AFGHANISTAN, UN FUTURO
INCERTO.
UNO
SGUARDO D'INSIEME SULL'ANNO APPENA TRASCORSO. FEBBRAIO 2004.
1. Un paese frammentato a rischio di anarchia
Sul piano formale l'Afghanistan si sta muovendo entro il quadro politico tracciato dagli accordi di Bonn (dic. 2001) che prevedevano l'insediamento di un'amministrazione centrale guidata da Karzai, il dispiegamento di una forza internazionale per il controllo del territorio (Isaf) e un percorso a tappe che avrebbe portato il paese a libere elezioni entro il 2004. Nel giugno 2002 la Loya Jirga (Assemblea delle tribù) ha legittimato il governo provvisorio e nel gennaio 2004 ha approvato la nuova Costituzione. Le elezioni presidenziali e legislative, previste per giugno, sono invece slittate a data da destinarsi per l'estrema difficoltà a censire la popolazione avente diritto di voto e a garantire libere elezioni, a causa di gravi problemi di ordine pubblico.
Nella provincia di Logar, ad esempio, i taleban hanno minacciato di morte tutti i cittadini che parteciperanno alle elezioni , mentre in altre province i signori della guerra cercano di rallentare il lavoro di registrazione, intimidendo con la forza delle armi chi non è dalla loro parte. Il processo di normalizzazione è dunque solo apparente; ad uno sguardo più attento infatti l'Afghanistan si presenta come un paese dilaniato da spinte centrifughe ed eversive, dove più di 100.000 miliziani, fedeli ai signori della guerra, terrorizzano la popolazione civile e violano costantemente i diritti umani, dove la mancanza di sicurezza è diffusa, dove i processi di ricostruzione ristagnano, dove il futuro è incerto.
I taleban si sono riorganizzati e hanno intensificato i loro attacchi nella zona sudorientale e nordoccidentale del paese. Dal gennaio 2004 ad oggi, 830 persone, tra soldati e civili, cooperanti afghani e stranieri, poliziotti afghani, hanno perso la vita in seguito agli assalti dei taleban e di membri di al Qaeda.
Nella zona frontaliera afghana, a Kunar, sarebbe tornato bin Laden e a Citral, in territorio pakistano, Gulbuddin Hekmatyar, feroce fondamentalista fra i maggiori responsabili della distruzione di Kabul durante la guerra civile (1992-96), ha ricostituito le sue milizie e attualmente controllerebbe un quarto della Loya Jirga afghana e quattro governatori locali.
In un rapporto del luglio 2003 sull'Afghanistan sudorientale Human Right Watch (HRW) ha sostenuto che l'illegalità diffusa rende la regione più esposta alle incursioni dei taleban e dei loro alleati e che "per l'Afghanistan la finestra delle opportunità si sta chiudendo rapidamente", a causa del clima di insicurezza conseguente al mancato disarmo dei signori della guerra e alla loro legittimazione politica da parte degli Stati Uniti e dell'Onu che hanno permesso loro di radicarsi in posizioni di potere nell'attuale governo e di ottenere importanti ministeri in cambio del loro sostegno a Hamid Karzai.
Questo quadro di grande instabilità impone però delle distinzioni. Esiste infatti una notevole differenza tra la capitale e il resto del paese.
Kabul è presidiata dall'Isaf, presente con 6.500 unità, che controllano il territorio e garantiscono una relativa calma. Lontano dalla capitale, in molte regioni governate dai signori della guerra, è invece in atto un processo di rifeudalizzazione, che determina un pericoloso stato di anarchia e indebolisce il governo centrale, mentre nelle province sudorientali a ridosso con il Pakistan continua la guerra degli americani e dei loro alleati contro i terroristi di al Qaeda e per la cattura di bin Laden .
Un esempio, che attesta la tendenza dei poteri locali all'autonomizzazione, è il recente scontro armato a Herat (marzo 2004), dove sono morte più di centro persone, tra i miliziani fedeli al governatore della regione, Ismail Khan, e le truppe inviate dal governo di Kabul per sedare le violenze innescate dall'attentato in cui ha perso la vita il ministro dell'aviazione civile, figlio del governatore.
A conferma della continuazione della guerra contro il terrorismo, basta ricordare i numerosi incidenti collaterali che colpiscono la popolazione. Nel gennaio 2004, undici civili, tra cui quattro bambini, sono stati uccisi per errore da un bombardamento americano sulla provincia di Oruzgan nel centrosud del paese e lo scorso dicembre sempre gli aerei americani hanno ucciso 15 bambini in due bombardamenti nelle zone di Ghazni e Paktia.
La sicurezza rimane dunque il problema fondamentale, ma scarsa sembra la volontà di risolverlo. Fino a quando non si procederà a disarmare i signori della guerra e a combattere seriamente il traffico di droga e di armi da loro controllato, il territorio non sarà pacificato e non potrà iniziare una vera ricostruzione e una vera democratizzazione del Paese.
La Cia però continua a finanziare le loro milizie e gli Stati Uniti continuano ad usarle come truppe di terra per combattere al Qaeda e i taleban.
La Nato, che lo scorso agosto ha assunto il comando dell'Isaf, si è impegnata ad estenderne il raggio d'azione, ma il progetto non decolla, perché osteggiato dagli Stati Uniti che non gradiscono la presenza di un contingente internazionale nella zona sudorientale dove la guerra non è mai finita.2. I diritti umani calpestati
Nelle province innumerevoli sono gli episodi di violenza contro le donne e la popolazione.
In un recente rapporto Amnesty International ha dichiarato che "a due anni dalla fine del regime talebano la comunità internazionale e il governo provvisorio afghano non sono stati in grado di garantire la sicurezza alle donne. Il rischio di rapimenti e violenza sessuale da parte di miliziani appartenenti a fazioni armate è ancora altissimo. I matrimoni forzati, soprattutto per le bambine e il tasso di violenza familiare ai danni delle donne è ancora diffusissimo in molte aree".
Nella regione di Herat il governatore Ismail Khan, descritto da Rumsfeld come "una persona affascinante, gentile, misurata e molto sicura di sé", ha di fatto reintrodotto la sharia (legge coranica). I maltrattamenti subiti spingono molte donne ad immolarsi, dandosi fuoco. Una commissione governativa, inviata a Herat per indagare il fenomeno, ha accertato che nell'ultimo semestre almeno 52 donne si sono date fuoco, la più giovane era una ragazza di 13 anni che ha deciso di morire per sfuggire al matrimonio impostole dalla famiglia.
Anche a Farah, dall'agosto 2003 a oggi, si sono verificati più di 80 casi di autoimmolazione.
Il problema è che, nonostante la Costituzione riconosca pari diritti alle donne e sia aumentato il numero delle ragazze e delle bambine che frequentano la scuola, oggi, in molte province dell'Afghanistan, la condizione delle donne non è molto diversa dal passato. La maggior parte del territorio infatti non è sotto il controllo del governo, ma dei signori della guerra, che sono fondamentalisti e misogini come i taleban.
Suraya Sobath Rang, membro del Ministero degli affari femminili, dice che in queste regioni del paese la situazione delle donne è veramente terribile: matrimoni forzati, famiglie che vendono le figlie per pagare i debiti, donne che sono sistematicamente picchiate, pratica del "bad blood-price", secondo la quale le donne sono cedute come risarcimento di crimini commessi da un maschio della loro famiglia.
Amina Safi Afzalidella Commissione afghana per i diritti umani, a sua volta ha sottolineato che la tragedia dell'autoimmolazione non è mai stata così ricorrente come in questi ultimi tempi. Dopo la caduta dei taleban alle donne era stata promessa la libertà, ma in questi due anni e mezzo esse hanno constatato che si è trattato di una grande menzogna perché la loro condizione non è affatto cambiata e allora sono pronte a darsi fuoco per mostrare alla società che le donne, non godendo di alcun diritto, non hanno ragioni per vivere.
Anche a Pagham, poco lontano da Kabul, il fondamentalista Sayyaf impone un regime locale terribile. Le donne devono rimanere a casa, non possono lavorare, né fare la spesa al bazar. Di notte le sue truppe arrivano nei quartieri occidentali della capitale per rubare e violentare le donne , la polizia è troppo spaventata per fermarle e gli uomini dell'Isaf non intervengono.
L'altra parte della popolazione duramente colpita dalla violazione dei diritti umani sono i bambini. Secondo il portavoce delle Nazioni Unite in Afghanistan, negli ultimi cinque mesi del 2003, sono stati rapiti 300 bambini; un'indagine condotta su 85 di questi casi attesterebbe che il destino dei bambini rapiti è l'asportazione di organi commercializzati all'estero, o la riduzione in schiavitù in fabbriche dei paesi arabi, soprattutto in Arabia Saudita.
Secondo HRW, il comportamento dell'Onu appare quanto meno discutibile. Decidendo di "non forzare la mano", non ha avviato alcuna procedura nei confronti dei signori della guerra, che in passato si sono macchiati di crimini contro l'umanità e tuttora continuano a calpestare i diritti umani, e non ha nemmeno sostenuto in modo adeguato la Commissione indipendente afghana per i diritti umani che aveva istituito dopo gli accordi di Bonn.
Lo stesso Kofi Annan, in un rapporto pubblicato dall'ONU nel dicembre 2003, ha dichiarato:" La criminalità incontrollata, gli scontri tra le fazioni e tutte le attività collegate al traffico di droga hanno avuto un impatto negativoLa comunità internazionale deve decidere se vuole aumentare il proprio coinvolgimento in Afghanistan o rischiare il fallimento totale".3. La Costituzione della Repubblica Islamica dell'Afghanistan
Il 4 gennaio 2004, dopo tre settimane di aspro dibattito e compromessi raggiunti dietro le quinte, comprando voti e minacciando i delegati democratici avversi ai fondamentalisti, la Loya Jirga afghana, composta da 502 delegati, ha varato la nuova Costituzione.
Un pericoloso conflitto è esploso tra la componente più integralista rappresentata dai comandanti mujaheddin dell'Alleanza del Nord e quella più progressista: la prima era contraria ad una repubblica presidenziale forte e chiedeva una Costituzione a impronta più decisamente islamica, la seconda rivendicava una più equilibrata suddivisione dei poteri e una Costituzione effettivamente capace di garantire la parità di diritti tra gli uomini e le donne afghane.
Le 100 delegate donne sono state molto attive e coraggiose. Durante un'assemblea plenaria Malalai Joya, assistente sociale nella provincia di Farah, esprimendo il pensiero della maggioranza della popolazione, ha osato dire che molti dei signori della guerra (Fahim, Rabbani, Dostum, Sayyaf), che rivestono importanti ruoli istituzionali nel governo ed erano presenti in quell'assise, sono dei criminali che andrebbero processati da un tribunale internazionale invece di partecipare all'Assemblea costituente per decidere le sorti del Paese. Solo loro infatti hanno la responsabilità di aver precipitato l'Afghanistan nel caos e nella miseria durante la sanguinosa guerra civile degli anni '90.
Tra le urla della parte messa sotto accusa , che l'ha minacciato al grido "morte ai comunisti", e gli applausi della parte democratica, il presidente dell'Assemblea ha ordinato a Malai Joya di abbandonare la sessione per il suo comportamento incivile, mentre Sayyaf ha lanciato un duro avvertimento agli Stati Uniti e a Karzai, ammonendoli a non cercare di escludere gli ex mujaheddin dal processo costituzionale, "altrimenti il sangue scorrerà in tutto l'Afghanistan".
Malalai Joya ha potuto rimanere solo perché Rabbani ha invocato il perdono e la tolleranza in nome dell'Islam.
Questo è il clima in cui è stata approvata la Costituzione , emblema di un ambiguo compromesso che non mette il Paese al riparo da derive fondamentaliste e autoritarie.
La nuova Costituzione, che riprende quella del 1964 peggiorandola per la forte accentuazione del carattere islamico dello Stato, è composta di 160 articoli in 12 capitoli.
L'Afghanistan è una repubblica islamica, la sharia non è nominata, ma "nessuna legge può essere contraria al credo e alle disposizioni della sacra religione dell'Islam" ( cap.1,art.3).
Le lingue ufficiali nel paese sono il Pashtu e il Dari, le altre lingue sono ufficiali solo nelle zone abitate in prevalenza da gruppi etnici che le parlano .
Il modello è quello di una repubblica presidenziale forte, con un presidente affiancato da due vicepresidenti con compiti di sola vigilanza e un Parlamento bicamerale (Camera bassa e alta) senza ampi poteri. Il Parlamento infatti può opporsi alla politica del governo solo attraverso l'impeachment nei confronti dei ministri nominati dal presidente e non nei confronti del presidente in persona, inoltre l'esercizio del diritto di veto sulla politica presidenziale è fortemente limitato.
Presidente e parlamentari sono eletti dal popolo e restano in carica un quinquennio.
Il 25% dei seggi della Camera bassa è destinato alle donne che sono riuscite a far passare una prospettiva di genere nella parte della Costituzione che afferma "uguali diritti e doveri di fronte alla legge" (cap.2), esigendo che il termine "cittadini" venisse distinto in "uomini e donne"
Questo però rischia di essere il solo risultato ottenuto dalle donne. Certo la sharia non è nominata esplicitamente, ma essa viene comunque posta come prima fonte del diritto, grazie all'art. 3 secondo il quale nessuna legge potrà essere in contrasto con i sacri principi dell'Islam; questi principi dunque precedono la stessa Costituzione, che in nessun modo può ignorarli.
La Costituzione afghana purtroppo non fissa i fondamentali diritti delle donne , non indica un'età minima per il matrimonio, non esplicita il divieto dei matrimoni imposti dalle famiglie, che la legge coranica invece prevede, non entra nel merito degli abusi compiuti nell'ambito domestico.
Nell'art.32 si limita a dichiarare che la famiglia è l'unità fondamentale della società e che lo Stato ha il dovere di assicurare l'integrità fisica e psichica dei suoi componenti, soprattutto del bambino e della madre, di promuovere l'educazione e l'eliminazione di tradizioni contrarie ai principi dell'Islam.
Ma ancora un volta la genericità è estrema: quali sono le tradizioni contrarie all'Islam?
Non a caso le attiviste del gruppo "Donne per le donne afghane" (WAW) " avevano steso la Carta dei diritti delle donne e l'avevano presentata al presidente Karzai, chiedendo che questi diritti venissero esplicitati nella Costituzione.
La richiesta non è stata accolta dalla Loya Jirga, così la Costituzione rimane vaga e non prevede nemmeno le istituzioni che dovrebbero garantire l'effettiva realizzazione di tali diritti.
Per comprendere la difficile convivenza tra legge coranica e Costituzione, è utile esaminare le sentenze recentemente emesse dalla Suprema Corte di Giustizia, organo incaricato di vigilare sulla Costituzione e di stabilire se le sue disposizioni sono conformi alla religione islamica.
Il suo presidente, il conservatore Sheik Hadi Shinwari, nominato da Karzai e competente solo in diritto islamico, ha ripristinato una legge del 1970 che proibisce alle donne sposate, spesso minorenni o comunque giovanissime, di frequentare le scuole superiore, nonostante la Costituzione garantisca alle donne il diritto all'istruzione; ha nuovamente imposto alle donne il divieto di cantare alla televisione di stato, nonostante la Costituzione garantisca a tutti la libertà di espressione e inoltre ritiene conforme alla legge imprigionare le donne che si sono macchiate del "crimine" di essere scappate di casa per sfuggire agli abusi sessuali, o a un matrimonio forzato, nonostante la Costituzione imponga allo Stato di tutelare l'integrità fisica e psichica delle donne all'interno della famiglia..
Questi fatti confermano che la Sharia precede e fonda la Costituzione e che il futuro dei diritti e delle donne dipenderà moltissimo da come verrà interpretata la legge islamica, se in chiave fondamentalista, o progressista.
A causa di questa pericolosa mescolanza di religione e democrazia, alcuni esperti di diritto preferiscono sospendere la parola democrazia e parlare semmai di una timida liberalizzazione della società e delle strutture politiche tradizionali, dall'esito comunque incerto.4. Un paese colpito dalla povertà e dal narcotraffico
In un paese che non ha risolto il problema della sicurezza, l'economia nazionale non può decollare. La ricostruzione diventa un miraggio, se la guerra continua, se le bande armate spadroneggiano con furti e rapine, se i governatori locali si arricchiscono, riscuotendo dazi e tasse illegali, se le mine insidiano il terreno, se la produzione dell'oppio, che la Costituzione vieta (cap.1, art.7), è arrivata a coprire il 50% dell'intero PIL del paese .
Mentre la povertà e la disoccupazione dilagano, il traffico di droga trionfa e arricchisce i signori della guerra.
Nel 2003 l'Afghanistan ha prodotto 3.600 tonnellate di oppio, con un incremento del 6% rispetto all'anno precedente, pari al 76% della produzione mondiale. La coltivazione occupa 1.700.000 contadini, su una popolazione di circa 24.000.000 di abitanti ed è diffusa in 28 delle 32 province del Paese, dieci in più rispetto al 1999.
Altro ostacolo alla ricostruzione è la presenza di mine antipersona, che rende difficile anche la ripresa dell'agricoltura. Sono disseminate su un'area di 780 chilometri quadrati, di cui solo 260 bonificati. Altissimi sono i costi di bonifica: se una mina si acquista con 3-5 dollari, toglierla costa circa cento volte di più.
Nel marzo del 2004 a Berlino si è tenuta una nuova conferenza internazionale dei paesi donatori, ai quali Karzai ha chiesto 27.5 miliardi di dollari per i prossimi 7 anni e dai quali ha ottenuto 8,2 miliardi di dollari, erogabili tra il 2004 e il 2007.
Gli aiuti stanziati arrivano con una lentezza esasperante e ben poco viene speso per le infrastrutture fondamentali (strade, centrali elettriche, ripristino della rete idrica) e per i servizi di base.
Oggi la ripresa economica riguarda quasi esclusivamente la capitale, ma si tratta di una ripresa artificiosa, dipendente dalla presenza delle organizzazioni internazionali, che fa lievitare i prezzi, causando una iper-inflazione.
Intanto a Kabul gli afghani sono buttati fuori dalle loro case di fango per dare spazio a costruzioni di lusso che non potranno abitare mai.
Il divario tra ricchi (pochi) e poveri si approfondisce sempre di più, i lavori onesti non bastano per vivere e la gente si arrangia come può.5. Sostenere la parte democratica della società civile
In questa dura realtà una parte della società civile, soprattutto a Kabul, si sta muovendo per cercare di dare un futuro all'Afghanistan.
Purtroppo i mezzi di informazione non parlano delle associazioni democratiche di donne, studenti, membri della Loya Jirga, semplici cittadini, che si incontrano, si coalizzano, discutono di ciò che vogliono per il loro Paese. Nei loro documenti chiedono: il disarmo delle milizie dei signori della guerra, l'estensione del controllo dell'Isaf a tutto il territorio, un rafforzamento istituzionale mediante l'organizzazione di una forza di polizia civile e la formazione di un esercito nazionale, una reale partecipazione delle donne ai processi democratici, maggiori fondi per sviluppare le infrastrutture e favorire la ricostruzione, una seria lotta contro il traffico di oppio, una riforma giudiziaria che renda possibile l'esercizio dei diritti umani, sia alle donne che agli uomini, il rispetto della Costituzione, un governo capace di respingere i ricatti, libero di scegliere i suoi membri tra persone meritevoli, un governo capace di escludere e di processare coloro che sono responsabili di crimini contro l'umanità ed infine un maggior coinvolgimento della società civile nel processo elettorale.
Sono queste le condizioni essenziali per salvare l'Afghanistan, ma ciò esige che i riformisti più illuminati abbiano un ruolo di governo maggiore, altrimenti i signori della guerra continueranno ad imporre i loro giochi di potere, che metteranno nuovamente a rischio il futuro di un paese già duramente provato.