FORO INTERNAZIONALE DELLE DONNE INDIGENE LA SITUAZIONE A CINQUE ANNI DALL'INCONTRO DI BEIJING
RESOCONTO DI VICTORIA TAULI-COURPUZ


giugno 2000, a cura del Comitato Intenazionalista Arco Iris

 

Con la partecipazione di 60 delegate di 17 paesi di tutto il mondo, dall'1al 2 giugno si è realizzato a New York il Foro Internazionale delle Donne Indigene, dove sono confluite le reti regionali di Africa, Asia, della zonaartica, dell'Unione Continentale delle Donne Indigene delle Americhe (Enlace Continental de Mujeres Indígenas de las Américas), oltre adorganizzazioni degli Stati Uniti, del Canada e dell'Australia.

Realizzatosi in attesa della sessione speciale delle Nazioni Unite pervalutare la situazione specifica delle donne dopo la Conferenza sulla Donnache ebbe luogo a Beijing, il Foro ha permesso alle donne indigene didefinire il proprio bilancio, la cui sintesi vi presentiamo a continuazione.

Tra le principali preoccupazioni delle donne indigene figurano laglobalizzazione e la crescente povertà. La liberalizzazione del commercioha determinato il "dumping" dei prodotti agricoli importati, altamente sussidiati, dai paesi ricchi. Questi competono con le coltivazioni locali
che sono state sviluppate e curate dalle donne indigene. Le formesostenibili di sussistenza per gli indigeni, per i piccoli coltivatori eper le piccole imprese si trovano erose o distrutte. In Perú, dove è natala patata, gli indigeni stanno lasciando che le patate, che coltivano per il mercato, marciscano nelle proprie terre, quando non le utilizzano perlanciarle contro il presidente Fujimori durante le loro manifestazioni. Il "dumping" delle patate più a buon mercato, o di quelle già pelate o di quelle pronte per essere fritte, importate dagli Stati Uniti e dal Canada, così come il riso dall'Asia, pongono in grave svantaggio le patate locali.

Gli Igorots, nella regione della cordigliera delle Filippine, non coltivavano tradizionalmente patate. Ciò nonostante, quando gli americani colonizzarono le Filippine agli inizi del XX secolo, introdussero questa coltivazione e facilitarono il ricambio della produzione di sussistenza con le coltivazioni per il mercato.

Per più di trent'anni, le coltivazioni delle patate permisero quindi la sussistenza di decine di migliaia di agricoltori indigeni. Con l'ingresso nel paese delle stesse patate già lavorate, circa 50.000 agricoltori hanno perso il loro unico mezzo di sussistenza.

In Messico esiste un caso simile per il granoturco, coltivazione tradizionale dei popoli indigeni. La liberalizzazione delle importazioni, promossa sotto il Trattato del Libero Commercio del Nord America (TLC) e rafforzata dall'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), si è tradotta nel "dumping" verso il Messico di granoturco a buon mercato proveniente dagli Stati Uniti.

Con il suo ingresso nel TLC, nel 1994, il Messico si è impegnato a smettere di fornire sussidi alla produzione del granoturco e ad abbandonare le restrizioni alle importazioni agricole.

Nell'arco di un anno, la sua produzione domestica di granoturco e di altri cereali si è ridotta del 50%. Per conseguenza si sono prodotti milioni di espedienti per la sussistenza, a livello locale.

Questo ha determinato un'accelerazione dell'esodo dei messicani verso gli Stati Uniti, messicani che mettono così a rischio le loro stesse vite. Si è verificato, così che due donne del Chiapas sono morte alla frontiera con gli Stati Uniti, alcuni giorni prima di questo Foro.

Così, la promessa che la liberalizzazione del commercio avrebbe portato la crescita economica e fatto diminuire la povertà, non si è concretizzata per molte comunità indigene.

La povertà e l'esclusione sono peggiorate. Il peso del debito estero dei paesi in via di sviluppo, che ha obbligati questi stessi paesi a sottoporsi ai programmi di aggiustamento strutturale della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, ha peggiorato la situazione di povertà.

Si stanno cedendo i servizi sociali di base al settore privato, cosa che li rende ancora più inaccessibili alle donne indigene. La privatizzazione dei profitti e dei servizi fondamentali, come quello dell'acqua in Bolivia, dell'energia elettrica nelle Filippine, ecc.. scatenano proteste di massa da parte dei popoli indigeni, così come dei contadini e dei lavoratori.

Per colmo, il sistema internazionale dei mercati sotto la conduzione della OMC spinge i paesi a sviluppare l'Accordo sugli Aspetti Relazionati al Commercio dei Diritti di Proprietà Intellettuali (TRIPS). Si tratta del regime internazionale che legittima la pirateria delle conoscenze dei popoli indigeni sull'agicoltura, sulla salute e sulla conservazione della biodiversità. Anzi, di più, questo regime legittima le patenti sulla vita che per i popoli indigeni sono la peggior forma di mercificazione e svalutazione della vita. La raccolta e la "patentazione" del materiale genetico dei popoli indigeni, dalle tradizionali piante sacre e medicinali (ayahuasa, kava, zucca amara) agli alimenti (quinoa), sono alcuni esempi del nuovo biocolonialismo e della biopirateria.

Razzismo e Discriminazione

Altri problemi che sono stati sottolineati includono la violenza contro le donne indigene e lo sviluppo del numero di donne e bambine indigene di India, Tailandia, Nepal e Filippine, che sono vittime delle reti del traffico sessuale.

La liberalizzazione degli investimenti nel settore dei servizi ha significato l'ingresso di agenzie straniere di turismo e di viaggi. Tali agenzie promuovono aggressivamente il turismo e attirando i turisti con l'esotismo delle donne e delle culture indigene.

La liberalizzazione degli investimenti ha significato anche uno sviluppo delle incursioni delle imprese minerarie e del petrolio nei territori indigeni. I conflitti sul controllo e sull'utilizzo delle risorse primarie che si trovano nelle terre e nelle acque indigene si aggravano giorno dopo
giorno.

I popoli indigeni vengono cacciati dalle proprie terre o segregati in accampamenti all'interno delle stesse o sono spinti ad attraversare le frontiere artificiali, apparse con la creazione degli stati-nazione.

I conflitti armati e non armati sono aumentati, sia in Africa, che in Asia, che in Centro e Sud America. I popoli indigeni si trovano coinvolti in conflitti ed in guerre occasionati da altri. Un numero crescente di popoli indigeni si è rifugiato alle frontiere. La resistenza dei popoli indigeni
contro l'espropriazione delle proprie terre e risorse, contro la privatizzazione dell'acqua in Bolivia, per esempio, o contro la dollarizzazione dell'economia in Ecuador, è interpretato dai rispettivi
governi come un atto di ostilità ed una minaccia alla sicurezza nazionale.
La risposta comune è la militarizzazione crescente, che conduce a peggiori violazioni dei diritti umani, soprattutto per le donne indigene.

In altri casi, le Nazioni ed i Popoli Indigeni del Canada, degli Stati Uniti e dell'Australia hanno portato in giudizio le corporazioni ed anche le stesse agenzie governative. Questi casi includono il deposito dei rifiuti tossici o nucleari nei territori indigeni, l'inquinamento delle acque e delle terre da parte delle imprese d'estrazione mineraria e petrolifere, la deforestazione degli ultimi boschi e terreni di caccia che rimangono, e la distruzione causata dalla costruzione di strade e grandi dighe.

Le donne indigene, anche quelle di paesi ricchi come Canada, Stati Uniti e Australia, hanno notato poi una crescente povertà e problemi di salute.

Nonostante che il Canada risulti come il primo paese nell'indice di Sviluppo Umano delle Nazioni Unite, la crescente povertà tra i nativi canadesi non risulta rispecchiata in tale indice. Tra di loro si rilevano, infatti, i più alti tassi di mortalità infantile e materna; l'incidenza dell'HIV/AIDS è più alta che nel resto della popolazione; allo stesso modo che per i Popoli Aborigeni dell'Australia, ci sono poi proporzionalmente più indigeni nelle carceri, rispetto agli altri gruppi della popolazione.

Tutti questi sono sintomi dei problemi strutturali del razzismo e della discriminazione, della mancanza di riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni all'autodeterminazione ed al proprio controllo sulle terre e sulle risorse.

Queste sono anche le conseguenze della crescente monopolizzazione della ricchezza e del potere nelle mani di, ogni volta, meno paesi, corporazioni e miliardari.

Il governo globale, ogni voltà di più, si trova nelle mani di istituzioni, come sono la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l'Organizzazione Mondiale del Commercio e il Gruppo dei G8, che non sono trasparenti e non rispondono davanti ai cittadini.

Victoria Tauli-Corpuz, Coordinatrice della Rete delle Donne Indigene Asiatiche
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