"STRETTA DI
FRONTIERA"
novembre 2001, di Dino Frisullo
Il Manifesto del 3/11/2001
Erano profughi di guerra quelli che il 19 ottobre la polizia indonesiana forzò a ripartire da Sumatra: afghani, kurdi, irakeni. La nave colò a picco, si salvarono solo 44 su oltre quattrocento. Al largo dell'Australia, profughi kurdo-irakeni hanno messo il salvagente ai loro bambini e li hanno gettati in mare nel vano tentativo di garantirgli un futuro.
Arrivano fino all'altro emisfero i frammenti delle bombe. Ogni esplosione ne fa presagire mille, non solo in Afghanistan ma in Iraq, in Turchia, in Pakistan. Si frega le mani la mafia turca che, secondo un rapporto della polizia italiana, dal quartiere di Aksaray a Istanbul controlla un business già pari a 8-10 miliardi di dollari l'anno e paga i trafficanti albanesi e greci in eroina, quattro chili a carico umano.
L'esodo di guerra si annuncia imponente. L'Iran prepara grandi campi di concentramento. La Turchia, memore dell'afflusso dei kurdo-irakeni nel '91, sigilla la frontiera orientale. Ventimila persone già premono al confine della Grecia, che ha rinunciato ad espellere in Turchia i 220 kurdi del campo di Lavrion di fronte al loro sciopero della fame. E l'Alta corte inglese decreta che è legale recludere i richiedenti asilo, come si prepara a fare il governo Berlusconi.
E' stata una calda estate per i profughi, soprattutto kurdi. La Germania continua a deportarli in Turchia, nonostante la documentazione di 32 casi di tortura di rimpatriati da parte dell'organizzazione Pro-Asyl e gli scioperi della fame a Buren e in altri centri di detenzione. Non s'era ancora spenta l'eco dell'aggressione omicida al profugo Fersat Yildiz in Scozia, che a Zurigo i kurdi manifestavano contro l'abitudine di deportarli in catene. In Olanda attendono giustizia i parenti di Ali Aksoy e Savas Cicek, renitenti alla leva, rinviati in Turchia e "suicidati".
Nel 2000 i richiedenti asilo turchi, irakeni e iraniani, quasi tutti kurdi, erano centomila in Europa, seguiti da jugoslavi (42mila) e afghani (29mila, raddoppiati in due anni): la fotografia di tre guerre. In Italia colpisce la quota dei rigetti, anche se dovuti spesso ad irreperibilità: appena 554 richieste d'asilo jugoslave accolte su 13.277 richieste, 150 su 5609 dall'Iraq, 216 su 3545 dalla Turchia, trenta su 345 afghani. Sempre più raramente la commissione affianca al rigetto la "protezione umanitaria", e anche dall'Italia iniziano le deportazioni. I 113 tamil rinviati in ottobre in Sri Lanka con un volo speciale da Brindisi si aggiungono ai dodici kurdi prelevati in agosto dallo stesso centro di detenzione, il Regina Pacis di Lecce, e deportati in Turchia.
Halil è tornato, clandestino, via Gorizia. "Ci hanno rinchiusi due a due nelle celle dell'aeroporto di Istanbul, bendati e senza cibo", racconta. "Dieci giorni di bastonate, docce fredde, tortura con gli elettrodi. Mi chiedevano di mio cugino, membro dell'Hadep e detenuto in Turchia. Alla fine i miei parenti hanno pagato per farmi rilasciare".
Il suo caso ora tornerà in commissione. Ma nell'ultima settimana sono cinque i rigetti dell'asilo a Roma per i kurdi di Turchia. Casi simili sono segnalati all'associazione Azad da Milano (un kurdo doppiamente perseguitato, perché di religione yezita), e un'intera famiglia da Venezia "Non c'è persecuzione personale", dicono i commissari. Del resto la Turchia è un paese così normale da avere appena offerto, oltre alle basi, un contingente di "istruttori" agli angloamericani in Afghanistan. E il sottosegretario agli Interni D'Alì, già capo della lobby filoturca in Senato, il 23 ottobre ha promesso all'ambasciatore Utkan "più collaborazione contro il terrorismo". Cioè contro tutti gli Halil che approdano in Italia.