riceviamo e pubblichiamo
PER LEYLA ZANA
L'INTRODUZIONE
DELL'INCONTRO PUBBLICO DEL 20 GENNAIO SCORSO A MILANO
febbraio 2001, di Silvana
Barbieri dell'Associazione Punto Rosso
La storia di Leyla Zana è probabilmente nota a tutti in questa sala. E' una storia che si può sintetizzare in poche parole. Leyla è una donna curda, nata in una cittadina nel Kurdistan turco occupato militarmente dai generali di Ankara, che nel corso degli anni ha preso coscienza della terribile condizione sua e del suo popolo. E che ha iniziato a studiare e a far politica fino ad essere eletta al parlamento turco, prima donna curda ad avere questa carica.
Ma la sua esperienza all'Assemblea nazionale è durata ben poco, il tempo di giurare fedeltà alla repubblica anche nella sua lingua materna, il curdo appunto, e di essere arrestata. Come tutti voi immagino sappiate, Leyla è in carcere da quel giorno, l'8 dicembre del 1994. Oggi, ormai quarantenne, madre di due figli che vivono in esilio al di fuori della Turchia, Leyla è divenuta un simbolo per le migliaia, anzi i milioni di
curdi oppressi in Turchia e negli Stati vicini, molti dei quali soffrono in carcere, o in carcere sono già morti. Ma è anche diventata un simbolo per tutti quelli che, nel mondo, credono e lottano per la libertà, la pace e il rispetto dei diritti umani.L'idea di organizzare qui a Milano questa giornata dedicata a Leyla Zana e al suo popolo ha iniziato a prender forma lo scorso febbraio, in occasione di un incontro internazionale di solidarietà organizzato da un'associazione di donne curde e turche di Istanbul, che si chiama Digle, ovvero fiume Tigri.
Le donne di Digle avevano invitato alcune compagne del Punto Rosso, la nostra associazione, impegnata da sempre in iniziative di solidarietà con le popolazioni oppresse, così come altre rappresentanti di associazioni europee ad un'iniziativa per una pace democratica in Turchia.
Arrivate ad Istanbul, tutte noi abbiamo saputo che la riunione, che doveva tenersi pubblicamente all'Università, non era stata autorizzata dalle autorità turche, un fatto che non ha sorpreso nessuno. Ma l'incontro con le donne di Dicle e di altre associazioni c'è stato comunque, in forma più riservata e per due giorni abbiamo ascoltato le loro testimonianze.
Queste donne ci hanno parlato della estrema brutalità della repressione di stato nel Kurdistan turco, di come e quanto essa colpisca soprattutto i bambini e le stesse donne, attraverso lo stupro sistematico da parte dei repubblichini locali, le cosiddette Guardie del Villaggio, e da parte delle forze di repressione, esercito e polizia turca.
Ci hanno raccontato come in seguito al terrore che impera nelle zone curde, in seguito alle deportazioni, alla fame, alla distruzione di oltre seimila villaggi, la maggior parte dei curdi abbia dovuto lasciare la propria terra per scappare verso le periferie delle grandi città.Rimanemmo, io e le altre compagne europee, molto colpite dal coraggio, dalla lucidità e dall'efficienza delle donne di Digle. Personalmente sono rimasta molto colpita dalla figura di una ragazza di 19 anni. le ho chiesto esplicitamente perché lavorasse per il partito dello Adep. Lei serenamente mi ha risposto che la polizia a Istanbul sistematicamente compie delle retate nei quartieri con popolazione curda. In una di queste retate, e aveva 15 anni, è stata arrestata, trattenuta in carcere una settimana durante la quale è stata violentata. Quando è uscita questa ragazza pensava di avere solo due alternative: o suicidarsi o prendere il fucile e andare in montagna. Fuori dal carcere però ha trovato le psicologhe dello Adep che l'hanno aiutata a superare questo terribile trauma. Così lei è diventata una militante. Una vittima che aiuta altre vittime a ritrovare una ragione per vivere con dignità.
Tutte queste donne svolgono un grandissimo lavoro di massa. Alcune di loro si occupano della prima accoglienza dei profughi dal Kurdistan, che arrivano spesso senza documenti ne' denaro, ignari della legislazione e del tutto indifesi rispetto alle brutalità della polizia.Un altro gruppo si occupa dell'alfabetizzazione delle donne e insegna ai più piccoli il curdo, perché assieme alla lingua non vadano perse la storia e la cultura di questo popolo.
Altre, soprattutto giuriste, aiutano le famiglie che hanno guai con l'apparato repressivo turco. Si calcola che in Turchia ci siano quarantamila prigionieri politici, in gran parte curdi, assieme a molti democratici turchi.
Un altro gruppo di psicologhe svolge un lavoro di sostegno alle donne che hanno subito violenza, torture, stupri. Per queste donne (si stima che almeno in tremila siano state stuprate) Dicle vorrebbe anche aprire una casa di accoglienza ma gliene mancano i mezzi. E quindi, faccio presente, chi volesse sottoscrivere per questa casa, può farlo ai banchi qui fuori.
A Istanbul abbiamo poi incontrato le Madri del Sabato, un'associazione di madri di persone scomparse che prima dell'arresto del Presidente del PKK Ocalan, manifestavano ogni sabato nella piazza Galatasaray, nonostante venissero regolarmente picchiate dalla polizia o dai Lupi Grigi, e fossero spesso arrestate. Dopo l'arresto di Ocalan le è proibito di manifestare.
Ma al di là delle organizzazioni, ogni donna e ragazza curda in Turchia ha una storia di violenza fisica e psicologica alle spalle, e lo stesso vale per molte compagne turche che appoggiano le rivendicazioni dei curdi o lottano pacificamente per il rispetto della democrazia e dei diritti umani nel loro paese. Tutte queste donne, quelle che abbiamo incontrato almeno, parlano della loro situazione senza vittimismi ma con molta determinazione, dignità e voglia di vivere. E tutte loro, potremmo dire,
sono altrettante Leyle Zana, migliaia di Leyle Zana, che riconoscono infatti in questa donna il simbolo della loro lotta, non violenta e democratica, la rappresentazione della loro sofferenza e del loro coraggio.Ma Leyla Zana dev'essere un simbolo e un riferimento anche al di fuori della Turchia, anche in paesi dove la democrazia e l'eguaglianza non sono ignorate, non del tutto almeno.
In particolare, questo vale per noi europei, perché la Turchia - dobbiamo averlo ben presente - è un paese europeo e tra i paesi europei è l'ultimo ad avere ancora oggi un governo autoritario e fascista. E allora vi chiedo: come possiamo pensare di combattere seriamente ed efficacemente il rigurgito fascista e razzista oggi in Europa, le campagne che quotidianamente indicano negli albanesi o nei marocchini la minaccia alla nostra tranquillità di vita, senza affrontare a viso aperto il problema della Turchia? Senza fare il possibile per arrivare all'affermazione reale della democrazia in Turchia?
Questa civilissima Europa si è subito allarmata per il pericolo Haider, e giustamente. Ma Haider finora non ha ammazzato o violentato nessuno. Abbiamo in Europa chi uccide e violenta sistematicamente. Tutti abbiamo visto cosa sono le carceri in Turchia. E' la barbarie legalizzata e coperta dal silenzio dei governi e dei media europei. Non occorre molto per affermare che la Turchia gode di una specie d'impunità.Pertanto c'è da cancellare la vergogna e l'infamia delle complicità delle istituzioni
europee con il potere turco, la vergogna delle forniture d'armi ai generali di Ankara, dei lauti affari compiuti dalle varie confindustrie europee in quella che è una delle maggiori tangentopoli dei nostri giorni, poiché non c'è affare europeo in Turchia che non richieda fior di tangenti a politici e a militari. C'è soprattutto da vigilare perché il processo di adesione all'Unione Europea da parte di Ankara avvenga solo quando la democrazia e il rispetto dei più elementari diritti umani diventeranno una realtà in questo paese.Leyla Zana così scriveva al Parlamento Europeo quand'esso le conferì - nel '96 - il Premio Zakharov: "Spero di non dover perdere mai la fiducia. Nel fatto che il Parlamento Europeo non valuterà l'ingresso della Turchia solo in base alla sua posizione geografica e strategica ed al suo mercato di sessantacinque milioni di abitanti".
Una speranza che abbiamo anche noi, ma che sappiamo bene come debba essere accompagnata da iniziative concrete perché non resti solo un sogno. Così, quando siamo tornate da Istanbul abbiamo sentito che dovevamo fare il possibile perché in Italia e in Europa si rompessero le cortine della disinformazione e del silenzio sulla repressione in Turchia del popolo curdo. Così è nata l'idea di un appello di donne per la libertà di Leyla Zana e così è nata questa nostra iniziativa.
Vorremmo inoltre dare un seguito a quest'assemblea, premendo sulle smemorate e svagate istituzioni italiane ed europee, perché prendano finalmente iniziative nei confronti del governo turco. Sarebbe importante, poi, costituire una delegazione di firmatarie dell'appello che si rechi in Turchia e tenti di incontrare in carcere Leyla Zana.
Leyla Zana, come figura concreta e come simbolo, ci ricorda una cosa semplice. Non ci è dato di ridare dignità alla politica, a riconoscerci come donne e uomini democratici, di sinistra ecc. se non conciliamo etica, politica e una pratica di solidarietà tra gli esseri umani. Leyla Zana potrebbe essere oggi fuori dal carcere se rinunciasse alla sua determinazione a essere solidale con le migliaia di altri prigionieri politici curdi e turchi, accettando le condizioni postele dal governo turco di Ecevit. Vale a dire trasformare la sua condizione di carcerata politica in una questione personale.
Agiamo sino alla libertà di questa meravigliosa donna, di questa nostra compagna. E sino a quando il popolo curdo non abbia conquistato la sua libertà e l'insieme dei popoli della Turchia la democrazia.