LA RISPOSTA ALL'AMBASCIATORE TURCO
A PROPOSITO DELLA "NOTA ESPLICATIVA SULLA SITUAZIONE DI LEYLA ZANA E DI ALTRI EX-PARLAMENTARI DEL PARTITO DEMOCRATICO (DEP)", EMESSA IN DATA 10 GIUGNO 2002, A FIRMA DELL'AMBASCIATORE DELLA TURCHIA IN ITALIA SIG. NECATI UTKAN


dicembre 2002 di Luigi Vinci, parlamentare europeo

A tutt'oggi, nonostante i recenti emendamenti costituzionali, che consentono ai cittadini della Turchia di esprimersi anche in lingue diverse dal turco, migliaia di persone sono represse ­ sono arrestate, torturate, condannate, espulse da scuole e università, licenziate ­ per il fatto di esprimersi in curdo e di rivendicare che la norma costituzionale in questione sia rispettata dalle Autorità di governo, militari, di polizia e giudiziarie. Infatti a tutt'oggi, sia nel Codice penale, sia nella mentalità di gran parte delle Autorità turche, esprimersi in curdo e rivendicare il diritto di farlo equivale ad agire per il "separatismo" del Sud-est turco. Ci sono a riguardo di questi abusi centinaia di testimonianze indipendenti: come per esempio delle Associazioni turche per i diritti umani, o di Amnesty International ­ alla quale a tutt'oggi è impedito di operare legalmente in Turchia.

E all'On. Leyla Zana e ai suoi colleghi del DEP accadde esattamente questo: che pronunciarono in lingua curda il loro giuramento di fedeltà allo Stato turco, all'atto del loro insediamento di parlamentari, e assieme al giuramento si espressero per la pacificazione dei rapporti tra turchi e curdi sulla base del riconoscimento dei diritti culturali dei curdi: ciò che bastò a far muovere contro di loro l'accusa di separatismo.

Poiché, tuttavia, l'accusa di separatismo per essersi espressi in tal modo nel Parlamento turco era irreggibile dinanzi all'opinione pubblica mondiale, e ai Parlamenti e ai Governi dell'Europa occidentale, ben al corrente della realtà delle cose, e in particolare del carattere del tutto pacifico e legale dell'azione del DEP e dei suoi esponenti, verso la fine del processo si pensò bene di aggiungere quelle accuse di terrorismo, che la lettera dell'esimio Ambasciatore Utkan così accuratamente elenca.

Questi i fatti.

Ai quali si può aggiungere:

­ che il Consiglio d'Europa ha più volte sollecitato alla Turchia, a seguito delle numerosissime condanne che essa ha subito da parte del Tribunale di Strasburgo per la violazione nei processi di natura politica di diritti umani e politici fondamentali, di provvedere alle modifiche necessarie dei suoi codici e delle sue procedure, inoltre di ricostituire le condizioni nelle quali quanti sono stati ingiustamente condannati erano prima della condanna e, qualora la Turchia desiderasse rifare i processi, di produrre le norme per ciò necessarie
­ che il Tribunale di Strasburgo non ha tra i suoi compiti di produrre "prove" che entrino nel merito di una condanna, ma semplicemente di stabilire se essa è stata emessa violando o meno i diritti dell'imputato o su una base probatoria adeguata
­ che in ogni caso il tribunale di Strasburgo, condannando anche a questo proposito la Turchia, ha stabilito che lo scioglimento del DEP ­ il Partito di Leyla Zana ­ per "separatismo" avvenne senza uno straccio decente di prova, ed anzi che ogni elemento di fatto indicava che il DEP agiva nel quadro della legalità e con mezzi assolutamente pacifici e parlamentari
­ che se dal 1999 nel Tribunale turco per la Sicurezza Nazionale non c'è più il giudice militare, questa è un'ammissione implicita della tendenziosità di questo Tribunale prima del 1999, dunque quando l'On. Leyla Zana e i suoi colleghi furono condannati e il DEP fu sciolto
­ che la Turchia è firmataria dei Trattati costitutivi del Consiglio d'Europa e che di esso fa parte, e che norma del diritto internazionale è quella i Trattati che si firmano di rispettarli, invece, come fa l'esimio Ambasciatore, per conto del suo Governo, di produrre cavilli giuridici per violarli nel merito e nella sostanza
­ che in Turchia ­ come in qualsiasi altro Paese ­ sono molte le vie giuridiche inappuntabili che consentono un provvedimento di libertà a favore di una persona condannata e incarcerata, e che in Turchia ­ come in qualsiasi altro Paese ­ è questione di volontà politica o meno
­ che non è vero che non esista Paese appartenente al Consiglio d'Europa condannato dal Tribunale di Strasburgo che non abbia ottemperato alle indicazioni della sentenza di condanna: per esempio la Francia, condannata per un processo in cui erano stati violati i diritti dell'imputato, un immigrato, e nel cui ordinamento non c'erano norme che consentivano il rifacimento del processo, poiché la sentenza era passata in giudicato, ha rapidamente prodotto questo tipo di norme
­ che stando a dichiarazioni da me direttamente raccolte presso i legali che l'assistono le condizioni dell'incarcerazione dell'On. Leyla Zana non consentono ad essa le cure necessarie ­ l'On. Leyla Zana è affetta da una grave forma di osteoporosi e necessita di cure non solo farmacologiche ma anche motorie, e sono precisamente queste che non le è possibile effettuare
­ infine che non meraviglia che i cittadini turchi di lingua curda non perseguano "tendenze separatiste", ancorché ne continui la brutale repressione: i Partiti curdi, tanto quelli illegali che quelli legali, ancorché, come HADEP, sottoposti attualmente ad un procedimento sotto l'accusa, tanto per cambiare, di separatismo, sono invece per l'affermazione dei diritti culturali curdi nel quadro della Turchia così com'essa è attualmente, ed anzi non chiedono neppure l'autonomia delle province del Sud-est
­ e che neppure meraviglia la "diminuzione delle attività terroristiche", cioè delle azioni militari da parte del PKK, nel Sud-est della Turchia: avendo questo Partito deciso tre anni fa di sospendere le proprie attività militari; che meraviglia invece, o forse non meraviglia affatto, che da parte delle Forze Armate della Turchia continuino le attività militari contro i militanti di questo Partito rifugiati nel Nord dell'Irak, attraverso incursioni, bombardamenti di villaggi e di campi profughi e l'occupazione ormai stabile di territorio irakeno.

Vorrei in ultimo segnalare, soprattutto all'esimio Ambasciatore, che tra le ragioni per le quali un dialogo prosegue tra Unione Europea e Turchia a proposito dell'entrata della Turchia non stanno certamente le posizioni e gli atteggiamenti dei quali egli fornisce un buon campionario nella sua lettera, bensì l'attività assidua, della quale, in quanto parlamentare, sono diretto testimone, presso le Istituzioni dell'Unione Europea da parte dei Partiti curdi, legali e illegali, appunto favorevole a quest'entrata, nell'auspicio che essa aiuti la Turchia ad un incremento sostanziale di quella civiltà interna, che il suo establishment politico e militare ha sino ad oggi pertinacemente negato. E' solo per questo, per esempio, che il sottoscritto, ma con lui molti colleghi, ha cambiato negli ultimi due anni la sua posizione sull'entrata della Turchia nell'Unione Europea, alla quale sino a prima si era opposto, credo con fondatissime ragioni.

Vorrei anche sottolineare l'immenso atto di responsabilità e di moderazione che questo significa, da parte dei Partiti curdi. Il diritto all'autodeterminazione di una popolazione viene prima, nello stesso diritto internazionale, di qualsiasi considerazione circa l'opportunità o il desiderio che un confine statale non venga alterato, quando questa popolazione sia oggetto di una dura oppressione, in particolare non ne vengano riconosciuti i più elementari e basilari diritti, tra i quali quello di esprimersi nella propria lingua. Mentre è solo segno di barbarie politica e giuridica la pretesa che la rivendicazione dei propri diritti culturali sia "separatismo".

E, più in generale, è pure segno di barbarie politica e giuridica che una popolazione o un Partito di questa popolazione vengano repressi per il fatto di rivendicare l'autodeterminazione. Non che attualmente questo avvenga nel Sud-est della Turchia. Tuttavia ciò che solo potrebbero essere legittimamente represse sarebbero attività di tipo eversivo-militare. Valga l'esempio di quelle regioni in Paesi membri dell'Unione Europea dove sono minoranze, parte dei cui Partiti rivendicano l'autodeterminazione e, attraverso essa, la costituzione di nuovi Stati, come i Paesi Baschi o la Corsica: qui Spagna e Francia non reprimono affatto la richiesta di autodeterminazione, bensì il fatto che alcune organizzazioni tentino di promuoverla attraverso azioni terroristiche.

 

Milano, 29 luglio 2002