Si fanno sempre più aspri i termini dello scontro politico e sindacale che da mesi attraversa il paese, tra scioperi, girotondi e referendum. Ad incidere fortemente su questo clima surriscaldato è l'atteggiamento della CGIL, che -dopo essersi sottratta alla firma del Patto per l'Italia sottoscritto da CISL e UIL- si pone in modo dichiarato su un piano di conflitto aperto con il governo e con la Confindustria. Il tentativo della CGIL risulta chiaro: tra i suoi obiettivi c'è sicuramente quello di ricucire quello strappo che oggettivamente si è determinato con settori consistenti della classe proletaria, industriale e non, dopo anni di concertazione e di pace sociale.
A pesare come un macigno, sulla scelta di non seguire gli ex compagni di merende della CISL e della UIL nel pic-nic organizzato da Berlusconi-D'Amato, non sono tanto le conseguenze inevitabili che avranno sui lavoratori e sui settori popolari le politiche liberiste attualmente delineate. No, il problema è un altro. Il problema attiene al ruolo del sindacato, alla sua necessità di mantenersi in vita nel momento in cui si sta disegnando -per le organizzazioni dei lavoratori in quanto tali- un futuro tutt'altro che roseo. In pochi arrivano ad esprimersi direttamente come Angelo Panebianco sul "Corriere della Sera" ("vogliamo un secolo senza sindacati", ha scritto non molto tempo fa, in preda al delirio liberista). In molti, però in campo governativo e non solo, pensano a ridimensionare il ruolo dei sindacati, adesso che il loro compito concertativo si è esaurito e la stessa concertazione viene vista come un fattore di rallentamento nella esecuzione di direttive sempre più antipopolari.
D'altra parte, l'aria che tira risulta assai chiara a chiunque si sia cimentato con una lettura del Libro Bianco. Attribuito al ministro del lavoro Maroni ed alla sua equipe, in realtà il Libro Bianco è stato elaborato da un pool di tecnici ed economisti di area CISL-Margherita e ridisegna completamente il mercato del lavoro, non limitandosi a prendere atto delle modificazioni che in esso si sono registrate a partire dal varo del Pacchetto Treu. Nei fatti, tale testo propugna il superamento del diritto del lavoro vigente da decenni, all'insegna di un rapporto tra lavoro salariato e capitale improntato ad una sempre maggiore flessibilità e precarizzazione. Un rapporto che non può dirsi mutuato direttamente dalla esperienza nordamericana, come vuole certa propaganda del centrosinistra, rimandando semmai ai più "innovativi" tra i paesi europei. All'Olanda, per esempio, dalla quale è ripresa la particolare combinazione tra contratto individuale e contratto collettivo che -se introdotta nel nostro paese- già di per sè metterebbe fuori gioco i sindacati (la combinazione in questione riduce, nella migliore delle ipotesi, il contratto nazionale a contratto-quadro).
Modelli di riferimento a parte, il suddetto manuale liberista aggredisce senza pietà tutti i lavoratori, introducendo il lavoro a progetto ed il lavoro a chiamata, e riconduce il sindacato ad un ruolo meramente corporativo.
E non finisce qui. L'attacco messo per iscritto nel libro bianco prosegue con le affermazioni dei rappresentanti del governo, che più volte hanno sostenuto la necessità di approntare le riforme necessarie per il superamento delle rigidità che vincolerebbero gli investitori e le imprese, sottolineando la necessità di più flessibilità, in entrata ed in uscita.
In parole povere, i padroni vogliono avere mano libera su contratti e condizioni di lavoro, e non vogliono più rapportarsi ad un sindacato tradizionalmente inteso, anche se di miti consigli.
E' per questo che il padronato spinge al superamento dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Qualcuno potrebbe obiettare che il libro bianco, su cui si è sin qui discettato, non si occupa nemmeno un poco dell'articolo in questione, impegnandosi semmai nel perfezionamento di una realtà fatta di nuove forme e figure contrattuali (interinali, collaboratori coordinati e continuativi ecc.). Ma il punto è che eliminare l'ultimo straccio di garanzia di cui godono le vecchie figure sociali non è un passaggio da poco per lorsignori e può servire a velocizzare il cammino verso i magnifici lidi di precarietà che ci vuole riservare una confindustria in assetto di guerra.
In sostanza, in questo momento non va sottovalutato niente, anche se bisogna rifiutare battaglie di retroguardia (ad esempio una battaglia sull'articolo 18 isolata dal resto, dalla opposizione alla ristrutturazione integrale del mercato del lavoro in atto).
In questo contesto hanno rilevanza anche le dichiarazioni che Berlusconi, acclamato come uomo della provvidenza, ha rilasciato ai giovani ciellini un anno dopo la sua investitura a paladino della libera impresa.
Non si è speso, forse, il premier in parole forti verso quei padri che non vogliono aiutare i loro figli o verso quei lavoratori che -troppo garantiti- dovrebbero cedere qualche privilegio ai meno fortunati, scendendo pure loro senza protestare nel girone infernale della precarietà?
No, decisamente non si può fare a meno di valutare con serietà ogni momento dell'attacco alle condizioni materiali del proletariato. Il che, questo è chiaro, non dovrebbe mai portare a spinte frontiste o di carattere politicista. Non ci interessano gli "incontri tra movimenti" che poisi risolvono nei meeting tra portavoce o -peggio ancora- nelle strizzatine d'occhio, da parte di chi favoleggia di poli di sinistra alternativa tali da ricongiungere le opposizioni "dentro e fuori dal palazzo", verso girotondisti da una parte e noglobal dall'altra.
Mentre si fantastica di queste cose, i carabinieri e la digos in varie parti del paese fanno visita alle fabbriche, agli ospedali ed alle camere del lavoro, richiedendo ed ottenendo le liste degli iscritti o degli attivisti sindacali; in alcune fabbriche come la Piaggio di Pontedera, poi, vengono nascoste telecamere e microfoni.
La situazione è tale per cui da parte nostra non può non esservi lo sforzo di esser presenti ad ogni momento della riorganizzazione di classe. Senza confondere, però, l'unità tra gli sfruttati con quelle basse operazioni di alleanza tra ceti politici che non potranno portarci da nessuna parte.