riceviamo e pubblichiamo

MESSAGGIO DI UNA ESULE KURDA ALLA MARCIA PERUGIA-ASSISI DEL 2000
DI HEVI DILARA, RESPONSABILE DELL'UFFICIO DI INFORMAZIONE DEL KURDISTAN IN ITALIA


ottobre 2000

 

Cari amici,

come quaranta milioni di kurdi, da quando sono nata io conosco la guerra. Ho visto torturare mio padre, ho visto bruciare dai soldati turchi il villaggio della mia infanzia.
Come decine di migliaia di giovani kurdi, sono nata di nuovo con un'altra guerra: la guerra di liberazione. Come sessant'anni fa in Italia, nella montagna che si armava contro i nostri oppressori è rinata l'identità, la coscienza, la fierezza di un popolo violentato e negato.
Coloro che spargono il terrore ci hanno chiamati terroristi. Uno stato criminale ci ha chiamati criminali. Il mondo gli ha creduto. Eppure non abbiamo mai messo bombe.
Ancora oggi le organizzazioni che incarnano la speranza di duecentomila donne e uomini, riuniti il 2 settembre a Colonia per la pace, sono chiamate "terroriste" in Germania.
Oggi, insieme al mio popolo, sto imparando che la strada della pace, del dialogo e del disarmo unilaterale è ancora più difficile, ma anche più esaltante, di quella delle armi.
Quando il nostro presidente Ocalan è stato consegnato ai suoi aguzzini, la nostra rabbia è stata immensa. Avrebbe potuto incendiare la Turchia, il Medio oriente e il mondo.
Ma Ocalan, dal tribunale che l'ha condannato a morte, ha annunciato un'altra scelta: la rinuncia alle armi, il ritiro unilaterale dell'esercito partigiano, il dialogo per la pace.
Due anni fa a Colonia la nostra festa si concludeva con l'irruzione nello stadio di danzatori vestiti da guerriglieri, che cacciavano altri attori in divisa turca. Quest'anno si è conclusa con una grande danza in costume kurdo, turco, arabo e persiano.
Sono i quattro grandi popoli del Medio oriente, ai quali noi proponiamo di imparare a convivere in pace e in democrazia insieme a tutti gli altri popoli.
Io qui rappresento il primo movimento di liberazione nella storia che abbia fatto una scelta radicale di rinuncia unilaterale alla violenza e alla lotta armata, prima ancora di essere legittimato e di conquistare un qualsiasi tavolo di negoziato.
Non l'hanno fatto né Mandela, né Arafat, né nessuno dei movimenti latinoamericani.
Il più grande partito kurdo, il Pkk, nel suo ultimo congresso ha deciso di archiviare anche il nazionalismo. Noi siamo una nazione, nel senso storico-culturale e nelle istituzioni che ci siamo dati in patria e nella diaspora. Ma non rivendichiamo uno stato-nazione. Non vogliamo creare altri muri e confini: ne abbiamo già sofferto troppo.
Vogliamo vivere con dignità nella nostra terra, insieme a tutti coloro che, come me, sono stati costretti all'esodo e all'esilio. Vogliamo parlare, scrivere e cantare nella nostra antica lingua. Vogliamo essere kurdi, in una Turchia, un Iraq, un Iran e una Siria democratici. Vogliamo autogestire la nostra vita e le nostre risorse, vogliamo autodeterminare il nostro futuro.
Il Kurdistan esiste ed esisterà, ma non sarà il germe di un'altra guerra, come è avvenuto nell'ex Jugoslavia. Senza abbattere le frontiere che ci hanno smembrati, sapremo scavalcarle pacificamente per proporre democrazia e federalismo a tutto il Medio oriente.
Questo è il nostro sogno: una rivoluzione non distruttiva, ma creativa e pacifica.
In nome di questo sogno due gruppi di nostri compagni dalla montagna e dall'esilio sono rientrati in Turchia, non per arrendersi ma per portare un messaggio di pace. Ora sono in prigione, condannati a decenni di carcere, ma continuano a sognare.
In nome di questo sogno collettivo io chiedo a voi, pacifisti italiani ed europei: perché non ci aiutate a farlo diventare realtà? Perché ci avete lasciati soli, nel momento in cui abbiamo più bisogno di amici? Perché non ci aiutate a legittimare, oggi in Italia e domani in Europa, quello che è oggi il partito della pace in Turchia e nel Medio oriente, il Pkk?
Provate a sognare ed a costruire con noi la grande nave che ci riporterà nella nostra terra: noi profughi ed esuli, insieme a voi.
Perché l'Europa che noi amiamo e rispettiamo non è quella dei mercanti delle armi che ci massacrano: è la vostra Europa.
Vi chiedo di non deluderci.

Hevi Dilara
Responsabile dell'Ufficio di informazione del Kurdistan in Italia
Roma, via Quintino Sella 41 ­ 06.42013576 ­ fax 06.42013799 ­ E-mail uiki.onlus@tin.it