Gradualismo
rivoluzionario e rivoluzione permanente in Errico Malatesta
di
Gigi Di Lembo
Malatesta,
arrivato alla maturità della sua esistenza e della sua militanza,
che poi in gran parte sono un tutt’uno, traccia una nuova rotta
per l’azione anarchica e riflette sulle peculiarità dell’anarchia
come patrimonio di idee e dell’anarchismo
come movimento di lotta.
Semplificando al massimo, M.
arriva allora a sganciare l’una e l’altro da qualsiasi forma di
determinismo, sia economico, sia naturalistico o giusnaturalistico,
sia filosofico, sia pseudoscientifico. L’Anarchia è un esigenza;
frutto dei migliori sentimenti di sociabilità maturati nel tempo
dall’uomo. E’ infatti un esigenza
sentita da chi soffre per la propria o l’altrui servitù,
sia questa economica o civile o morale; sentita, in altri termini,
da chi non può essere felice se non nella felicità di tutti. Gli
anarchici hanno questa esigenza e soprattutto hanno la volontà di
costruire una società che la soddisfi; cioè una società, come
minimo, senza governo (di pochi come di maggioranze) e senza padroni
(privati o di stato), una società quindi in cui nessuno sfrutta o
è sfruttato, di uomini liberi e solidali che si muovono basandosi
sui liberi accordi.
Se l’Anarchia è priva di
qualsiasi necessità intrinseca, è la Volontà di arrivarci - come
osserva Nico Berti – che assume il carattere di fattore portante,
d’altronde Malatesta è ormai convinto che il vero motore dell’
intero svolgimento umano, nel bene e nel male, sia, e sia stato
sempre, un fatto di volontà.
Ma la Volontà
incontra dei limiti oggettivi: quelli dati da una natura
tutt’altro che benigna, quelli dati dal momento che attraversa
la società e, soprattutto, quelli dati dalla logica interna
ad ogni azione: legge generale, assiomatica dell’evoluzione [è] che niente avviene
senza causa sufficiente, che nulla si può fare senza avere la forza
di farlo [così…]
l’anarchia non può essere l’effetto di un miracolo […] la
coscienza, la volontà, la capacità si svolgono gradualmente e
trovano occasione e modo di svilupparsi nel graduale modificarsi
dell’ambiente, nella realizzazione delle volontà a misura che si
formano e diventano imperiose, così l’anarchia non può avvenire
che a poco a poco, crescendo gradualmente d’intensità ed in
estensione. Non si tratta dunque di fare
l’anarchia oggi o domani o tra dieci secoli; ma di camminare verso l’anarchia
oggi, domani, sempre. [E.M.,
Verso l’Anarchia in
“La Questione Sociale”, Paterson 9 dic.1899]
Mentre l’Anarchia diventa, per
usare un espressione dello stesso M. come sul mare l’orizzonte
verso cui si muove sempre la nave ma allo stesso modo sempre si
dilata, assume peso
enorme l’anarchismo
cioè l’agire in senso anarchico e questo, che implica la sintonia
tra fini e mezzi, comporta in sostanza anche che l’anarchia non può essere imposta ma ha bisogno di essere
liberamente scelta. Così
Malatesta scarta ora una rivoluzione “anarchica”, non tanto per
le difficoltà operative ma proprio per evitare qualsiasi
“giacobinismo” cioè l’imposizione del bene erga omnes.
D’altra parte considera utopico l’avvicinamento delle masse
all’anarchia attraverso la semplice propaganda; si tratta infatti di assimilare una prassi di libertà e
solidarietà e questo può avvenire solo in un clima di libertà,
impensabile nelle società autoritarie dei governi e dei
padroni.
Malatesta si indirizza allora
verso il concorso degli anarchici ad ogni momento di rottura dei
vecchi equilibri sociali, quello che permette l’emergere di quanto
si è nel frattempo evoluto nei rapporti umani. E qui entra con
tutto il suo peso la Volontà. Il concorso degli anarchici infatti
si caratterizza nello spingere alla rottura quella situazione, che
di per sé può avere ben altri sbocchi, nello spingere
all’insurrezione; cioè, alla distruzione e, dove non sia possibile, alla paralisi
massima e più lunga possibile, del governo e del padronato,
così da aprire spazi alla libera sperimentazione, necessaria agli
anarchici per rendere concrete le proprie idee, e ai lavoratori per
fare i primi passi verso l’autogoverno e un sistema economico
solidale. Se poi i lavoratori al postutto
vorranno un altro governo sta nella loro libertà il farlo,
basta che quest’ultimo
lasci agli anarchici uguale libertà di ignorarlo e di
mettere in atto le proprie sperimentazioni.
Questo in sostanza il gradualismo
rivoluzionario di Malatesta. Per comprendere il salto di qualità
che Malatesta allora impresse alle idee anarchiche, basta leggere A
proposito di revisionismo sull’“Adunata dei Refrattari”
del 1 agosto 1931, dove riassume i programmi e lo spirito con i
quali gli anarchici si erano mossi precedentemente.
Fabbri per primo capì che
Malatesta. aveva elaborato queste sue idee, nella loro essenza, già
negli anni di fine secolo (“Agitazione”di Ancona,
marzo1897-aprile’98, e “Questione Sociale” di Paterson,
settembre-novembre ‘99) e vide le elaborazioni successive, per
intendersi quelle di “Pensiero e Volontà” (1924-26), solo come
una sistemazione delle prime. Il
che è sostanzialmente vero: queste sono le linee guida di Malatesta
nel ’14 e ancor più nel ’20. Non per nulla il programma
accettato dall’UAI a
Bologna era in larga parte quello scritto da M. a Paterson, ma, come
osservò Borghi, anche
gli avvenimenti del primo dopoguerra influirono e non poco nel
pensiero dell’ultimo Malatesta.
E non influì tanto la
sconfitta in Italia e la vittoria del fascismo, se non
nell’accentuazione in Malatesta di una visione umanista della
rivoluzione, [vedi in proposito Per la prossima riscossa in “Solidarietà” pro vittime
politiche, suppl. al n. 67 di “Libero Accordo”, Roma feb. 1923] quanto il disastro della rivoluzione in Russia.
Quest’ultimo avvenimento è visto non solo e non tanto come
sconfitta anarchica ma come enorme rischio per la funzione
emancipatrice fino ad allora svolta dal movimento operaio. E’ noto
che già nel luglio ’19 Malatesta aveva previsto come possibile
l’esito dittatoriale degli avvenimenti russi, ma è al III
Congresso UAI nel novembre ’21 -dopo Kronsdat
e soprattutto quando anche in Italia ogni possibilità
rivoluzionaria è esaurita- che esce allo scoperto ponendo il
problema che cambia la prospettiva della sua azione. A quel
congresso disse chiaro e tondo: Oggi siamo di fronte a un
fatto nuovo, la formazione del partito comunista; se la rivoluzione
fosse avvenuta sotto gli auspici del partito socialista o
repubblicano, anche se noi non avessimo avuto su di essa grande
influenza, avremmo però sempre avuto una più larga libertà per la
propaganda delle nostre idee. Ora c’è il partito comunista che
predica una rivoluzione che altri dice asiatica e che io dico
semplicemente barbarica, e col pretesto di voler istituire la
dittatura del proletariato vuole istituire la dittatura dei capi
comunisti al di sopra e contro il proletariato. Se noi non
riuscissimo ad impedire un tale sbocco dittatoriale della
rivoluzione, questa creerebbe uno stato di oppressione peggiore del
presente. Oggi la rivoluzione
deve prendere assolutamente un indirizzo anarchico al suo primo
scoppiare se no sarà un gran danno per il proletariato e per gli
anarchici. I comunisti ci indicano come i loro peggiori nemici,
noi siamo infatti gli amici della libertà della quale essi sono
nemici. [ in Umanità Nova Roma, 6 nov. 1921]
Come imprimere alla
rivoluzione un indirizzo anarchico fin al suo primo scoppiare, ecco
il nuovo pesantissimo problema che muove Malatesta nella
rielaborazione successiva. Un problema che non si pone solo
Malatesta e che, anzi, è alla base del travaglio che investe il
movimento anarchico non solo italiano di quel dopoguerra. A ben
vedere è la stessa molla della scorciatoia piattaformista del 1927.
Come noto, questa proposta non attecchì gran che tra gli italiani
ma tra questi nacque comunque, intorno al 1930, il cosiddetto
“revisionismo”, o per meglio dire i “revisionismi”:
Tralasciando infatti
l’articolato e problematico “attualismo”
di Berneri, c’è il “revisionismo”
di Randolfo Vella, che pubblica l’opuscolo Preanarchia
(Lugano 1931), quello che compare a firma di “Pardaillan”
per tutto il ‘31 su “Il Martello”, con soluzioni dirigiste
quanto il piattaformismo, anche se meno coerenti; quello meno
teorizzato ma ben operante, di una collaborazione con le correnti
democratiche (più o meno) rivoluzionarie, di Alberto Meschi. Questo
per citare solo i revisionismi con un certo spessore.
In comune hanno il fatto
di prospettare in un modo o nell’altro, in maniere più o meno
mascherata, una qualche forma di governo rivoluzionario anarchico o
di partecipazione anarchica alle “responsabilità” di un governo
rivoluzionario: cioè esattamente l’opposto di quanto elaborato da
M. secondo cui Bisogna ben
distinguere il fatto rivoluzionario, che abbatte quanto più può
del vecchio regime e vi sostituisce nuove istituzioni, dai governi
che vengono dopo ad arrestare la rivoluzione e a sopprimere più che
possono delle conquiste rivoluzionarie.Tutta la storia ci insegna
che tutti i progressi causati dalle rivoluzioni sono ottenuti nel
periodo dell’effervescenza popolare, quando o non esisteva ancora
governo riconosciuto o il governo era .[ E.M. Repubblica
e Rivoluzione in “Pensiero e Volontà” Roma 1 giu. 1924].E
questo valeva anche per gli
eventuali governanti
“anarchici” sia perché certe evoluzioni sono una necessità
della situazione, sia perché noi anarchici non siamo poi di tanto
migliori della comune umanità [ E.M. Rimasticature
autoritarie in “Il Risveglio Anarchico” Ginevra, 1 mag.
1931].
Praticamente tutti gli
interventi di M., dal ‘29 fino al ‘32 , sono indirizzati a
demolire le basi teoriche del revisionismo francamente
autoritario dei francesi e quello più mascherato degli italiani
(Sono parole che M. scrive nel dicembre ‘31 alla D’Andrea) ed è
in questa opera che dà l’ultimo registro alle sue idee.
Partendo dall’assioma
che la Libertà e la Rivoluzione si difendono solo con la Libertà,
accentua la necessità per gli anarchici, di astenersi da ogni
dirigismo più o meno governativo e di contro di armare il popolo e
combattere l’instaurarsi di qualsiasi autorità
pseudorivoluzionaria.
Dato per impraticabile un
immediato comunismo, accentua viceversa al massimo la libera
sperimentazione economica e sociale nel segno del gradualismo
rivoluzionario, stando
ben attenti a nulla
distruggere di quanto soddisfi sia pur malamente ad un bisogno umano
se non abbiamo qualche cosa di meglio da sostituirvi [ E.M. Gradualismo in “Pensiero e Volontà” Roma, 1 ott. 1925. E’
l’articolo più completo di M. sull’argomento]. Indica agli
anarchici la strada di guadagnarsi in queste azioni non solo una
propria forza ma una sorta di carisma, di credibilità
per far accettare le proprie proposte operative.
Ormai non si tratta tanto
di sperimentare spazi anarchici postinsurrezionali, quanto di
trovare subito da anarchici soluzioni insieme alla gente, e valide
il più in generale possibile. Più a lungo gli anarchici
contribuiranno a impedire l‘istaurarsi di un nuovo governo e
quanto più incisiva sarà la loro presenza tanto più metteranno
radici, idee e prassi di libertà e solidarietà, rendendo più
difficile per i nuovi governi estirparle del tutto e diventando esse
stesse patrimonio base
per i nuovi rivolgimenti.
Come M. intendesse
operativamente le sue idee si può dedurre dall’ atteggiamento che
tiene durante la rivoluzione in Spagna del 14 aprile del ’31. In
questo paese nel gennaio del ’30, il re era stato costretto a
dimettere De Rivera, che dal 1923 aveva instaurato una dittatura
mussolineggiante, e affidato al generale Berenguer il compito di
tornare al sistema costituzionale. Ma la caduta di De Rivera aveva
portato al coagularsi di tutte le forze antimonarchiche e laiche, e
scatenato una vera febbre repubblicana che nell’aprile del ’31
appunto, si era rivelata appieno vincendo le elezioni municipali, le
prime dopo la dittatura. A quel punto il re si era rifugiato in
Francia aprendo un gran vuoto di potere. Questi fatti in Spagna e
nel mondo furono interpretati come una
rivoluzione vera e propria. L’anarchismo, che là aveva
grande peso fin dalla I Internazionale, o meglio, la CNT, allora
guidata da Angel Pestana e Juan Peirò, aveva assunto in questi
avvenimenti una posizione ambigua quando non apertamente di
collaborazione con le forze repubblicane. Nel marzo del ’30 Peirò
aveva firmato sia pure a titolo personale un programma appello degli
intellettuali spagnoli per uno stato laico e repubblicano,
nell’agosto la CNT aveva dato appoggio esterno al Patto di San
Sebastian che segnava l’alleanza elettorale tra Socialisti,
catalanisti e repubblicani, atteggiamento che aveva pesato non poco
sui risultati elettorali d’aprile. L’esito della lotta sembrava
aver dato ragione a questo atteggiamento e ora che la repubblica era
una realtà la CNT si limitava a scioperi settoriali, che comunque
spesso finivano a fucilate, mentre il suo organo “Solidaridad
Obrera” scriveva a sostegno delle nuove autorità catalaniste di
Barcellona e prendeva un atteggiamento benevole verso le elezioni
della Costituente previste per metà giugno. In pratica era
l’attuarsi di quello che tra gli italiani era conosciuto come
revisionismo “di destra”. A sostegno di questo come
scelta non tattica ma strategica si mosse addirittura Max Nettlau,
con l’articolo La
Rivoluzione Spagnola e gli anarchici, rivolgendosi proprio agli
italiani dalle pagine dell’ “Adunata” del 30 maggio 1931,
suscitando un discreto scalpore.
Malatesta non potè vedere
l’articolo del suo vecchio amico se non nel febbraio del ’32 ma
si era mosso subito in tutt’altra direzione. Il 18 maggio di
quello stesso ’31 aveva risposto in questi termini a Fabbri, che
constatava che la monarchia spagnola era stata battuta da delle
elezioni: Le elezioni
municipali spagnole sono state l’esplosione del sentimento
antimonarchico della popolazione che ha profittato per manifestarsi
della prima occasione che si è presentata […] Non è detto con ciò
che le urne hanno deciso la situazione, poiché se il re non si
fosse sentito abbandonato dalle classi dirigenti e se fosse stato
sicuro dell’esercito, se ne sarebbe infischiato delle elezioni ed
avrebbe messo ordine alle cose con molte manette e qualche buon
massacro.[…] Naturalmente la questione si posa differentemente a
riguardo delle elezioni per le Cortes Costituentes. Qui si tratta
veramente di un corpo legislativo che gli anarchici non debbono
riconoscere ed alla cui elezione non possono partecipare.
Naturalmente de Costituente vi deve essere è preferibile ch’essa
sia repubblicana e federalista anziché monarchica e accentratrice;
ma il compito degli anarchici resta quello di sostenere e mostrare
che il popolo può e deve organizzare da sé il nuovo modo di vita e
non già sottoporsi alla legge. Ed io credo che si può obbligare la
Costituente ad essere meno reazionaria possibile ed impedire
ch’essa strozzi la rivoluzione, meglio agendo di fuori che
standovi dentro. Io cercherei di opporre alla Costituente dei
congressi permanenti (locali, provinciali, regionali, nazionali)
aperti a tutti, i quali, appoggiandosi sulle organizzazioni operaie,
discuterebbero tutte le questioni che interessano la popolazione,
prenderebbero tutte le iniziative necessarie (espropriazione,
organizzazione della produzione, ecc.) stabilirebbero rapporti
volontarii fra le varie località e le varie corporazioni,
consiglierebbero, spronerebbero, ecc. [in E.M.
Epistolario 1873-1932 acd. R. Bertolucci, Avenza Centro Studi
Sociali 1984]. Il 6 giugno così scriveva ad un altro compagno
(“Adolfo”): In quanto alla
corrispondenza dalla Spagna pare anche a me che quei compagni non si
rendano un conto chiaro di quello che stanno facendo i governi di
Madrid e Barcellona, i quali, al pari di ogni governo, cercano
innanzitutto di consolidarsi al potere appoggiandosi su vecchi e
nuovi privilegi. Surti da un movimento popolare debbono mostrarsi più
liberali del regime decaduto ma fatalmente, per necessità di
esistenza e per istinto di comando, faranno tutto il possibile per
ostacolare lo sviluppo della rivoluzione. Secondo me, bisognerebbe
profittare di questi primi tempi di debolezza e di disorganizzazione
governative, per strappare allo Stato ed al capitalismo il più che
si può. Più tardi la Costituente ed il potere esecutivo
cercheranno di ritogliere al popolo i vantaggi ottenuti, e non
rispetteranno che quelle conquiste popolari che stimeranno troppo
pericoloso attaccare. Trovo veramente troppo esageratamente
ottimista il dire che la “la libertà politica non è limitata da
nessuna autorità” quando sappiamo che la guardia civile è stata conservata e leggiamo che qua e là in
tutta la Spagna, da Sevilla a San Sebastiano, si spara sulla folla e
si proclamano stati d’assedio. Il fatto di aver permesso un
comizio in un gran teatro di Barcellona prova solo che il governo
non lo ha creduto pericoloso, o non si è sentito abbastanza forte
per impedirlo. Il compito dei rivoluzionari sarebbe quello di
profittare della presente debolezza del governo per imporgli la
dissoluzione dei corpi di polizia, l’armamento generale della
popolazione, la demolizione del Castello di Montjuich, ecc. [E.M.
Epistolario…cit.]
Malatesta si esprime su
questo tono in diverse altre lettere ma evita di scrivere in
proposito sulle nostre testate perché, come suo costume, intende
prendere pubblicamente posizione solo quando è sul posto. Il fatto
è che, malgrado il suoi 78 anni, l’importanza che Malatesta
annette agli avvenimenti in Spagna è tale da
convincerlo a tentare di sfuggire alle autorità fasciste per
accorrere a Barcellona. Il 28 maggio aveva scritto a Gigi Damiani che in questo momento,
comunque si mettano le cose, la Spagna è sempre il paese del mondo
che presenta per noi le maggiori possibilità
e già
esattamente un mese prima lo aveva avvertito: pagherei
non so cosa per poterci andare [E.M. Epistolario…cit.].
Una delle frasi a suo tempo convenute per indicare l’ eventuale
decisione del “grande vecchio”
di lasciare l’Italia. Nel frattempo Damiani aveva raggiunto
Barcellona come molti altri italiani -P. Bruzzi, V. Gozzoli e Dario
Castellani vi avevano addirittura costituito un Ufficio di
Corrispondenza Libertario- e si metteva all’opera per risolvere il
problema veramente difficile di prelevare Malatesta. Damiani appena
in Spagna aveva preso una posizione molto critica verso la tendenza
prevalente nel movimento ma, fortunatamente, aveva presto trovato
amici tra gli stessi spagnoli, tra i quali
cominciava a risollevarsi la tendenza meno rinunciataria. Gli
anarchici della F.A. Iberica, l’organizzazione segreta che si era
formata nel ’27 proprio per combattere le tendenze revisioniste già
serpeggianti nella CNT, stava infatti passando al contrattacco: il
Congresso della CNT, che si
tenne a Madrid ai primi di maggio, poco prima delle elezioni della
Costituente, segnava l’inizio di un duro braccio di ferro tra
l’ala di sinistra e quella revisionista che porterà poi
all’uscita dei cosiddetti “sindacati di opposizione”, al
“manifesto dei trenta” e all’espulsione di Pestana. In questo
quadro la comparsa in Spagna di Malatesta sarebbe stata di
importanza capitale per la sinistra. Santillan consigliò Damiani di
rivolgersi alla FAI di Barcellona molto forte nei 5 sindacati
maggiori di quella città e che poteva disporre
di un certo fondo di riserva destinato a tutt’altro che alla
propaganda del sindacalismo. [Damiani a U.Fedeli il 26.11.1931
in I.I.S.G. di Amsterdam, Fondo Fedeli scat.184]. Fu un buon
consiglio, vennero messi insieme 15 mila pesetas bastanti per avere
a disposizione un idroplano e un motoscafo, il piano prevedeva
infatti di prelevare Malatesta dalla costa italiana, portarlo al
largo e di li in volo in Spagna, dove Ramon Franco (il fratello del
futuro caudillo), esponente dell’ala sinistra delle forze armate,
controllava il sistema aeroportuale. A questo punto, il 23 maggio,
Damiani scriveva
a Malatesta di chiedere il passaporto! Il 18 giugno scriveva
nuovamente “consigliandolo”
di andare al mare per cercare sollievo alla calura. A metà luglio
Malatesta è a Terracina ma si accorge di non aver alcuna possibilità
di sfuggire agli sbirri, ha addosso una squadra di venti poliziotti
con l’ordine di non farlo avvicinare alla riva e a nessuno.
Malatesta è costretto ad avvertire Damiani e questi deve sospendere
per il momento l’operazione. La prima lettera che Malatesta scrive
il 1 agosto a Damiani dopo
l’insuccesso non lascia dubbi sulla volontà di ritentare: Sono
dunque di nuovo a Roma a mordere il freno. Fino a quando? Se puoi,
mandami notizie [E.M. Epistolario…cit.].
Ma l’operazione non potrà essere più portata avanti e questa
volta non per la polizia italiana ma per la situazione del movimento
in Spagna. A fine ottobre, qualcosa filtrava, dal ristrettissimo
gruppo di spagnoli che erano nell’operazione, agli italiani vicini
all’Ufficio di Corrispondenza Libertaria apertamente schierato
sulla linea di Pestana; così questi viene a saperne abbastanza da
sfruttare a fondo per colpire l’ala sinistra del movimento: il 13
novembre fa stampare su “Soli”,ancora controllata da lui, una
aperta diffida a quei compagni italiani che con la scusa di far
fuggire Malatesta dall’Italia prendevano fondi dai sindacati
confederali. Fortuna che Damiani aveva avuto l’accortezza di
rendere la somma ricevuta subito dopo l’avvertimento di Malatesta
da Terracina, ma questo contava poco per Pestana che ancora su
“Soli” del 19 ripeteva la diffida ripresa poi da “El Luchador”
del 20 e infine del 4 dicembre. Con il risultato di una diatriba
violenta, soprattutto di pubblico dominio tale da rendere
impossibile proseguire nel progetto; a
fine novembre Damiani lasciava Barcellona per Tunisi.
Fu così che Malatesta non
potè contribuire agli avvenimenti spagnoli come non poté
contribuire ad altro; moriva infatti a 79 anni, ma tutto sommato in
modo inaspettato, il 22 luglio ’32. Fece però in tempo a salutare
l’iniziativa presa dalla FAI e dagli elementi della CNT a lei
vicina che si tradusse in una serie di insurrezioni che molto
contribuirono a che la situazione non si normalizzasse e sboccasse
nella rivoluzione del luglio ‘36.
Anche se non si nascondeva il fatto che il momento migliore
era passato, i tentativi o
esperimenti insurrezionali di questi ultimi tempi –scriveva a
Damiani il 5 marzo ’32 -
dimostrano, mi pare che il materiale per un azione decisiva non
mancherebbe [E.M. Epistolario…cit.]
E questo ci introduce ad una considerazione finale.
Dato l’Anarchia come
idea guida e non come concreto obbiettivo,
almeno di breve e medio periodo; dato l’impossibilità
intrinseca di un “governo” anarchico; dato la costante e
concreta possibilità di ritorno
a sistemi di governo una volta esaurito il periodo dell’
effervescenza popolare; che chance ha, secondo M,. la volontà degli
anarchici di andare avanti nell’anarchismo? Credo che la soluzione
la troviamo nella risposta di Malatesta alla lettera di Makno del
novembre ’29. Allora Malatesta dopo aver condensato quanto più
volte ripetuto sull’azione, tutta dal basso, tutta nel sociale,
tutta antigovernativa degli anarchici nella preparazione e nella
attuazione della rivoluzione concludeva: E quando non trovassimo nel popolo consensi sufficienti e non potessimo
impedire la ricostituzione di uno Stato colle sue istituzioni
autoritarie ed i suoi organi coercitivi, noi dovremmo rifiutarci a
parteciparvi e a riconoscerlo, ribellarci contro le sue imposizioni
e reclamare piena autonomia per noi stessi e per tutte le minoranze
dissidenti. Dovremmo insomma restare in istato di ribellione
effettiva o potenziale, e, non potendo vincere nel presente,
preparare almeno l’avvenire. […] Ecco. Io credo che
l’importante non sia il trionfo dei nostri piani, dei nostri
progetti, delle nostre utopie, le quali del resto hanno bisogno
della conferma dell’esperienza e possono essere dall’esperienza
modificate, sviluppate ed adatttate alle reali condizioni morali e
materiali dell’epoca e del luogo. Ciò che più importa è che il
popolo, gli uomini tutti perdano gl’istinti e le abitudini
pecorili, che millenaria schiavitù ha loro inspirate, ed apprendano
a pensare ed agire liberamente. Ed è questa grande opera di
liberazione morale che gli anarchici debbono specialmente dedicarsi
[E.M. Scritti vol. III,
Ginevra, Edizioni del “Risveglio” 1936]
La chiave di volta
rivoluzionaria di una concezione di per sè così umanista,
sperimentalista e gradualista è tutta in quel
restare in istato di
ribellione effettiva e potenziale, e non potendo vincere nel
presente, preparare almeno l’avvenire . Uno “istato” molto
vicino ad uno sorta di rivoluzione permanente a cui sono chiamati
gli anarchici, come componente organizzata e critica del movimento
dei lavoratori, e come componenti della comunità umana.
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