EX-JUGOSLAVIA, DIECI
ANNI DOPO
STAVA
ZAJOVIC, DELLE DONNE IN NERO DI BELGRADO, METTE IN GUARDIA DAL
PERICOLO DI UN RITORNO AL POTERE DEL NAZIONALISMO SERBO E CHIEDE
CHE SIANO ESTRADATI I CRIMINALI DI GUERRA
dicembre 2003, Tratto
dai testi di Micol Tummino e Laura De Agazio, ecoinformazioni
La seconda sessione della giornat di sabato 29 novembre, del convegno Azionisti di pace è stata dedicata all'Ex-Jugoslavia dieci anni dopo. Per il Cooridnamento comasco per la Pace ha introdotto i lavori Celeste Grossi, delle Donne in nero, che ha presentato Stasa Zajovic.
Celeste Grossi ha iniziato il suo intervento introduttivo leggendo Io confesso, un documento delle Donne in nero di Belgrado: «Io confesso la mia costante attività contro la guerra, che non ho condiviso i pesanti pestaggi delle persone di diversa etnia e nazionalità, fede, razza, orientamento sessuale, che ero presente all'atto cerimoniale con cui si mettevano i fiori sui carri armati diretti a Vukovar nel 1991 e a Pristina nel 1998, che ho sfamato donne e bambini nei campi profughi, nelle scuole, nelle chiese, nelle mosche e che ho spedito pacchi alle donne e agli uomini nelle cantine di Sarajevo occupata nel 1993, 1994, 1995, che per l'intero periodo di guerra ho attraversato i muri degli etnostati dei Balcani, poiché la solidarietà è la politica che interessa a me, che ho imparato la democrazia come sostegno alle sorelle, amiche, attiviste donne albanesi, donne croate, donne Rom, donne senza Stato, che per prima ho rifiutato i criminali di guerra dello Stato in cui vivo e poi quelli degli altri Stati, perché considero questo un atto politico responsabile e civile, che in ogni stagione dell'anno ho insistito perché si mettesse fine ai massacri, alla distruzione, alla pulizia etnica, all'evacuazione forzata della popolazione, allo stupro, che ho avuto cura degli altri mentre i patrioti si curavano di loro stessi».
«I dopo guerra sono sempre dopoguerra di guerra ha aggiunge alla fine della lettura Grossi - non possiamo dimenticare i conflitti che insanguinano il mondo solo perché i media non li citano».
La parola passa poi a Stasa Zajovic, una Donna in nero di Belgrado, nel 1991, mentre la guerra insanguinava la sua regione ha deciso, con altre donne, di ribellarsi al conflitto, alla mobilitazione armata, che prelevava i giovani dalle loro case e obbligava i militari di leva a continuare nel servizio, voluta dal suo stesso paese. «Ribellarsi» è una parola che ricorre spesso nei discorsi di questa donna che attraversa il mondo cercando di spiegare perché non si può essere a favore di una guerra, perché non vi è nessun dovere patriottico verso uno stato che attacca e uccide e bombarda, perché è indispensabile dire no ai muri del nazionalismo. Ribellarsi significa dichiararsi traditori, disertori. «Questa - afferma Stasa Zajovic - è la cosa più giusta, più utile e anche più patriottica. È necessario smilitarizzare il patriottismo: lo stato chiama i suoi cittadini ad uccidere in nome del paese, ma non offre i figli di chi promuove la guerra, non offre il loro sangue, ma quello di altri uomini; l'unico obiettivo di chi vuole la guerra è il potere». Zajovic prosegue raccontando della sua vita a Belgrado durante la guerra dei Balcani, della propaganda pacifista diffusa tra i giovani e le donne, della rete di protezione offerta ai disertori, nascosti nelle case delle donne. In duecentomila si sono rifiutati, non hanno ucciso.«"Ma - dice la pacifista di Belgrado - non crediate che i rifiuti siano venuti solo da teorie pacifiste e nonviolente. L'opposizione è venuta dal rifiuto del fronte, dalla lotta, dalla disumanità. È venuta da donne straziate nel vedersi sottratti i propri figli». Continuerà a girare per il mondo, per i luoghi di guerra, offrendo consulenza, appoggio emozionale e politico, urlando "Not in my name"
Stasa Zajovic, ha sintetizzato nel poco tempo a sua disposizione e con la difficoltà di esprimersi in fretta in una lingua che, pur parlata perfettamente, non è la propria, idee, paure, sentimenti che sono suoi e di tutti coloro che hanno vissuto l'esperienza della guerra nella ex-Jugoslavia e che temono il ritorno al potere dei partiti nazionalisti.
Zajovic ha affermato: "Il primo posto della scala delle responsabilità di tutto quello che è successo spetta al regime serbo. Il clima politico, morale, emotivo e spirituale che esso ha creato, è rimasto, insieme all'ideologia nazionalista". Due parole continuano a essere proferite dalla relatrice nel corso del suo discorso: "Ho paura", paura della vittoria del partito nazionalista nelle prossime elezioni del 28 dicembre in Serbia, del mascheramento del nazionalismo come partito democratico, paura dell'abbandono della comunità internazionale che tende a fare solo i propri interessi e nascondersi dietro l'idea dello "smantellamento del nazionalismo" che è, però, consistito solo in un cambio di nome, da partito nazionalista a partito democratico. La Donna in nero di Belgrado ha ricordato che il più grande strumento di smembramento della Jugoslavia del regime di Milosevich, causa della guerra e non conseguenza, è stata la pulizia etnica, che ha lasciato un clima "spirituale" che giustifica la guerra. "L'ex-Jugoslavia, e non solo, deve rendersi conto una volta per tutte - ha continuato - che non c'è nessun nazionalismo positivo, anche se lo copri col nome di democrazia, e che non esiste nessun relativismo culturale che può giustificare i crimini di guerra". Se tutti i criminali di guerra di tutte le terre balcaniche non saranno estradati al Tribunale dell'Aja, non potrà esserci nessun processo di pace e non potranno riallacciarsi legami tra i popoli.
Un altro ostacolo è dato dal vittimismo. "Non c'è una nazione nei Balcani - ha riconosciuto Stasa Zajovic - che non tende a definirsi la vittima più grande del conflitto. Questo però non fa altro che giustificare l'odio verso gli altri e impedisce di voltarsi indietro per guardare il passato e riflettere". E poi c'è la grave crisi economica. Dopo la guerra, hanno avuto origine dei nuovi signori, cioè coloro che si sono arricchiti durante il conflitto tramite i saccheggi, riuscendo poi a legalizzare il loro bottino. "Sono i "signori della guerra", - ha specificato Stasa Zajovic - patriottici traditori che non hanno mai versato il proprio sangue, ma hanno sempre offerto quello altrui".
Anche la politica degli aiuti internazionali ufficiali è ostacolo alla Pace stabile. Secondo la relatrice gli unici aiuti validi sono quelli che provengono dalle reti alternative; il più delle volte gli aiuti internazionali si riducono ad azioni mercenarie, con imposizione di progetti e programmi conformi solo a interessi e scopi dei paesi da cui provengono. Stasa Zajovic ha concluso il suo intervento ringraziando tutti gli "azionisti di Pace": "La vostra azione di solidarietà è da noi uno dei pochi appoggi utili, ma soprattutto ci incoraggia il fatto che voi non chiudete gli occhi di fronte al razzismo e al nazionalismo".
La parola è passata a don Renzo Scapolo di Sprofondo, il quale, continuando a nascondersi dietro una granata da lui posta sul banco dei relatori, si è giustificato dicendo "per voi è meglio guardare lei che me". Parole dette scherzando, ma forti se si riesce a entrare nel vero senso di questa affermazione. La discussione è partita con la telefonata di Hayrija Zivoveuc, volontaria a Sarajevo dei Beati i Costruttori di Pace, come Gabriele Moreno Locatelli. Anche Zivoveuc ha avuto una vita drammatica, a causa della guerra ha perso il figlio che portava in grembo. Tra le domande che le sono state rivolte, a quella sulla realtà della ex-Jugoslavia, dieci anni dopo ha risposto, come la Donna in nero di Belgrado, che l'Europa li ha scaricati, dopo tanti impegni e tante promesse.
Don Renzo Scapolo ha ripreso il discorso, cercando di delineare la figura dell'"azionista di Pace". Una figura che non si deve ridurre all'azione di pochi giorni, ma deve essere prolungata nel tempo per essere in grado di smuovere anche altre persone, cercando di coinvolgerle nella propria azione. "La parola azione fa pensare al movimento delle ruote di una macchina - ha asserito don Renzo con una metafora - ma questo non basta. Deve avere anche un motore funzionante, e benzina nel serbatoio, altrimenti prima o poi l'auto si ferma". E così dovrebbe essere l'azione di un costruttore di Pace. Un'azione che non si deve fermare appena partita, ma che deve continuare a svolgersi per poter percorrere chilometri e chilometri. E riferendosi a Gabriele Moreno Locatelli ha ricordato che il costruttore di Pace ucciso a Sarajevo portava pane e acqua, ma non acqua e fucili: "Gabriele probabilmente non ha risolto molto nell'immediato, ma c'era e questo è l'importante, perché per essere dei costruttori di Pace bisogna essere "fisicamente presenti"