COMUNICATO DELLA
DELEGAZIONE DELLE DONNE IN NERO IN KURDISTAN
PRESENTI
COME OSSERVATRICI DURANTE LE ELEZIONI POLITICHE TURCHE DEL 3 NOVEMBRE
2002
dicembre 2002, dalle Donne
in Nero
Come delegazione del Movimento delle Donne in Nero, in cinque siamo partite verso il Kurdistan turco rispondendo all'appello del Dehap, il nuovo partito nato dalla coalizione a tre kurda/turca ma a forte maggioranza kurda.
La richiesta di delegazioni internazionali come osservatrici per le elezioni non appare certo infondata per chi come noi da tempo segue in Turchia la questione del rispetto dei diritti umani e civili. Gravi le discriminazioni nei confronti di donne e uomini kurdi, tanto da negare loro la possibilità di esprimersi nella loro lingua, accusandoli per ciò di separatismo dallo Stato; numerose le denunce della repressione di Stato nei confronti di chi, kurdi e turchi, vorrebbero l'affermazione di garanzie minime di democrazia.
Arrivate ad Istanbul il 1 novembre, il primo incontro è con la Piattaforma delle Donne che comprende numerose associazioni kurde e turche tra cui l'associazione delle donne del Dicli(Tigri), le Madri per la Pace, l'associazione femminista delle universitarie del Bosforo.
C'è una grande aspettativa per le elezioni del 3 novembre nonostante l'alto sbarramento del 10% che il Dehap deve raggiungere per entrare in Parlamento.
Nelle liste del Dehap le donne candidate sono il 30%.
L'incontro è festoso e pieno di affetto, con loro avevamo già passato diversi giorni fitti di incontri durante il nostro viaggio a marzo di quest'anno per il Newroz da cui il libro "con la forza della nonviolenza" a cura delle Donne in Nero, dedicato all'impegno e all'agire delle donne kurde e turche. Le copie che portiamo vengono accolte con grande entusiasmo.
Decidiamo insieme che una madre per la pace, Muyasser Guner, e una donna dell'ass.Dicli, ex detenuta politica, dopo l'ESF, rimarranno in Italia per un giro di incontri. Purtroppo alla seconda verrà poi negato il visto dal Consolato italiano nonostante l'invito ufficiale firmato da Luisa Morgantini.
Il giorno dopo siamo a Dyarbakir, veniamo ricevute da Reyhan, una giovane avvocata dirigente dell'associazione per i diritti umani IHD. Il tempo di presentarci Jusem, un giovane studente universitario che ci farà da interprete e su un pulmino di linea riempito però da persone amiche, partiamo verso la sede a noi assegnata: Siirt, una cittadina ad est della Turchia a circa 250 Km da Dyarbakir, dopo la zona del progetto delle dighe, che conta in tutto, compresi i numerosi villaggi, circa 120.000 abitanti.
Prima di arrivare superiamo due posti di blocco, uno militare e uno delle squadre speciali antiterrorismo.
Ogni volta ci vengono ritirati i passaporti, controllati e registrati su liste che poi sapremo saranno diffuse alla polizia e esercito, come una noi ha poi potuto verificare il giorno delle elezioni quando è stata identificata da un militare che le ha mostrato la lista con tutti i nostri nomi.
L'indomani, 3 novembre, abbiamo conferma della ragione dell'allarme lanciato dal Dehap.
Divise in tre gruppi a cui si aggiunge quello della delegazione ufficiale degli europarlamentari tra cui Luisa Morgantini e l'europarlamentare kurda eletta in Germania, alle 5 del mattino, insieme alla candidata capolista nella zona, Aysel Tuglule, del colleggio di difesa di Ocalan, e a numerosi rappresentanti del Dehap e dell'IHD, cerchiamo di coprire il territorio che ci è stato assegnato.
I seggi nei villaggi, insediamenti minimi di 100, 150 abitanti, al di sotto di condizioni minime di vivibilità, sono quelli che presentano le maggiori difficoltà. Qui l'esercito e i guardiani di villaggio, una sorta di milizia mercenaria composta da curdi collaborazionisti, per tutta la durata della campagna elettorale (25 giorni), hanno creato un vero clima di terrore tra la popolazione con intimidazioni che vanno dalla minaccia di morte, al ricatto, alla promessa in caso di voto al Dehap, di bruciare le case. Massiccia la loro presenza il giorno del voto.
In alcuni seggi abbiamo visto filmare tutti coloro che andavano a votare, in altri abbiamo raccolto le testimonianze subito fuori il seggio di persone costrette a una sorta di voto palese, in città abbiamo assistito al blocco dei rappresentanti dell'associazione dei diritti umani, tenuti dentro cordoni tra cui anche noi. Il Dehap, in quanto nuova formazione politica, ha potuto avere per legge propri rappresentanti di lista solo nella fase dello spoglio ma non durante il voto.
Nonostante tutto ciò quando due di noi fanno il giro di numerosi seggi durante la fase dello spoglio, grazie anche ad un ottimo gioco delle parti tra noi e un'autorevole rappresentante dell'IHD, riusciamo a farci aprire molte porte, come fossimo una delegazione ufficiale, anche nel seggio dove davanti sostavano due carrarmati, per presidiare il quartiere in quanto la mattina c'erano stati "un pò di problemi".
La procedura dello spoglio ci è sembrata ovunque regolare, cosa che non possiamo affermare per quella del voto, mentre segnaliamo che dalle informazioni avute, oltre la conta nei seggi, il Dehap non ha avuto alcuna altra possibilità di verificare la conta dei voti su tutto il territorio nazionale.
Forse per il fatto che né nella zona, né in tutta la regione a maggioranza kurda, non fossero accaduti episodi cruenti, a fine giornata, prima dell'inizio delle proiezioni, gli auspici erano molto ottimisti.
Per un attimo si sono dimenticate tutte le difficoltà, comprese le centinaia di migliaia di schede elettorali recapitate sbagliate e per le quali per mancanza di tempo nulla si è potuto fare, impedendo così a molte e molti di votare. Palese e totale è stato l'oscuramento da parte dei media durante la campagna elettorale nei confronti del Dehap.
Con le prime proiezioni però l'entusiasmo iniziale è svanito di colpo. L'obiettivo per il Dehap di raggiungere la soglia altissima del 10% è apparso subito irraggiungibile e il risultato del 6,3% ha confermato la sconfitta a cui non ci si era voluti preparare.
Un dato su cui interrogarsi, soprattutto per i curdi della Turchia, è che il Dehap ha avuto circa 1 milione di voti a fronte di circa 12 milioni di donne e uomini curdi di cui ipotizziamo almeno il 70% aventi diritto al voto. Altro dato da tener conto è che in ogni città a maggioranza curda, il partito islamico moderato AKP, il partito della giustizia e dello sviluppo, ha avuto intorno al 18/20%. A Siirt, dove eravamo noi a fronte del 30% del Dehap, l'AKP ha avuto il 19%, e in tarda serata è stata anche organizzata una manifestazione con corteo per festeggiare la schiacciante vittoria dell'AKP che si è affermato come primo partito con oltre il 35% su tutto il territorio costituendo la vera novità e al contempo l'incognita di queste elezioni. I sondaggi lo davano già come primo partito e per questo ci sono stati palesi tentativi di bloccarlo da parte dell'eminenza grigia costituita dall'esercito ma certo non si era previsto che in Parlamento entrassero solo due partiti: l'AKP, al suo debutto elettorale ma non il suo presidente già sindaco di Istanbul, e il CHP, il partito di Ataturk. Si potrebbe dire: dove fallisce la democrazia, vincono i regimi, soprattutto se sostenuti dal collante religioso. Eppure qualcosa non ci convince.
Sappiamo che per una buona affermazione politica contano molto i finanziamenti per costruire un partito che possa essere di riferimento e per sostenere la macchina elettorale.
Se a tutti, in un contesto di geopolitica mondiale, fa gioco che i kurdi in Turchia non abbiano nessuna affermazione e visibilità politica, nonostante le 37 municipalità che governano, la domanda che ci poniamo è questa: a chi fa gioco l'affermazione di un partito che si richiama alla religione e che è a favore della pena di morte in un paese quale la Turchia, in posizione strategica rispetto agli assetti di dominio e di controllo mondiale e alla ricerca disperata , per la grave crisi economica in cui versa, del consenso per poter entrare in Europa?
Prima di ripartire abbiamo di nuovo incontrato le nostre amiche di Istanbul. Il gruppo turco delle universitarie del Bosforo non ha dubbi, l'Akp è fortemente posizionato a destra e ha usato insieme ad una politica populista l'elemento religioso per ottenere maggior consenso e in quest'ottica la previsione di una restrizione dei diritti delle donne non è certo infondata. Ci saranno pochissime donne in Parlamento a cui sarà difficile rivolgersi come riferimento così come ancora sono una minoranza nel movimento delle donne quelle che hanno deciso di lavorare insieme , donne turche e curde, per la libertà, il rispetto e il riconoscimento delle minoranze, il rispetto dei diritti. Per questo ci hanno chiesto di continuare a sostenerle e per questo noi continueremo ad impegnarci.Le Donne in Nero della delegazione di osservatrici
Liana Bonelli, Nadia Cervoni, Giannina Dal Bosco, Oretta Lo Faso, Teresa QuattrociocchiRoma, 8 novembre 2002