FLORA BROVINA CONDANNATA A 12 ANNI DOPO UN PROCESSO FARSA
LE DICHIARAZIONI DELLA DOTTORESSA KOSOVARA AL PROCESSO A NIS


Dicembre 1999, fonte: Stasa Zajovic, Donne in Nero (Belgrado)



Belgrado 14 Dicembre 1999

Si è concluso in Serbia il processo contro la prigioniera politica Flora Brovina, poetessa e medico albanese. Cinquant'anni, fondatrice e leader della "Lega delle Donne Albanesi", la dottoressa kosovara è stata condannata a 12 anni di reclusione con l'accusa di terrorismo per aver fornito, secondo l'unico testimone a suo carico, cibo, vestiti e medicinali all'UCK.
In qualità di pediatra Flora Brovina ha fornito servizi medici ai bambini e alle donne rimaste a Pristina durante i bombardamenti, fino a che è "scomparsa" il 22 aprile scorso, quando poliziotti in borghese serbi l'hanno prelevata dalla sua abitazione. Detenuta, è stata sottoposta al pari degli altri circa duemila prigionieri politici kosovari a regolari maltrattamenti e pestaggi a causa dei quali ha subito tra l'altro due infarti. Il 10 giugno, due giorni prima dell'ingresso della Nato in Kosovo, è stata trasferita dalle truppe serbe in ritirata nel carcere di Pozarevac, in Serbia. Il processo a suo carico si è svolto l'11 novembre a Nis ed è stato seguito con preoccupazione da parte di diverse organizzazioni per i diritti umani, tra cui Human Right Watch (HRW) e Amnesty International che hanno denunciato l'assenza di garanzie di equità e le gravi condizioni di salute della detenuta.

Questa che segue è la dichiarazione che Flora ha pronunciato dopo la sentenza:

"Ho dedicato tutta la mia vita ai bambini e i bambini non scelgono la loro etnia, i bambini non sanno a quale gruppo etnico appartengono se i loro genitori non glielo dicono. Con i miei pazienti, io non ho mai fatto distinzioni in base alla loro etnia, alla loro religione o alle scelte ideologiche dei loro genitori.
Sono fiera di questo e anche se non fossi una donna albanese avrei fatto la stessa cosa. Io sono una delle persone più coinvolte nel lavoro umanitario in Kosovo; ho sacrificato la mia salute per aiutare donne e bambini. Se fossi libera, avrei avuto molto lavoro, aiuterei quelli che stanno soffrendo di più adesso; adesso non sono gli Albanesi che stanno soffrendo di più, adesso tocca agli altri, e io lavorerei con tutte le mie forze per aiutarli, Serbi, Rom.
Il mio dovere è stato consacrare me stessa anche come donna, come medico, come poeta all'emancipazione della donna albanese, alla sua coscientizzazione, ai diritti umani delle donne per aiutarle a lottare per la loro libertà, a capire che senza indipendenza economica non si può riuscire nella vita ne' essere libere. Attraverso la Lega delle Donne Albanesi, ho creato ponti di amicizia nel paese e nel mondo intero. Noi abbiamo collaborato al massimo con le donne serbe. Le donne serbe mi hanno dato il massimo appoggio, forse loro conoscevano meglio i nostri problemi, e loro stesse hanno presentato i nostri problemi meglio. Le donne albanesi del Kosovo non dimenticheranno mai questo.
Mi dispiace molto che la corte abbia sottostimato il ruolo delle donne nel mondo. E' molto importante che le donne godano dell'uguaglianza con gli uomini. Non rinuncerò mai al diritto di lottare per i diritti delle donne. Lotterò sempre per i diritti delle donne. Dal momento che la corte mi ha accusato di avere lottato per la secessione del Kosovo e l'annessione all'Albania, io ripeto: il mio paese è dove sono i miei amici e dove le mie poesie sono lette. Le mie poesie sono lette in Svizzera, India, Brasile, Polonia, in ognuno di questi paesi è come se io fossi nelle loro case. Le mie poesie sono state pubblicate nell'Enciclopedia dei Poeti della Yugoslavia (ex-Yugoslavia) e questo è molto importante per le donne albanesi.
La comunità albanese non si è mai comportata in questo modo con i suoi vicini, donne, bambini. Proprio adesso in Kosovo, essi sono tornati indietro per vendetta, alla fine del ventesimo secolo. Mi dispiace molto di non essere libera, di essere in prigione, di non essere in grado di influenzare di più quello che sta accadendo in Kosovo ora, di non potere tendere la mano, aiutare quelli che sono espulsi, rifugiati. Io credo che le mie compagne lo faranno come se io fossi con loro; io spero che loro lo faranno perché sono donne, spero che loro si comportino nel modo giusto. Farei qualcosa per loro così che possano ritornare nelle loro case, io farei qualcosa in modo che la comunità serba e quella albanese si riconcilino. Gli intellettuali del Kosovo dovrebbero dare il loro contributo alla riconciliazione, anche altre comunità hanno lottato, hanno fatto persino guerre più lunghe tra di loro e adesso si sono riconciliati."

Una esponente delle Donne in Nero di Belgrado, Stasa Zajovic, presente in tribunale al momento della sentenza, ha inviato questa testimonianza:

"Flora ha lasciato il tribunale camminando lentamente; la polizia ha mostrato con parole aspre e arroganti alla famiglia e agli amici di Flora che non era loro consentito avere alcun contatto con lei. Le due sorelle di Flora che venivano dal Kosovo, la poetessa Radmila Lazic ed io, abbiamo seguito Flora fino alla macchina della polizia. Per un momento, siamo riuscite a mettere le palme delle nostre mani sul finestrino della macchina della polizia. Allora un poliziotto ha detto con voce insolente "E' in buone mani...". Due poliziotti erano seduti nei posti anteriori del veicolo. Di fronte ai miei occhi sono sfilate le donne prigioniere: Leyla Zana, curda, detenuta in Turchia; Rigoberta Menchu, Aung Suun KI .... Abbiamo fatto un cenno di saluto a Flora fino a che la macchina non se ne è andata, mentre potevamo vederla. Ero in uno stato di "vergogna nera", come disse Ana Ahmatova, perché ognuna di noi poteva essere stata al suo posto."