anarchismo
con motivazioni che appaiono ampiamente pretestuose quando non del
tutto incomprensibili. In questo modo egli alimenta quel meccanismo
di delegittimazione che ha spesso innescato nel movimento anarchico
una serie di disconoscimenti e veti incrociati paralizzanti.
Come abbiamo
visto, Malatesta non cade in questo gioco perverso e interviene nel
dibattito tra comunisti e individualisti per cercare caparbiamente
il minimo comun denominatore, il fattore unificante, e questo senza
nessun bisogno di dover sminuire il contributo teorico alla sua
posizione di comunista, senza nessun cedimento omologante, ma
praticando in modo consequenziale il metodo della non-esclusione che
appartiene come elemento irrinunciabile alla scatola d’attrezzi
dell’anarchismo.
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