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Gradualismo rivoluzionario e rivoluzione permanente in Errico Malatesta

di Gigi Di Lembo

 

Malatesta, arrivato alla maturità della sua esistenza e della sua militanza, che poi in gran parte sono un tutt’uno, traccia una nuova rotta per l’azione anarchica e riflette sulle peculiarità dell’anarchia come patrimonio di idee e dell’anarchismo come movimento di lotta.

Semplificando al massimo, M. arriva allora a sganciare l’una e l’altro da qualsiasi forma di determinismo, sia economico, sia naturalistico o giusnaturalistico, sia filosofico, sia pseudoscientifico. L’Anarchia è un esigenza; frutto dei migliori sentimenti di sociabilità maturati nel tempo dall’uomo. E’ infatti un esigenza  sentita da chi soffre per la propria o l’altrui servitù, sia questa economica o civile o morale; sentita, in altri termini, da chi non può essere felice se non nella felicità di tutti. Gli anarchici hanno questa esigenza e soprattutto hanno la volontà di costruire una società che la soddisfi; cioè una società, come minimo, senza governo (di pochi come di maggioranze) e senza padroni (privati o di stato), una società quindi in cui nessuno sfrutta o è sfruttato, di uomini liberi e solidali che si muovono basandosi sui liberi accordi.

Se l’Anarchia è priva di qualsiasi necessità intrinseca, è la Volontà di arrivarci - come osserva Nico Berti – che assume il carattere di fattore portante, d’altronde Malatesta è ormai convinto che il vero motore dell’ intero svolgimento umano, nel bene e nel male, sia, e sia stato sempre, un fatto di volontà.

Ma la Volontà  incontra dei limiti oggettivi: quelli dati da una natura tutt’altro che benigna, quelli dati dal momento che attraversa  la società e, soprattutto, quelli dati dalla logica interna ad ogni azione: legge generale, assiomatica dell’evoluzione [è] che niente avviene senza causa sufficiente, che nulla si può fare senza avere la forza di farlo  [così…] l’anarchia non può essere l’effetto di un miracolo […] la coscienza, la volontà, la capacità si svolgono gradualmente e trovano occasione e modo di svilupparsi nel graduale modificarsi dell’ambiente, nella realizzazione delle volontà a misura che si formano e diventano imperiose, così l’anarchia non può avvenire che a poco a poco, crescendo gradualmente d’intensità ed in estensione. Non si tratta dunque di fare l’anarchia oggi o domani o tra dieci secoli; ma di camminare verso l’anarchia oggi, domani, sempre. [E.M., Verso l’Anarchia  in “La Questione Sociale”, Paterson 9 dic.1899]

Mentre l’Anarchia diventa, per usare un espressione dello stesso M. come sul mare l’orizzonte verso cui si muove sempre la nave ma allo stesso modo sempre si dilata, assume  peso enorme  l’anarchismo cioè l’agire in senso anarchico e questo, che implica la sintonia tra fini e mezzi, comporta in sostanza anche che l’anarchia non può essere imposta ma ha bisogno di essere liberamente scelta. Così Malatesta scarta ora una rivoluzione “anarchica”, non tanto per le difficoltà operative ma proprio per evitare qualsiasi “giacobinismo” cioè l’imposizione del bene erga omnes. D’altra parte considera utopico l’avvicinamento delle masse all’anarchia attraverso la semplice propaganda;  si tratta infatti di assimilare una prassi di libertà e solidarietà e questo può avvenire solo in un clima di libertà,  impensabile nelle società autoritarie dei governi e dei padroni.

Malatesta si indirizza allora verso il concorso degli anarchici ad ogni momento di rottura dei vecchi equilibri sociali, quello che permette l’emergere di quanto si è nel frattempo evoluto nei rapporti umani. E qui entra con tutto il suo peso la Volontà. Il concorso degli anarchici infatti si caratterizza nello spingere alla rottura quella situazione, che di per sé può avere ben altri sbocchi, nello spingere all’insurrezione; cioè, alla distruzione e, dove non  sia possibile, alla paralisi  massima e più lunga possibile, del governo e del padronato, così da aprire spazi alla libera sperimentazione, necessaria agli anarchici per rendere concrete le proprie idee, e ai lavoratori per fare i primi passi verso l’autogoverno e un sistema economico solidale. Se poi i lavoratori al postutto vorranno un altro governo sta nella loro libertà il farlo,  basta che quest’ultimo  lasci agli anarchici uguale libertà di ignorarlo e di mettere in atto le proprie sperimentazioni.

Questo in sostanza il gradualismo rivoluzionario di Malatesta. Per comprendere il salto di qualità che Malatesta allora impresse alle idee anarchiche, basta leggere A proposito di revisionismo sull’“Adunata dei Refrattari” del 1 agosto 1931, dove riassume i programmi e lo spirito con i quali gli anarchici si erano mossi precedentemente.

Fabbri per primo capì che Malatesta. aveva elaborato queste sue idee, nella loro essenza, già negli anni di fine secolo (“Agitazione”di Ancona, marzo1897-aprile’98, e “Questione Sociale” di Paterson, settembre-novembre ‘99) e vide le elaborazioni successive, per intendersi quelle di “Pensiero e Volontà” (1924-26), solo come una sistemazione delle prime.  Il che è sostanzialmente vero: queste sono le linee guida di Malatesta nel ’14 e ancor più nel ’20. Non per nulla il programma accettato dall’UAI  a Bologna era in larga parte quello scritto da M. a Paterson, ma, come osservò  Borghi, anche gli avvenimenti del primo dopoguerra influirono e non poco nel pensiero dell’ultimo Malatesta.

E non influì tanto la sconfitta in Italia e la vittoria del fascismo, se non nell’accentuazione in Malatesta di una visione umanista della rivoluzione, [vedi in proposito Per la prossima riscossa in “Solidarietà” pro vittime politiche, suppl. al n. 67 di “Libero Accordo”, Roma feb. 1923]  quanto il disastro della rivoluzione in Russia. Quest’ultimo avvenimento è visto non solo e non tanto come sconfitta anarchica ma come enorme rischio per la funzione emancipatrice fino ad allora svolta dal movimento operaio. E’ noto che già nel luglio ’19 Malatesta aveva previsto come possibile l’esito dittatoriale degli avvenimenti russi, ma è al III Congresso UAI nel novembre ’21 -dopo Kronsdat  e soprattutto quando anche in Italia ogni possibilità rivoluzionaria è esaurita- che esce allo scoperto ponendo il problema che cambia la prospettiva della sua azione. A quel congresso disse chiaro e tondo:  Oggi siamo di fronte a un fatto nuovo, la formazione del partito comunista; se la rivoluzione fosse avvenuta sotto gli auspici del partito socialista o repubblicano, anche se noi non avessimo avuto su di essa grande influenza, avremmo però sempre avuto una più larga libertà per la propaganda delle nostre idee. Ora c’è il partito comunista che predica una rivoluzione che altri dice asiatica e che io dico semplicemente barbarica, e col pretesto di voler istituire la dittatura del proletariato vuole istituire la dittatura dei capi comunisti al di sopra e contro il proletariato. Se noi non riuscissimo ad impedire un tale sbocco dittatoriale della rivoluzione, questa creerebbe uno stato di oppressione peggiore del presente. Oggi la rivoluzione deve prendere assolutamente un indirizzo anarchico al suo primo scoppiare se no sarà un gran danno per il proletariato e per gli anarchici. I comunisti ci indicano come i loro peggiori nemici, noi siamo infatti gli amici della libertà della quale essi sono nemici. [ in Umanità Nova Roma, 6 nov. 1921]

Come imprimere alla rivoluzione un indirizzo anarchico fin al suo primo scoppiare, ecco il nuovo pesantissimo problema che muove Malatesta nella rielaborazione successiva. Un problema che non si pone solo Malatesta e che, anzi, è alla base del travaglio che investe il movimento anarchico non solo italiano di quel dopoguerra. A ben vedere è la stessa molla della scorciatoia piattaformista del 1927. Come noto, questa proposta non attecchì gran che tra gli italiani ma tra questi nacque comunque, intorno al 1930, il cosiddetto “revisionismo”, o per meglio dire i “revisionismi”:

Tralasciando infatti l’articolato e problematico “attualismo di Berneri, c’è il “revisionismo di Randolfo Vella, che pubblica l’opuscolo Preanarchia (Lugano 1931), quello che compare a firma di “Pardaillan” per tutto il ‘31 su “Il Martello”, con soluzioni dirigiste quanto il piattaformismo, anche se meno coerenti; quello meno teorizzato ma ben operante, di una collaborazione con le correnti democratiche (più o meno) rivoluzionarie, di Alberto Meschi. Questo per citare solo i revisionismi con un certo spessore.

In comune hanno il fatto di prospettare in un modo o nell’altro, in maniere più o meno mascherata, una qualche forma di governo rivoluzionario anarchico o di partecipazione anarchica alle “responsabilità” di un governo rivoluzionario: cioè esattamente l’opposto di quanto elaborato da M. secondo cui Bisogna ben distinguere il fatto rivoluzionario, che abbatte quanto più può del vecchio regime e vi sostituisce nuove istituzioni, dai governi che vengono dopo ad arrestare la rivoluzione e a sopprimere più che possono delle conquiste rivoluzionarie.Tutta la storia ci insegna che tutti i progressi causati dalle rivoluzioni sono ottenuti nel periodo dell’effervescenza popolare, quando o non esisteva ancora governo riconosciuto o il governo era .[ E.M. Repubblica e Rivoluzione in “Pensiero e Volontà” Roma 1 giu. 1924].E questo valeva anche per  gli eventuali governanti “anarchici” sia perché certe evoluzioni sono una necessità della situazione, sia perché noi anarchici non siamo poi di tanto migliori della comune umanità [ E.M. Rimasticature autoritarie in “Il Risveglio Anarchico” Ginevra, 1 mag. 1931].

Praticamente tutti gli interventi di M., dal ‘29 fino al ‘32 , sono indirizzati a demolire le basi teoriche del revisionismo francamente autoritario dei francesi e quello più mascherato degli italiani (Sono parole che M. scrive nel dicembre ‘31 alla D’Andrea) ed è in questa opera che dà l’ultimo registro alle sue idee.

Partendo dall’assioma che la Libertà e la Rivoluzione si difendono solo con la Libertà, accentua la necessità per gli anarchici, di astenersi da ogni dirigismo più o meno governativo e di contro di armare il popolo e combattere l’instaurarsi di qualsiasi autorità pseudorivoluzionaria.

Dato per impraticabile un immediato comunismo, accentua viceversa al massimo la libera sperimentazione economica e sociale nel segno del gradualismo rivoluzionario,  stando ben attenti a nulla distruggere di quanto soddisfi sia pur malamente ad un bisogno umano se non abbiamo qualche cosa di meglio da sostituirvi [ E.M. Gradualismo in “Pensiero e Volontà” Roma, 1 ott. 1925. E’ l’articolo più completo di M. sull’argomento]. Indica agli anarchici la strada di guadagnarsi in queste azioni non solo una propria forza ma una sorta di carisma, di credibilità  per far accettare le proprie proposte operative.

Ormai non si tratta tanto di sperimentare spazi anarchici postinsurrezionali, quanto di trovare subito da anarchici soluzioni insieme alla gente, e valide il più in generale possibile. Più a lungo gli anarchici contribuiranno a impedire l‘istaurarsi di un nuovo governo e quanto più incisiva sarà la loro presenza tanto più metteranno radici, idee e prassi di libertà e solidarietà, rendendo più difficile per i nuovi governi estirparle del tutto e diventando esse stesse patrimonio  base per i nuovi rivolgimenti.

Come M. intendesse operativamente le sue idee si può dedurre dall’ atteggiamento che tiene durante la rivoluzione in Spagna del 14 aprile del ’31. In questo paese nel gennaio del ’30, il re era stato costretto a dimettere De Rivera, che dal 1923 aveva instaurato una dittatura mussolineggiante, e affidato al generale Berenguer il compito di tornare al sistema costituzionale. Ma la caduta di De Rivera aveva portato al coagularsi di tutte le forze antimonarchiche e laiche, e scatenato una vera febbre repubblicana che nell’aprile del ’31 appunto, si era rivelata appieno vincendo le elezioni municipali, le prime dopo la dittatura. A quel punto il re si era rifugiato in Francia aprendo un gran vuoto di potere. Questi fatti in Spagna e nel mondo furono interpretati come una  rivoluzione vera e propria. L’anarchismo, che là aveva grande peso fin dalla I Internazionale, o meglio, la CNT, allora guidata da Angel Pestana e Juan Peirò, aveva assunto in questi avvenimenti una posizione ambigua quando non apertamente di collaborazione con le forze repubblicane. Nel marzo del ’30 Peirò aveva firmato sia pure a titolo personale un programma appello degli intellettuali spagnoli per uno stato laico e repubblicano, nell’agosto la CNT aveva dato appoggio esterno al Patto di San Sebastian che segnava l’alleanza elettorale tra Socialisti, catalanisti e repubblicani, atteggiamento che aveva pesato non poco sui risultati elettorali d’aprile. L’esito della lotta sembrava aver dato ragione a questo atteggiamento e ora che la repubblica era una realtà la CNT si limitava a scioperi settoriali, che comunque spesso finivano a fucilate, mentre il suo organo “Solidaridad Obrera” scriveva a sostegno delle nuove autorità catalaniste di Barcellona e prendeva un atteggiamento benevole verso le elezioni della Costituente previste per metà giugno. In pratica era l’attuarsi di quello che tra gli italiani era conosciuto come  revisionismo “di destra”. A sostegno di questo come scelta non tattica ma strategica si mosse addirittura Max Nettlau, con l’articolo La Rivoluzione Spagnola e gli anarchici, rivolgendosi proprio agli italiani dalle pagine dell’ “Adunata” del 30 maggio 1931, suscitando un discreto scalpore.

Malatesta non potè vedere l’articolo del suo vecchio amico se non nel febbraio del ’32 ma si era mosso subito in tutt’altra direzione. Il 18 maggio di quello stesso ’31 aveva risposto in questi termini a Fabbri, che constatava che la monarchia spagnola era stata battuta da delle elezioni: Le elezioni municipali spagnole sono state l’esplosione del sentimento antimonarchico della popolazione che ha profittato per manifestarsi della prima occasione che si è presentata […] Non è detto con ciò che le urne hanno deciso la situazione, poiché se il re non si fosse sentito abbandonato dalle classi dirigenti e se fosse stato sicuro dell’esercito, se ne sarebbe infischiato delle elezioni ed avrebbe messo ordine alle cose con molte manette e qualche buon massacro.[…] Naturalmente la questione si posa differentemente a riguardo delle elezioni per le Cortes Costituentes. Qui si tratta veramente di un corpo legislativo che gli anarchici non debbono riconoscere ed alla cui elezione non possono partecipare. Naturalmente de Costituente vi deve essere è preferibile ch’essa sia repubblicana e federalista anziché monarchica e accentratrice; ma il compito degli anarchici resta quello di sostenere e mostrare che il popolo può e deve organizzare da sé il nuovo modo di vita e non già sottoporsi alla legge. Ed io credo che si può obbligare la Costituente ad essere meno reazionaria possibile ed impedire ch’essa strozzi la rivoluzione, meglio agendo di fuori che standovi dentro. Io cercherei di opporre alla Costituente dei congressi permanenti (locali, provinciali, regionali, nazionali) aperti a tutti, i quali, appoggiandosi sulle organizzazioni operaie, discuterebbero tutte le questioni che interessano la popolazione, prenderebbero tutte le iniziative necessarie (espropriazione, organizzazione della produzione, ecc.) stabilirebbero rapporti volontarii fra le varie località e le varie corporazioni, consiglierebbero, spronerebbero, ecc. [in E.M. Epistolario 1873-1932 acd. R. Bertolucci, Avenza Centro Studi Sociali 1984]. Il 6 giugno così scriveva ad un altro compagno (“Adolfo”): In quanto alla corrispondenza dalla Spagna pare anche a me che quei compagni non si rendano un conto chiaro di quello che stanno facendo i governi di Madrid e Barcellona, i quali, al pari di ogni governo, cercano innanzitutto di consolidarsi al potere appoggiandosi su vecchi e nuovi privilegi. Surti da un movimento popolare debbono mostrarsi più liberali del regime decaduto ma fatalmente, per necessità di esistenza e per istinto di comando, faranno tutto il possibile per ostacolare lo sviluppo della rivoluzione. Secondo me, bisognerebbe profittare di questi primi tempi di debolezza e di disorganizzazione governative, per strappare allo Stato ed al capitalismo il più che si può. Più tardi la Costituente ed il potere esecutivo cercheranno di ritogliere al popolo i vantaggi ottenuti, e non rispetteranno che quelle conquiste popolari che stimeranno troppo pericoloso attaccare. Trovo veramente troppo esageratamente ottimista il dire che la “la libertà politica non è limitata da nessuna autorità” quando sappiamo che la guardia civile è stata conservata e leggiamo che qua e là in tutta la Spagna, da Sevilla a San Sebastiano, si spara sulla folla e si proclamano stati d’assedio. Il fatto di aver permesso un comizio in un gran teatro di Barcellona prova solo che il governo non lo ha creduto pericoloso, o non si è sentito abbastanza forte per impedirlo. Il compito dei rivoluzionari sarebbe quello di profittare della presente debolezza del governo per imporgli la dissoluzione dei corpi di polizia, l’armamento generale della popolazione, la demolizione del Castello di Montjuich, ecc. [E.M. Epistolario…cit.]

Malatesta si esprime su questo tono in diverse altre lettere ma evita di scrivere in proposito sulle nostre testate perché, come suo costume, intende prendere pubblicamente posizione solo quando è sul posto. Il fatto è che, malgrado il suoi 78 anni, l’importanza che Malatesta annette agli avvenimenti in Spagna è tale da  convincerlo a tentare di sfuggire alle autorità fasciste per accorrere a Barcellona. Il 28 maggio aveva scritto a Gigi Damiani  che in questo momento, comunque si mettano le cose, la Spagna è sempre il paese del mondo che presenta per noi le maggiori possibilità   e già esattamente un mese prima lo aveva avvertito: pagherei non so cosa per poterci andare [E.M. Epistolario…cit.]. Una delle frasi a suo tempo convenute per indicare l’ eventuale decisione del “grande vecchio”  di lasciare l’Italia. Nel frattempo Damiani aveva raggiunto Barcellona come molti altri italiani -P. Bruzzi, V. Gozzoli e Dario Castellani vi avevano addirittura costituito un Ufficio di Corrispondenza Libertario- e si metteva all’opera per risolvere il problema veramente difficile di prelevare Malatesta. Damiani appena in Spagna aveva preso una posizione molto critica verso la tendenza prevalente nel movimento ma, fortunatamente, aveva presto trovato amici tra gli stessi spagnoli, tra i quali  cominciava a risollevarsi la tendenza meno rinunciataria. Gli anarchici della F.A. Iberica, l’organizzazione segreta che si era formata nel ’27 proprio per combattere le tendenze revisioniste già serpeggianti nella CNT, stava infatti passando al contrattacco: il Congresso della CNT, che  si tenne a Madrid ai primi di maggio, poco prima delle elezioni della Costituente, segnava l’inizio di un duro braccio di ferro tra l’ala di sinistra e quella revisionista che porterà poi all’uscita dei cosiddetti “sindacati di opposizione”, al “manifesto dei trenta” e all’espulsione di Pestana. In questo quadro la comparsa in Spagna di Malatesta sarebbe stata di importanza capitale per la sinistra. Santillan consigliò Damiani di rivolgersi alla FAI di Barcellona molto forte nei 5 sindacati maggiori di quella città e che poteva disporre di un certo fondo di riserva destinato a tutt’altro che alla propaganda del sindacalismo. [Damiani a U.Fedeli il 26.11.1931 in I.I.S.G. di Amsterdam, Fondo Fedeli scat.184]. Fu un buon consiglio, vennero messi insieme 15 mila pesetas bastanti per avere a disposizione un idroplano e un motoscafo, il piano prevedeva infatti di prelevare Malatesta dalla costa italiana, portarlo al largo e di li in volo in Spagna, dove Ramon Franco (il fratello del futuro caudillo), esponente dell’ala sinistra delle forze armate, controllava il sistema aeroportuale. A questo punto, il 23 maggio,  Damiani  scriveva a Malatesta di chiedere il passaporto! Il 18 giugno scriveva nuovamente  “consigliandolo” di andare al mare per cercare sollievo alla calura. A metà luglio Malatesta è a Terracina ma si accorge di non aver alcuna possibilità di sfuggire agli sbirri, ha addosso una squadra di venti poliziotti con l’ordine di non farlo avvicinare alla riva e a nessuno. Malatesta è costretto ad avvertire Damiani e questi deve sospendere per il momento l’operazione. La prima lettera che Malatesta scrive il 1 agosto a Damiani  dopo l’insuccesso non lascia dubbi sulla volontà di ritentare: Sono dunque di nuovo a Roma a mordere il freno. Fino a quando? Se puoi, mandami notizie [E.M. Epistolario…cit.]. Ma l’operazione non potrà essere più portata avanti e questa volta non per la polizia italiana ma per la situazione del movimento in Spagna. A fine ottobre, qualcosa filtrava, dal ristrettissimo gruppo di spagnoli che erano nell’operazione, agli italiani vicini all’Ufficio di Corrispondenza Libertaria apertamente schierato sulla linea di Pestana; così questi viene a saperne abbastanza da sfruttare a fondo per colpire l’ala sinistra del movimento: il 13 novembre fa stampare su “Soli”,ancora controllata da lui, una aperta diffida a quei compagni italiani che con la scusa di far fuggire Malatesta dall’Italia prendevano fondi dai sindacati confederali. Fortuna che Damiani aveva avuto l’accortezza di rendere la somma ricevuta subito dopo l’avvertimento di Malatesta da Terracina, ma questo contava poco per Pestana che ancora su “Soli” del 19 ripeteva la diffida ripresa poi da “El Luchador” del 20 e infine del 4 dicembre. Con il risultato di una diatriba violenta, soprattutto di pubblico dominio tale da rendere impossibile proseguire nel progetto; a  fine novembre Damiani lasciava Barcellona per Tunisi.

Fu così che Malatesta non potè contribuire agli avvenimenti spagnoli come non poté contribuire ad altro; moriva infatti a 79 anni, ma tutto sommato in modo inaspettato, il 22 luglio ’32. Fece però in tempo a salutare l’iniziativa presa dalla FAI e dagli elementi della CNT a lei vicina che si tradusse in una serie di insurrezioni che molto contribuirono a che la situazione non si normalizzasse e sboccasse nella rivoluzione del luglio ‘36.  Anche se non si nascondeva il fatto che il momento migliore era passato, i tentativi o esperimenti insurrezionali di questi ultimi tempi –scriveva a Damiani il 5 marzo ’32 - dimostrano, mi pare che il materiale per un azione decisiva non mancherebbe [E.M. Epistolario…cit.] E questo ci introduce ad una considerazione finale.

Dato l’Anarchia come idea guida e non come concreto obbiettivo, almeno di breve e medio periodo; dato l’impossibilità intrinseca di un “governo” anarchico; dato la costante e concreta possibilità di  ritorno a sistemi di governo una volta esaurito il periodo dell’ effervescenza popolare; che chance ha, secondo M,. la volontà degli anarchici di andare avanti nell’anarchismo? Credo che la soluzione la troviamo nella risposta di Malatesta alla lettera di Makno del novembre ’29. Allora Malatesta dopo aver condensato quanto più volte ripetuto sull’azione, tutta dal basso, tutta nel sociale, tutta antigovernativa degli anarchici nella preparazione e nella attuazione della rivoluzione concludeva: E quando non trovassimo nel popolo consensi sufficienti e non potessimo impedire la ricostituzione di uno Stato colle sue istituzioni autoritarie ed i suoi organi coercitivi, noi dovremmo rifiutarci a parteciparvi e a riconoscerlo, ribellarci contro le sue imposizioni e reclamare piena autonomia per noi stessi e per tutte le minoranze dissidenti. Dovremmo insomma restare in istato di ribellione effettiva o potenziale, e, non potendo vincere nel presente, preparare almeno l’avvenire. […] Ecco. Io credo che l’importante non sia il trionfo dei nostri piani, dei nostri progetti, delle nostre utopie, le quali del resto hanno bisogno della conferma dell’esperienza e possono essere dall’esperienza modificate, sviluppate ed adatttate alle reali condizioni morali e materiali dell’epoca e del luogo. Ciò che più importa è che il popolo, gli uomini tutti perdano gl’istinti e le abitudini pecorili, che millenaria schiavitù ha loro inspirate, ed apprendano a pensare ed agire liberamente. Ed è questa grande opera di liberazione morale che gli anarchici debbono specialmente dedicarsi [E.M. Scritti vol. III, Ginevra, Edizioni del “Risveglio” 1936]

La chiave di volta rivoluzionaria di una concezione di per sè così umanista, sperimentalista e gradualista è tutta in quel  restare in istato di ribellione effettiva e potenziale, e non potendo vincere nel presente, preparare almeno l’avvenire . Uno “istato” molto vicino ad uno sorta di rivoluzione permanente a cui sono chiamati gli anarchici, come componente organizzata e critica del movimento dei lavoratori, e come componenti della comunità umana.