BAGNO DI SANGUE IN ALGERIA
LETTERA APERTA AL GOVERNO FRANCESE, DA FIRMARE ENTRO IL 31 MARZO VIA E-MAIL


marzo 2001, appello pubblicato su Le Monde. Noi lo riceviamo da donne algerine che aderiscono alla Marcia Mondiale delle Donne. Traduzione di Lucia Bisetti.

 


La visita in Algeria del capo della diplomazia francese il 13 febbraio 2001, pur riguardando senza dubbio solo questioni di ordine internazionale, non può che assumere un significato particolare nel contesto attuale. Questo viaggio, che segue di poco quello di altri due ministri francesi ­ la segretaria di Stato (il nostro sottosegretario, ndt) al Turismo e il ministro dell'Interno - suscita numerosi interrogativi.
L'Algeria è da nove anni teatro di una guerra spaventosa e di violazioni generalizzate dei diritti umani; migliaia di persone sono state rapite e considerate disperse; la tortura è praticata in modo sistematico dalle forze dell'ordine; massacri a grande scala ufficialmente attribuiti ai gruppi armati islamici sono perpetrati contro le popolazioni civili. Questa guerra avrebbe già fatto 200 000 morti e, secondo la fonte, si contano, da 10 000 a 20 000 desaparecidos. Circa mezzo milione di persone sono fuggite dal paese e, all'interno, l'esodo massiccio provocato dall'insicurezza e le deportazioni sono ancora più pesanti. Numerose testimonianze hanno permesso di stabilire che una gran parte di queste violazioni è stata compiuta dalle forze dell'ordine.
Peraltro, le popolazioni civili non sono per nulla protette, i responsabili di questi crimini non sono perseguiti e nessuna inchiesta giudiziaria seria è mai stata intrapresa.
Sempre più elementi accreditano l1ipotesi di un coinvolgimento ai più alti livelli delle autorità nel massacri e nelle sparizioni forzate. Due libri, pubblicati nell'ottobre 2000 e nel febbraio 2001, rendono conto di gravi accuse al comando dell'esercito. Il primo, "Chi ha ucciso a Bentalha?", il cui autore è un sopravvissuto a una delle più mostruose carneficine dell'estate del 1997, dettaglia le circostanze di questa strage. Malgrado la presenza nelle vicinanze di unità dell1esercito, esse non sono intervenute per neutralizzare gli assalitori e proteggere la popolazione. Numerosi indizi mostrano che questo massacro non è stato compiuto senza il concorso attivo di una parte delle forze di sicurezza.
Nella seconda testimonianza, quella di Habib Souaïdia, si portano questa volta prove dirette e precise di tale complicità. Questo anziano ufficiale delle forze speciali, impegnato dal 1992 al 1995 nella lotta antiterrorismo, descrive nel suo libro, "La sporca guerra", i metodi impiegati dall'esercito in quel che si rivela essere un'autentica strategia del terrore; retate, rastrellamenti, torture, esecuzioni sommarie di presunti estremisti islamici, vedi semplici civili, massacri di contadini attribuiti in seguito ai gruppi armati.
Con queste testimonianze, l'ipotesi di un1implicazione degli alti comandi militari in questi crimini contro l'umanità e nel mantenimento del terrore islamico è sufficientemente comprovata, per cui l'esigenza di una commissione d'inchiesta internazionale, respinta per anni dalla comunità internazionale, appare indiscutibile. È infatti quanto meno pretestuoso negare fatti riconosciuti da tante testimonianze, con il pretesto che non c'è prova giuridica. Come fornire, in effetti, delle prove in assenza di un'inchiesta attendibile? E come condurre un'inchiesta idipendente e imparziale in uno Stato di non-diritto? Da questo punto di vista, il caso algerino non ha nulla di specifico, ed è possibile applicarvi gli stessi principi di diritto internazionale impiegati contro altre dittature di questo tipo (Cile, Argentina, Salvador, Guatemala, Serbia ecc.).
Come in questi paesi, anche in Algeria la democrazia e lo Stato di diritto non saranno possibili se non si giunge a una soluzione politica del conflitto, attraverso un dialogo condotto con regole chiaramente stabilite, non escludendo alcuna delle correnti politiche che bandiscono la violenza. I differenti passi compiuti dal potere algerino, di cui l'ultimo in ordine di tempo è la "concordia civile", invece di rispondere a questa esigenza hanno aggiunto confusione e opacità, mantenuto tensioni e violenza e consacrato l'impunità.
Di fronte a questa situazione di estrema gravità, le normali condanne epidermiche della violenza e le dichiarazioni di ordine generale sul rispetto dei diritti umani non bastano. Non è più possibile, oggi, accontentarsi di "pressioni diplomatiche morbide", occorre arrestare imperativamente il bagno di sangue. E per questo ottenere la condanna penale dei responsabili, chiunque essi siano.
Il governo francese non ha troppo a lungo sostenuto la politica algerina, che
sotto il pretesto della lotta antiterrorista, altro non fa che sradicare, sia politicamente sia fisicamente, tutte le opposizioni, traducendosi, nei fatti, nello sterminio delle popolazioni civili? La Francia ha svolto un ruolo decisivo nalla creazione di una macchina da guerra in Algeria: non soltanto si è impegnata nel 1994, al momento delle trattative sul debito estero, affinché quest'ultimo sia ridotto e scaglionato (particolarmente a livello di club di Parigi, di Roma e di FMI) permettendo così, in assenza di condizioni politiche, di finanziare la "guerra totale"; ma essa ha anche fornito armi sofisticate all'Algeria e ha addestrato sia gruppi di ufficiali alle tecniche della guerra elettronica, sia truppe scelte per interventi rapidi, le stesse che sarebbero
implicate, secondo Habib Souaïdia, nei massacri e nelle esecuzioni più terribili.
Peraltro, la firma nel gennaio scorso tra Unione Europea e Algeria di una convenzione relativa alla lotta antiterrorista, prima ancora di negoziare un accordo vincolante al rispetto dei diritti umani e alla promozione dei principi democratici, dimostra come l'Algeria continui a beneficiare di un trattamento speciale in contraddizione con i principi della Dichiarazione di Barcellona.
Mentre in Francia, durante la guerra di liberazione algerina, si era finalmente innescato nell'opinione pubblica un ampio dibattito sulla tortura sistematica,
individuando la responsabilità delle più alte sfere politiche francesi dell'epoca che l'avevano coperta come una misura per "ristabilire l'ordine pubblico", oggi questa stessa classe politica avvalora le più gravi violazioni dei diritti umani in terra algerina.
Fino ad oggi, l'amministrazione e la diplomazia francesi hanno svolto un ruolo attivo e impegnato per impedire ogni condanna dell'Algeria e evitare l'invio di osservatori speciali. Siamo alla vigilia dell'apertura della prossima sessione della commissione dei diritti dell'uomo alle Nazioni Unite. Considerata l'ampiezza e la gravità dei fatti, l'Algeria dovrebbe non soltanto essere severamente condannata, ma dovrebbero inderogabilmente esservi inviati degli osservatori dell'ONU sui diritti umani. I due libri pubblicati citati non sono che uno degli elementi di un pesante dossier, ampiamente documentato da rapporti e testimonianze gravissime accumulate da anni. Per non citare che alcuni dei fatti che riguardano direttamente l'Unione Europea, l'implicazione dei servizi algerini è sufficientemente evidenziata da numerose testimonianze e analisi (rapimenti di funzionari del consolato francese ad Algeri, assassinio dei monaci di Tibehirine, di sette marinai italiani, di Mgr Claverie;
rivelazioni della giustizia britannica sull'implicazione dei servizi algerini nelle azioni terroristiche in Europa; processi controversi in Francia di presunti terroristi islamici, ecc.) perché non ci si interroghi sul silenzio e sulla passività delle autorità degli Stati membri.
Il viaggio del ministro degli Esteri francese alla vigilia della sessione della commissione dei diritti dell'uomo rischia di servire ancora una volta a coprire un regime colpevole dei più gravi crimini, a soffocare gli sforzi di tutti coloro che si battono perché la verità infine emerga e pace e giustizia siano ristabilite in Algeria. Nel momento stesso in cui le autorità algerine gridano all'ingerenza quando si tratta di domandare loro il rispetto dei loro impegni in materia di rispetto dei diritti dell'uomo, non esitano a utilizzare l'aiuto e il sostegno dei loro partner stranieri per imporre la loro politica di sradicamento e di negazione del diritto.
Noi ci rivolgiamo con fermezza al governo francese per fargli sapere che siamo
numerosi in Algeria, in Francia e in Europa a renderci conto che la sua politica algerina non ha più niente a che fare con le relazioni ordinarie tra due stati ma si configura come un'effettiva complicità con gli autori di crimini contro l'umanità.
Questa petizione sarà inviata a fine marzo 2001 al comitato dei diritti dell'uomo dell'ONU per sostenere la domanda di una commissione d'inchiesta.
Questo testo deve quindi avere la massima diffusione; inviate le vostre firme a Algeria-watch.