ANNO NUOVO A KABUL
AGGIORNAMENTO SULLA SITUAZIONE AFGHANA E SUI PROGETTI DI COOPERAZIONE SOSTENUTI DALL'ISTITUTO PER LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO DI ALESSANDRIA


aprile 2003, di Ivana Stefani

 

Kabul 15/22 marzo 2003: i racconti della delegazione italiana

La delegazione, promossa dall'Istituto Cooperazione Sviluppo di Alessandria e dalle Donne in Nero italiane, era composta da: Ivana Stefani - ICS, Tito Cappellaro - PAG Trieste, Debora Picchi - Comitato fiorentino di solidarietà a RAWA, Graziella Longoni, Libera Mazoleni e Laura Quagliuolo - DIN Milano
Pubblichiamo alcuni resoconti e riflessioni .

Il ventun marzo in Afghanistan si festeggia il Newroz, l'anno nuovo; a Kabul la gente affolla i parchi polverosi, alla ricerca di una parvenza di normalità nella città ridotta ad un ammasso di macerie.
Burqa azzurri si aggirano tra questa dolente umanità, ma sono molti anche i volti scoperti: sguardi fieri, speranza di futuro per i tanti figli cui badare quotidianamente.
Fuori dalla capitale la situazione è del tutto fuori controllo; il Governo continua ad emettere ordinanze che finiscono per essere dimenticate prima ancora di lasciare gli uffici centrali. Individui ambigui si aggirano nei corridoi dei ministeri, con il compito di preservare interessi precisi e destabilizzare il quadro politico.
Tra le mura perimetrali di palazzi completamente distrutti, si intravedono le tende fornite dall'ONU ai profughi che rientrano nel paese, unico riparo dal freddo intenso della notte.
Bimbi laceri si aggirano ovunque, mendicando o vendendo piccoli involti di carta igienica e qualche singolo fazzolettino. Impossibile descrivere le condizioni in cui sopravvivono i piccoli ospiti dell'orfanotrofio pubblico.
L'analfabetismo raggiunge quota 90% ed in quest'oceano di devastazione le scuole di HAWCA e RAWA, associazioni impegnate nella grande battaglia per i diritti delle donne, sono un tentativo coraggioso di dare alle persone gli strumenti per esprimersi ed avviare un reale processo di democratizzazione.
Nella stessa aula, bambine e donne con il desiderio di imparare a leggere ed a scrivere, lottano strenuamente per affermare la propria identità ed i propri diritti in quanto persone.
La scuola di alfabetizzazione di HAWCA a Kabul offre corsi di studio, cibo e abiti, a 230 bambine su tre turni per nove classi, sino alla terza elementare. Le famiglie continuano a mandare le figlie a scuola solo dopo molte insistenze da parte dell'associazione ed alcune frequentano all'insaputa dei genitori. L'alunna più piccola ha sette anni e la più anziana quaranta; molte studentesse hanno evidenti problemi psicologici e difficoltà di apprendimento.
RAWA promuove corsi di cucito, tessitura e piccoli prestiti per attività quali l'allevamento di polli e mucche. Le destinatarie delle proposte sono vedove che non avrebbero altra alternativa se non la mendicità o la prostituzione.
In collaborazione con organizzazioni non governative e gruppi di donne, tra cui l'ICS di Alessandria e le Donne in Nero italiane, HAWCA e RAWA organizzano e gestiscono anche ambulatori, orfanotrofi, ospedali e centri per donne colpite dalla violenza.
Sono tante le donne che lamentano gravi disturbi psichici ed a cui viene proposta una terapia che afferma il diritto alla cura e valorizza le capacità personali, secondo un percorso di accoglienza ed ascolto.
Sono persone sofferenti sia per le percosse e la violenza subite in famiglia, sia per il disprezzo della società:
Maghul "mio padre è morto e mio fratello voleva farmi sposare ad un uomo di vent'anni più vecchio, il quale aveva già avuto 10 figli da due mogli. Mia sorella insegna in una scuola di Rawa e grazie a lei sono riuscita a scappare ed a trovare rifugio in una casa dell'associazione"
Saeeda "mi sono sposata a 17 anni ed avevo una vita normale. Dopo tre anni di matrimonio mio marito è morto ed io sono diventata la serva della sua famiglia. Sono riuscita a fuggire tramite una vicina, insegnante presso una scuola di Rawa; mi aveva passato una rivista dell'associazione ed io mi sono convinta che fosse giusto tentare di salvarmi. Quando sono rimasta sola in casa con i bambini, prima li ho sfamati e poi li ho chiusi in casa e sono fuggita"
Anisa "mio marito mi picchiava selvaggiamene. Ho chiesto aiuto alla mia famiglia e mio padre è intervenuto più volte, ma la mia situazione continuava a peggiorare. Non ce la facevo più. Attraverso i miei parenti sono riuscita ad entrare in contatto con l'associazione ed a scappare da casa, dove ho abbandonato due figli. Il terzo, che avevo in grembo, è nato qui e vive con me".
Il potere dei fondamentalisti religiosi è ancora solido: le scuole pubbliche femminili che il governo ha inaugurato nelle provincie di Kandahar e Mazar I Sharif sono state bruciate subito dopo l'apertura, per riaffermare la volontà di impedire i cambiamenti. Le attività produttive continuano ad essere inesistenti e solo i commerci di tutti i tipi, tra cui quello di armi e droga, continuano indisturbati. Le famiglie, soprattutto nelle campagne, devono la loro sopravvivenza alla pastorizia, con il rischio di perdere la vita a causa delle mine antipersona che infestano il Paese.
Omar International, con il supporto dell'ICS, prosegue nella sua opera di sminamento ed ipotizza ­ se le condizioni politiche lo consentiranno ­ di completare l'intervento entro una decina d'anni. L'Associazione ha intensificato i corsi rivolti alle scuole ed istruito un team di donne e uomini per l'accoglienza dei profughi che rientrano nel Paese. Inoltre, è in fase di realizzazione un centro di raccolta dei diversi tipi di mine, presso il quale si svolgeranno corsi di formazione per gli sminatori e per i rappresentanti delle ONG.
E' difficile e contraddittoria la realtà afgana, alla vigilia della nuova devastante guerra irachena. La ministra per gli affari femminili, Habiba Sarabi, già componente di HAWCA, descrive un quadro estremamente complesso. La sua stessa sicurezza è a rischio: le finestre dell'ufficio sono schermate ed i controlli per l'accesso molto attenti.
Habiba ha ottenuto rappresentanti in tutti i ministeri e sta lavorando ad interventi per la prevenzione e la repressione della violenza sulle donne. Evidenzia due grandi ostacoli per il superamento della precarietà che permea il paese: l'instabilità e gli usi tradizionali che, soprattutto nelle zone tribali e rurali, prevalgono sulle leggi dello stato. Persino la ministra sottolinea che in molte province il potere è ancora nelle mani dei signori della guerra ed esprime preoccupazione per il fatto che i grandi capitali amministrati dalle ONG, incentivano l'abbandono del settore pubblico da parte del personale esperto, mettendo a rischio la credibilità del governo.
La forza dell'Afghanistan apparentemente è riposta nelle armi, ma l'unica speranza sono le donne che con la loro onestà, determinazione e capacità di progettare il futuro, sanno gettare lo sguardo oltre la devastante guerra scoppiata al di là delle splendide montagne che incoronano Kabul.