VOGLIAMO LA LIBERTA'
DI ESSERE CURDI IN QUESTO PAESE, MANTENENDO LE FRONTIERE ATTUALI
DIARIO
DELLA NONA UDIENZA DEL PROCESSO A LEYLA ZANA E AI SUOI COLLEGHI
SELIM SADAK, HATIP DICLE, ORHAN DOGAN, ANKARA, 21 NOVEMBRE 2003.
LA PROSSIMA UDIENZA E' PREVISTA PER IL 16 GENNAIO
gennaio 2004, a cura
di Silvana Barbieri
Sono presenti a quest'udienza, come di consueto, numerosi osservatori internazionali: rappresentanti del Parlamento Europeo, della Commissione Europea, dell'Associazione Internazionale Giuristi Indipendenti, dell'Ambasciata italiana, questa anche per conto del Consiglio Europeo, inoltre ci sono io in rappresentanza dell'Associazione Punto Rosso. E come di consueto sono presenti dirigenti e militanti di DEHAP, delle associazioni turche per i diritti umani e molti parenti e amici degli imputati.Siamo giunti ieri ad Ankara e appena in albergo abbiamo saputo che a mezzogiorno il palazzo che a Istanbul ospita il Consolato britannico e una banca britannica era stato colpito da un duplice attentato, con molte vittime, tra le quali il Console britannico. Solo cinque giorni fa in questa città c'erano stati gli attentati a due sinagoghe, sempre con molte vittime. La vita ad Ankara tuttavia non appare alterata. La polizia si farà viva dinanzi al nostro albergo solo stasera, con agenti che impediranno alle automobili di portarsi troppo vicino all'edificio.
Gli interventi degli imputati
I testimoni convocati dall'accusa sono risultati per l'ennesima volta irreperibili. Com'è possibile, afferma Alata_, uno di loro è membro del Parlamento per conto del Partito al Governo, inoltre è iscritto all'Albo dei dentisti. Va bene, risponde il Procuratore, manderemo la convocazione al suo gruppo parlamentare.
In effetti il processo si sta trascinando da parecchie udienze al rallentatore: e l'impressione, non soltanto nostra, è che i giudici lo stiano intenzionalmente portando per le lunghe. Da una parte essi intendono proteggere il processo del 1994, cioè non vogliono emettere una sentenza di assoluzione, che sarebbe l'ammissione che quello del 1994 fu un processo non giusto, dall'altra avvertono la pressione degli osservatori internazionali, e anche dall'interno della Turchia, non solo da parte della politica ma dei mass-media, che vuole una sentenza giusta quindi l'assoluzione degli imputati.
Guardo i tre uomini della Corte e il Procuratore. Vestiti dimessi, comportamento non più arrogante, da parecchie udienze, però orgoglioso. Un giovane funzionario europeo, tra i molti che si sono appassionati a questo processo e del quale siamo diventati amici, ci ha appena spiegato che nella gerarchia dei funzionari dello Stato turco i giudici sono quelli messi peggio. Al vertice sono i militari, poi vengono le forze di sicurezza. Le differenze sono in tutto, non solo negli stipendi. Se trasferiti i giudici, finché non hanno trovato casa, vengono alloggiati in modestissime foresterie statali, agli ufficiali dell'esercito toccano invece alloggi di lusso. Che l'ostinazione antidemocratica e sciovinista della Corte e del Procuratore razionalizzi un bisogno, in un quadro di frustrazione, di sentirsi necessari alla Turchia, sia il fatto di rappresentarsi tra i più fedeli seguaci oggi del kemalismo, rifletta un'idea di sé di tutori dello Stato laico contro l'emergenza politica dell'islamismo e dell'unità dello Stato contro quello che essi vivono come il tentativo del suo dissolvimento da parte curda?
Che cosa c'è nella testa di questi quattro uomini, bersaglio da mesi del disprezzo non solo degli imputati, degli avvocati e degli osservatori internazionali, ma di tanti loro connazionali, di gran parte della stampa turca, di parte della stessa politica ufficiale?
Sta per intervenire Leyla Zana. Tono e argomenti, come vedremo, saranno assai duri, nella valutazione dell'operato della Corte e nelle argomentazioni politiche. E lo stesso sarà da parte degli altri imputati e degli avvocati. Chiederemo poi agli avvocati il motivo di questo cambiamento rispetto alla linea precedente, che mescolava alla rivendicazione politica argomentazioni tese a documentare la propria innocenza. L'ottava udienza, ci spiegherà Alata_, nella quale è stata letta una testimonianza resa fuori dall'aula che dichiara che Leyla Zana si muoveva alla vigilia della sua elezioni al Parlamento turco in sintonia con il PKK (che dichiara che Leyla Zana era stata nel 1991 in un campo in Libano del PKK, che lì Öcalan le aveva detto come agire in vista delle elezioni politiche, ecc.) e la Corte ha respinto l'acquisizione di testimonianze e di prove atte a dimostrare che tutto questo è falso ha convinto gli imputati che questo processo è solo il paravento di un'operazione tutta politica della parte antidemocratica della Magistratura, orientata al sabotaggio di quel poco di riforme democratiche varate dal Parlamento turco. Inoltre una dichiarazione in ottobre del Ministro della Giustizia Çiçek, riportata da un autorevole giornale turco, Hurriyet, auspicante uno scambio tra la scarcerazione degli imputati e la messa del partito KADEK (ex PKK) sulla lista dell'Unione Europea delle organizzazioni terroriste ha convinto gli imputati che una partita parimenti cinica è giocata su di loro da parte del Governo. Quindi hanno concluso che difendersi giuridicamente non ha senso e che l'unica difesa che abbia un valore è quella politica, inoltre che questa difesa debba consistere nella rivendicazione della legittimità della lotta nel suo complesso della popolazione curda della Turchia per il diritto alla propria identità.
Leyla Zana. Condanno gli attentati di questi giorni, anche a nome dei miei compagni. Sono delitti contro tutta l'umanità, il loro scopo è di creare odio tra i popoli. Non volevamo più intervenire nelle udienze, perché abbiamo capito che la Corte sta ripetendo il processo del 1994, ma il 22 ottobre su Hurriyet abbiamo letto della proposta di uno scambio Zana-KADEK, e questo ci ha obbligato a intervenire di nuovo.
Sino ad oggi abbiamo soprattutto parlato dei fatti del processo e della giustizia in Turchia, ora invece ci esprimeremo politicamente. Quello che ho letto dello scambio Zana-KADEK non mi ha sorpreso. Sapevo già che la giustizia in Turchia non è indipendente ma è subordinata a quello che succede nella politica. Né mi sorprende che con questo scambio continui la politica di Susurluk (NB: si tratta del luogo di un incidente automobilistico attraverso il quale vennero alla luce i legami tra il Governo di allora, capeggiato da Tansu Ciller, l'esercito golpista e la mafia). E come in quegli anni la lotta del popolo curdo sconfisse quella politica, così accadrà dinanzi alla sua continuazione di oggi.
La politica a cui noi invece siamo legati è quella della lotta di un popolo, l'esatto contrario del mercato di ogni principio democratico e civile. Da dieci anni siamo ostaggi di questo mercato. Ma prima o poi la nostra politica prevarrà, questo mercato sarà sconfitto. Non c'è più quasi nessun paese al mondo, infatti, dove le cose vadano come continuano ad andare in Turchia.
La questione curda è molto complicata: i curdi vivono in quattro paesi molto differenti. Quello che succede in uno di questi paesi si riflette, inoltre, sugli altri. Ma proprio per questo la soluzione della questione curda non può essere nella guerra.
Noi non vogliamo la guerra. Noi vogliamo i nostri diritti, vogliamo la libertà di essere curdi in questo paese. Se la situazione ci sta spingendo nuovamente verso la guerra è solo perché siamo impediti nei nostri diritti. Per dimostrare che noi curdi siamo dalla parte della pace il partito KADEK si è sciolto, e il nuovo Kongra Gel (Congresso dei Popoli del Curdistan: un'assemblea di partiti di tutte le parti del Curdistan, turca, irachena, iraniana, siriana) è per il mantenimento delle frontiere attuali della nostra area. I turchi hanno vissuto in questi anni con la paura di una rottura della Turchia: stiano tranquilli, nessuno questa rottura la vuole. Questo Governo continua a dire che la Turchia è circondata da nemici: ma i nemici è solo la Turchia che se li crea, in primo luogo dentro a se stessa, fomentando l'odio tra le sue popolazioni, poi da parte delle popolazioni confinanti. E' solo la Turchia a crearsi i suoi empasse e i suoi guai.
Voglio anche parlare della condizione terribile della carcerazione di Abdullah Öcalan. Per molte settimane i suoi avvocati non hanno potuto incontrarlo, e questo ha creato tensione nella popolazione curda. Mercoledì scorso gli avvocati hanno potuto incontrarlo, e questo ha alleggerito la tensione.
Abdullah Öcalan è l'autore dell'armistizio che ha permesso alla Turchia in questi cinque anni di vivere in pace. Al contrario neanche questo Governo si muove per la pace. Continua infatti a creare allarme perché l'unità del Paese sarebbe in pericolo e a non far nulla di sostanziale per risolvere la questione curda.
L'esempio più evidente di dove si vada a finire percorrendo questa strada è fornito dalla situazione di Israele e Palestina. Si va cioè a finire in una guerra terribile e senza prospettiva che non sia la sua prosecuzione infinita. Vogliamo tornare a una situazione simile? Turchi e curdi possono vivere in pace tra loro. Dipende solo dalla Turchia. Se essa realizzerà la pace che le nostre due popolazioni sognano la Turchia diverrà un grande riferimento per tutte le popolazioni della nostra area.
Signori giudici, quando uno scrittore è anche il protagonista della vicenda che racconta, egli conosce la fine della vicenda e questo può far perdere al suo racconto tensione ed equilibrio. Di questo processo lo scrittore, cioè la Corte, sa la fine. Sin dall'inizio essa si è premurata di ripetere il processo del 1994. Non siete infatti dei giudici, ma le controfigure di quelli che usano questo processo per le loro partite politiche. Ponete almeno fine rapidamente a questa vicenda.
Selim Sadak. La nostra lotta per la giustizia in Turchia è fatta di pazienza. Dopo avere saputo che erano stato due giudici su tre invece di tutta la Corte a decidere di rifare questo processo noi imputati abbiamo rinunciato ad avere come obiettivo principale la nostra liberazione e abbiamo voluto parlare principalmente della libertà in Turchia e della libertà per il popolo curdo in particolare.
L'impostazione data dalla Corte a questo processo è una finzione giuridica, è uno show. La giustizia è solo la facciata. I testimoni dell'accusa continuano a essere chiamati testimoni dello Stato, mentre hanno tutti un passato sporco, sono tutti o ex agenti della polizia di quelli che nelle gendarmerie dei villaggi torturavano i curdi oppure sono guardiani del villaggio o capi tribù che ancora oggi opprimono i contadini. Nelle udienze precedenti questi testimoni hanno confermato le deposizioni del 1994, ma è stato pure dimostrato, grazie alle poche testimonianze della difesa accettate dalla Corte, che essi avevano mentito e continuano a mentire: e la Corte non ha reagito. Quando sui giornali è apparsa la proposta del Governo di uno scambio Leyla Zana-KADEK la Corte non ha detto una parola di smentita o di deplorazione.
Se un tale fatto si fosse verificato in uno Stato democratico ci sarebbe stato uno scandalo. Anche questa perciò è un'indicazione del grado reale di democrazia e di giustizia in questo paese. Come il fatto che da dieci anni siamo degli ostaggi dello stato. Come il fatto che eravamo deputati, eravamo rappresentanti della nostra società, e siamo stati arrestati per le nostre opinioni. Come il fatto che avevo una madre semiparalizzata che voleva incontrarmi in carcere con l'intera famiglia (NB: si tratta della possibilità in Turchia di visite collettive ai carcerati, che sono chiamate "visite aperte"), e che non le è stato dato il permesso, così poco dopo è morta senza potermi rivedere.
Altri detenuti, mafiosi che hanno svaligiato banche o hanno derubato lo Stato, hanno invece trattamenti di favore, possono ricevere tutte le "visite aperte" che vogliono.
Non solo noi siamo degli ostaggi. La questione curda è ostaggio dello Stato in Turchia. Noi non siamo altro, in effetti, che ostaggi dello Stato a nome della questione curda.
C'è stata la lotta armata degli anni scorsi. Nessuna delle parti ha vinto. Lo Stato ha detto che era in pericolo la sua unità. Quest'unità non è mai stata messa in discussione: la lotta armata era stata causata dal tentativo dello Stato di assimilarci e di distruggere così la nostra identità. E' stato questo tentativo a seminare l'odio tra turchi e curdi. Nel momento in cui questa politica dello Stato fosse cessata la lotta armata non avrebbe più avuto ragione di continuare.
Gli autori della politica anticurda li abbiamo visti tutti chi fossero grazie all'incidente di Susurluk. E purtroppo però essa continua anche senza i personaggi di Susurluk. Continua nella politica di una parte del Governo di divisione di Cipro e negli incidenti che continuano a essere prodotti in Iraq tra curdi e turcomanni, per consentire alla Turchia di entrare in guerra nel Nord dell'Iraq. Lo Stato continua a dire che abbiamo nemici, ma se abbiamo cattivi rapporti con i nostri vicini è per colpa dello Stato.
Da qualche anno grazie agli sforzi da parte curda in Turchia viviamo in pace. Ed è stato Abdullah Öcalan a porre le basi della pace. E' Öcalan che ha fermato la guerra inviando oltre confine le forze armate del PKK e che ha fatto venire in Turchia due delegazioni per discutere con il Governo della pace due delegazioni che il governo ha invece fatto arrestare, contravvenendo agli impegni a contrario presi. Il Governo si aspettava così di ottenere la ripresa della guerra, invece Öcalan ha mantenuto la pace, con un atto unilaterale. Öcalan in questi anni ha continuato a mandare messaggi di pace, i Governi turchi non hanno mai risposto a questi messaggi.
Ora il popolo curdo chiede il trasferimento di Abdullah Öcalan in un'altra prigione, e il Governo dice di no.
Quindi se in questi anni la tensione tra i curdi e lo Stato è diminuita è solo per merito nostro.
Ora se si vuole che la pace continui occorre porre termine alla condizione di oppressione dei curdi e porre termine alla condizione di isolamento carcerario di Abdullah Öcalan.
C'è stato solamente un Primo Ministro in Turchia ad avere in programma la soluzione della questione curda, ed era Ozal. Ma egli morì, non si sa se per un infarto o perché fu avvelenato. In un incontro che ebbi con lui mi disse che la Turchia è un grande Paese e che in essa c'è posto per i turchi come per i curdi. Mi disse anche che una parte dell'esercito era per la pace e che poteva convincere della pace tutto l'esercito. Abdullah Öcalan avrebbe così potuto tornare in Turchia a farvi politica, come qualsiasi altro cittadino. "So che questa politica", concluse Ozal, "mi fa correre qualche rischio, ma io amo il mio Paese e vorrei vederlo vivere in pace". Invece il Governo di oggi continua con le sue provocazioni a tentare di spingerci di nuovo verso la lotta armata.
Su questa strada la Turchia rischia di diventare come la Palestina. Bisogna impedirlo. Bisogna far tornare Abdullah Öcalan alla politica. Ci vuole una soluzione democratica della questione curda.
Orhan Dogan. Con il rifacimento del processo abbiamo sperato in un rinnovamento della giustizia in Turchia. Invece si sta ancora difendendo la vecchia situazione. La Corte di Strasburgo ha chiesto ai nostri giudici di cambiare il loro modo di amministrare la giustizia, ma loro continuano nel modo di sempre. In più hanno paura di prendere una decisione.
Qual è la nostra condizione? Siamo in stato di arresto o dei condannati?
Questo processo è il primo a essere rifatto in Turchia a seguito di una sentenza della Corte di Strasburgo. Quindi questo processo dovrebbe fare da battistrada, da esempio, per altri processi. La prospettiva dunque non è buona.
Voglio capire cosa c'è dietro allo scambio Leyla Zana-KADEK e cosa sta succedendo alle spalle della giustizia in questo processo.
Il giornale Radikal è rimasto molto sorpreso per la proposta di questo scambio e ha affermato che essa dimostra come in Turchia non esista una giustizia indipendente; e soprattutto è rimasto sorpreso del fatto che nessuno, né dalla parte del Governo né da quella della Magistratura, abbia smentito la notizia. Io invece non mi sorprendo per niente, la nostra società è abituata alla sottomissione della giustizia ai Governi. In un recente sondaggio è emerso che il 65% della popolazione non crede all'indipendenza della giustizia.
Il diplomatico Yalin Eral si chiede a sua volta come mai i deputati del DEP siano ancora in carcere e afferma che nella politica contemporanea non è mai accaduto uno scambio di ostaggi.
La giornalista Koray Düzgoren è rimasta pure lei sorpresa per la notizia dello scambio e afferma che i deputati del DEP sono ostaggi dello Stato da dieci anni e di non capire come mai da ogni udienza essi arrivano al Tribunale con le mani ammanettate e i piedi incatenati.
La situazione della giustizia in Turchia è bloccata. Le Corti per la Sicurezza dello Stato sono il prodotto di un colpo di Stato, e se oggi sopravvivano è per proseguirne la politica. Il capo dell'esercito ha detto che oggi potremmo abolire lo stato di emergenza, tanto ci sono le Corti per la Sicurezza dello Stato a fare come se ci fosse lo stato di emergenza. Ma in questa maniera continuerete solo a mandare gente in montagna. E così perderemo tutti. Il Ministro della Giustizia Çiçek ha rilasciato un'intervista alla televisione nella quale ha affermato che l'incarcerazione dei deputati del DEP continua perché la Corte che li giudica non considera sbagliata la sentenza del 1994. Inoltre ha aggiunto che l'Unione Europea non accetta di mettere KADEK nell'elenco delle organizzazioni terroristiche, quindi che mentre la Turchia fa molte delle cose che l'Unione Europea le chiede l'Unione Europea non fa niente di quello che la Turchia le chiede. Quest'intervista perciò documenta che il Governo le riforme le fa solamente per far entrare la Turchia nell'Unione Europea, cioè che del progresso reale della democrazia in Turchia, della sua pratica giuridica, non gliene importa nulla.
Kongra Gel ha nel suo programma la pace, cioè la fine della lotta armata. Ma il Governo turco ha già dichiarato che si tratta di una manovra curda.
Recentemente sono aumentati i tentativi dell'esercito di trascinarci ancora in una guerra civile. Gli scontri armati provocati dall'esercito sono sempre più frequenti.
Il 29 ottobre la Repubblica di Turchia ha compiuto i suoi 69 anni. Vorrei ricordare come questa Repubblica sia stata fondata insieme da turchi e curdi. Ci sono due paesi dai quali possiamo imparare a riprendere la strada iniziale della nostra Repubblica. Uno è il Salvador. Questo paese è uscito da una lunga guerra interna causata da un colpo di Stato. Hanno fatto un compromesso, ci sono state le elezioni, dopo le elezioni è stato aperto un dialogo, Governo e guerriglia hanno costruito insieme la pace. L'altro esempio è quello del Sud Africa. Il dialogo tra il potere bianco e Mandela ha prodotto la fine della guerra e l'abolizione dell'apartheid.
Questi due esempi ci insegnano che è possibile lavorare utilmente per la pace.
I contadini curdi legati al PKK che si trovano nei campi del nord dell'Iraq hanno dichiarato di essere pronti a lavorare per la pace e per la fraternizzazione tra curdi e turchi. Essi, e tutti i curdi, sono pronti a dire: il mio nemico è diventato mio fratello. 500 membri di KADEK sono pronti a rientrare in Turchia se la Turchia li accetterà. Tutti noi curdi vogliamo risolvere la questione curda nella pace. Lasciate da parte il vostro orgoglio. Viviamo insieme nella pace e nella solidarietà tra i nostri popoli.
Intervallo pranzo. Si riprende alle 14.
Hatip Dicle. Occorrerebbe indagare bene sulle cause degli attentati, fare un'inchiesta seria sugli hezbollah. Gli Stati Uniti per 25 anni hanno costruito una cintura contro l'Unione Sovietica e la sua presenza in Afghanistan, fatta di gruppi armati islamici. E il Governo turco ha creato anche lui gruppi armati di islamici, per la guerra contro il PKK. Questi gruppi sono stati costituiti nelle zone curde della Turchia. Non a caso due degli attentatori alle sinagoghe sono di Bingöl.
I Governi hanno arrestato in questi anni molti hezbollah ma non hanno mai voluto completare l'opera.
Questo nostro processo continua da nove mesi. Questa Corte sta opponendo resistenza a tutti i cambiamenti e a tutte le riforme. D'altro canto questo tipo di Corte esiste per via del colpo di Stato ed è espressione dei militari. Noi fummo arrestati il 2 marzo del 1994 e dietro al nostro arresto c'era la Ciller. Inoltre c'è che l'intervista di Çiçek è sulla stessa linea della Ciller. Egli ha dichiarato per quanto attiene al nostro processo che non bisogna mettere in discussione la buona fede dei suoi giudici. Infine il suo machiavellismo, espresso dalla proposta di uno scambio Leyla Zana-KADEK, dimostra che siamo ancora oggi degli ostaggi.
L'andamento di questo processo è preoccupante. Intanto perché è un processo che si muove secondo una logica tutta politica. In secondo luogo perché attiene alla questione curda, che è esplosiva. In ultimo perché la nostra posizione chiara dal lato del riconoscimento dei diritti del nostro popolo ha sollevato una risposta irritata nelle autorità di Governo.
La Turchia non sta andando bene. Questo processo è legato alle sue questioni e queste questioni non stanno andando bene. In particolare la questione curda non sta andando bene.
Mi sembra chiaro perciò che questo processo finirà come quello del 1994.
Abdullah Öcalan lavora da anni per la pace in Turchia. Si tratta di un problema difficile: l'unità nello stesso Stato di due popolazioni diverse. E' un problema che si è posto a più riprese nella storia. Si sta concludendo in Irlanda, è irrisolto in Palestina. Attraverso Öcalan il PKK intende inserirsi nel processo della costruzione democratica della Turchia. Di passi in questa direzione ce ne sono già stati da parte del PKK, ma il Governo anziché rispondere con un'amnistia ha fatto la legge del pentimento, anziché reinserire KADEK nella società gli muove contro nuove operazioni militari.
Inoltre mentre Abdullah Öcalan è un detenuto politico esattamente come lo siamo noi, non ha nessuno dei diritti che a noi sono riconosciuti: non ha un televisore, non può ricevere posta, non può scrivere. Vive in condizioni di detenzione che sono incivili. I suoi diritti umani sono totalmente violati.
Ma se volete risolvere la questione curda dovete allargare gli spazi della democrazia, non restringerli. Questa questione può essere risolta solo attraverso il nostro programma, che ha al centro la democrazia e i diritti umani.
Noi curdi la soluzione della nostra questione la vogliamo non solo per il nostro bene ma per quello di tutti. Vogliamo che grazie a questa soluzione turchi e curdi entrino insieme nell'Unione Europea. Vogliamo tornare a quando nel 1919-1920, Atatürk aveva preso il potere, turchi e curdi erano fratelli.
Se invece questo processo sarà uno degli episodi di complicate manovre politiche, nuovi conflitti saranno incoraggiati. Dovete pensarci bene. Dovete ragionare sul periodo che stiamo attraversando, sui suoi pericoli, sui cambiamenti che richiede.
Gli interventi dei difensori
Yusuf Alata_. Per noi questo processo è terminato. La Corte non si sta interrogando sulla validità della sentenza del precedente processo. Non sta ottemperando per nulla ai contenuti della sentenza della Corte di Strasburgo. Anche i nostri assistiti la pensano così. E fuori da quest'aula c'è molta gente che considera non equo questo processo, compresa una parte dei politici.
Volevamo un processo equo. Sono stato al Parlamento Europeo e lì un deputato mi ha chiesto: "che cosa possiamo fare per voi?". "Niente", gli ho risposto, "noi vogliamo soltanto un processo equo". Se avessimo voluto potevamo portare a questo processo tremila avvocati e trasformarlo in un grande spettacolo politico. Abbiamo invece tentato di tenere la politica fuori dal processo. D'altro canto sono dieci anni che stiamo lottando per un trattamento giusto in sede giuridica dei nostri assistiti.
Non solo questa Corte non si attiene alla sentenza di Strasburgo, che ha imposto alla Turchia un processo giusto ai nostri assistiti. Non li ha neppure scarcerati, sebbene il nostro codice preveda che quando ci sia la possibilità del rifacimento di un processo gli imputati, se in carcere, debbano essere scarcerati all'atto stesso della decisione di questo rifacimento. Non li avete scarcerati, nonostante lo imponga la Convenzione europea sui diritti umani, che la Turchia ha firmato. Avete affermato che gli imputati debbono rimanere in carcere per tutto il periodo di raccolta delle prove. Ma le prove a loro carico sono quelle già raccolte nel 1994. Tutte queste violazioni e le altre in questo processo dei diritti della difesa sono documentate in un rapporto (Alata_ lo consegna alla Corte) pubblicato dall'Associazione dei Giuristi Indipendenti, che segue questo processo da maggio.
Mi sono messo in contatto con il Tribunale di Strasburgo. Intendiamo farvi ricorso contro questo processo.
Interruzione del Presidente della Corte: "siete davvero sicuri di ottenere una sentenza favorevole?": "sì, più che sicuri".
Se in un Paese non c'è una giustizia indipendente vuol dire che non c'è democrazia. Il nostro Governo dice che in Turchia c'è una giustizia indipendente. Ma il 22 del mese scorso abbiamo letto sulla stampa della proposta del Governo all'Unione Europea di uno scambio Leyla Zana-KADEK.
Tutto è in ostaggio in questo Paese, tutto sta diventando merce di scambio per l'entrata nell'Unione Europea: Leyla Zana, Cipro. In questo paese ogni principio di civiltà continua a essere sporcato.
Mustafa Özer. La giustizia è un'istituzione necessaria, di cui c'è bisogno in ogni società. Quindi occorre che la gente possa fidarsi della giustizia. Per questa ragione quando è apparsa sulla stampa la notizia dello scambio Leyla Zana-KADEk la Corte avrebbe dovuto dichiarare che gli imputati di questo processo non sono ostaggi del potere politico. Invece ha taciuto. Ha così ammesso, di fatto, che questo è un processo regolato da convenienze politiche anziché dai principi del diritto.
La Corte di Strasburgo ha dichiarato che il processo del 1994 non fu equo. In questo processo non avete accettato gran parte dei testimoni della difesa. Inoltre noi avvocati non abbiamo potuto interrogare direttamente i testimoni dell'accusa. Le nostre domande a questi testimoni sono state filtrate dal Presidente, che in più ha sempre accettato le obiezioni del Procuratore.
Quando Abdullah Dostun ha dichiarato qui che aveva preso in ostaggio una persona, nel contesto di una faida tra la tribù di cui è capo e un'altra tribù, voi non avete reagito. Ho fatto la richiesta di un procedimento contro questo testimone, ma il Procuratore si è opposto e voi non avete fatto niente.
Un testimone dell'accusa ha dichiarato che Leyla Zana andò nel 1991 in un campo militare in Libano del PKK. Abbiamo chiesto un'indagine, attraverso i Ministeri degli Esteri e degli Interni, per accertare dov'era in quel periodo Leyla Zana, e voi avete rifiutato dichiarando che questa richiesta non contribuiva all'accertamento dei fatti contestati in questo processo.
Hamit Geylani. Siamo arrivati ad un punto in questo processo in cui le parole non sono più utili.
La Corte di Strasburgo ha sentenziato che il processo del 1994 non fu equo e quindi che doveva essere rifatto. Questo rifacimento poi è stato consentito dal terzo pacchetto di riforme. Ma voi giudici non state rifacendo il processo, vi state comportando come se fossimo in Cassazione, dove si tratta solo di rivisitare le prove del processo precedente.
Quindi voi state violando sia le norme internazionali che le nostre stesse leggi nazionali. State violando le disposizioni della sentenza di Strasburgo.
La ragione è semplice. Voi volete riportare la Turchia alle condizioni del 1994.
Altri Paesi sono stati condannati per processi ingiusti dalla Corte di Strasburgo: ma tutti questi Paesi hanno poi ottemperato realmente alle sentenze di questa Corte. Solo la Turchia sta insistendo, con questo processo, sulla linea della violazione dei diritti degli imputati.
Penso quindi che la Corte di Strasburgo vi condannerà nuovamente.
Oltre a comportarvi illegalmente state anche danneggiando l'immagine della Turchia a livello internazionale.
Le decisioni della Corte
Non verranno escussi ulteriori testimoni. Verranno ascoltati solo i testimoni che attualmente sono in carcere. La scarcerazione degli imputati è respinta. La prossima udienza si terrà il 16 gennaio prossimo.