A CHI VANNO GLI AIUTI DEL GOVERNO ITALIANO DESTINATI ALL'AFGHANISTAN?
LETTERA ALLA RAI IN SEGUITO AL SERVIZIO TRASMESSO DAL TG1 SABATO 8 MAGGIO


maggio 2004, del Coordinamento Italiano Sostegno Rawa

 

Spettabile redazione RAI,
il giorno Sabato 8 maggio è stata trasmessa durante il TG1 delle 13:30 un'intervista ad Ismail Khan, Governatore della provincia di Herat, nell'ovest dell'Afghanistan. Khan, che è stato presentato come "un esponente della resistenza afghana contro i sovietici", ha affermato nell'intervista di "costruire infrastrutture", soprattutto per le "donne, che erano oppresse sotto il regime dei talebani". L'intervista è stata seguita da una dichiarazione di Margherita Boniver, che ha espresso l'impegno del nostro governo a sostegno della ripresa democratica in Afghanistan.
Purtroppo il servizio ha mancato di precisare che la provincia di Herat, uno dei principali centri storici e culturali dell'Afghanistan, gode di un triste primato: la più alta percentuale di suicidi ed autoimmolazioni. Ovvero un numero sempre crescente di ragazze e donne cerca nella morte la fuga alle privazioni cui è sottoposta.
Herat è uno dei baluardi del fondamentalismo che ancora resistono in Afghanistan, in questa provincia sono state reistituite proprio dal governatore, lo stesso che è stato presentato da questa televisione come un democratico, alcune delle norme che vigevano sotto i talebani.
Le donne non sono libere di esercitare una professione, di uscire di casa se non accompagnate da un parente stretto di sesso maschile. Coloro che vengono sorprese in compagnia di un uomo che non sia loro parente, sono costrette a subire una visita ginecologica che attesti che non abbiano avuto rapporti sessuali di recente.
A settembre è stata riabilitata dal governo Karzai una vecchia legge del 1970 che proibisce alle donne sposate di studiare. Tale legge è stata applicata alla lettera e molte ragazze sono state espulse dalle scuole superiore in alcune province afghane (The Guardian, 29 novembre 2003). Rafiq Shahir, capo del Consiglio di Herat, ha riportato in una intervista (AFP, 10 marzo 2004): "non c'è libertà di parola ad Herat".
Siamo in grado di presentare adeguata documentazione di quanto affermato, oltre a testimonianze, nonché filmati e fotografie del quartiere che Ismail Khan sta costruendo per la sua famiglia. Siamo seriamente preoccupati per gli aiuti che questo governo intende fornire all'Afghanistan perché cadrebbero nelle mani sbagliate. Esistono ministri democratici in Afghanistan, che sarebbero molto contenti di essere intervistati e di esporre il loro programma e punto di vista. Ci chiediamo perché proprio uno dei più fondamentalisti abbia riscosso un tale interesse dalla nostra televisione e dal nostro Ministero degli Esteri.
In un periodo in cui si parla tanto di lotta al terrorismo e in cui ne viene evidenziata la matrice islamica e fondamentalista, riteniamo vitale l'uso corretto dell'informazione.
Appoggiare persone come Khan significa appoggiare il fondamentalismo più radicato. Se è vero che Khan è stato un militante nella resistenza contro i sovietici, è anche vero e documentato che, tra il 1992 e il 1996, insieme ad altri "rappresentanti della resistenza", si è macchiato di orrendi crimini contro l'umanità.
E adesso, insieme a questi altri fondamentalisti, Khan detiene una posizione di rilievo nello scenario politico afghano. Sarebbe un errore irreparabile sostenere economicamente personaggi del genere, ma è ancora più grave fornire all'opinione pubblica un'immagine dell'Afghanistan distorta e lontana dalla realtà.
Alleghiamo traduzione di articoli riportati dalla stampa internazionale, in cui viene denunciata la situazione attuale nella provincia di Herat.

Distinti saluti
Coordinamento Italiano Sostegno R.A.W.A.

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Da: The Guardian, 12 febbraio 2004, Mariam Rawi

"Nella provincia di Herat, il signore della guerra Ismail Khan impone decreti di stampo talebano. Molte donne non hanno alcun accesso all'istruzione e hanno il divieto di lavorare in ONG straniere o in uffici delle Nazioni Unite, o in uffici pubblici. Le donne non possono prendere un taxi o circolare a piedi a meno che non siano accompagnate da un parente stretto di sesso maschile. Se colte in compagnia di un uomo, possono essere arrestate dalla "polizia speciale" e sottoposte ad una visita medica per verificare che non abbiano avuto recentemente rapporti sessuali. A causa della continuativa oppressione, ogni mese molte ragazze si suicidano, molte più che durante il periodo del dominio talebano."

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Da "Gulf news", 23 settembre 2003, di Linda S. Heard

Nella provincia di Herat, sotto il controllo del signore della guerra Ismail Khan, le donne non possono neanche accompagnare i figli maschi a scuola, essendo loro proibito guidare. Se trovate a viaggiare con un uomo che non sia un parente, possono addirittura essere arrestate e sottoposte all'umiliante 'esame di castità'

 

 

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Da AFP , 10 marzo 2004, di Madeleine Coorey

Le donne non possono lavorare, le ragazze non possono frequentare uomini che non siano parenti stretti, gli uomini impiegati in uffici pubblici devono portare la barba e non possono indossare la cravatta. Sono solo alcune delle restrizioni imposte nella città occidentale di Herat.

Herat, una delle più floride province dell'Afghanistan, storico centro culturale, amministrata da Ismail Khan, noto signore della guerra, è tornata allo stato retrogrado imposto dai talebani.

Secondo quanto riferisce Abdul Azeem Akeed, dell'ufficio della Commissione Afghana per i Diritti Umani ad Herat, "Ad Herat l'atmosfera è più chiusa e restrittiva rispetto a Kabul. Chiunque osi parlare contro l'amministrazione rischia di essere arrestato, minacciato, rischia la propria vita".

Herat che, insieme a Jalalabad ad est e Mazar-i-Sharif al nord, è una delle città più progressiste, con la sua popolazione istruita e la classe professionale, è considerata un caso campione per i progressi dei diritti in Afghanistan, uscito da più di due decenni di conflitti.

Akeed ha detto che, nonostante il temuto Dipartimento per il Controllo delle Virtù e dei Vizi, istituito dai talebani, non esista più, "la gente se ne serve per rafforzare le leggi" e, come aggiunge, i matrimoni forzati sono sempre più diffusi.

I negozi di abbigliamento hanno il divieto di mostrare il viso dei manichini, le donne non possono lavorare e persino bambine di tre anni sono obbligate a coprire il capo.

"Gli uomini che lavorano per il governo, che siano militari o no, devono portare la barba. Indossare una cravatta è considerato peccato, perché tipicamente cristiano", dice, aggiungendo che queste regole non rappresentano certo il desiderio del popolo, ma quello di Ismail Khan, che ha fatto molto per ricostruire Herat e incoraggiare lo sviluppo economico nella provincia.

"Ismail Khan dice che è il volere del popolo, ma non è così.

"Subito dopo la caduta dei talebani la gente ha iniziato ad indossare la cravatta e molti uomini nell'esercito hanno iniziato a radersi. Sono stati puniti. Da allora la gente ha paura"

In un'intervista con AFP la scorsa settimana, Khan ha negato che ci fosse alcuna intimidazione, affermando che "ad Herat esiste anche opposizione".

Il governatore, che era stato imprigionato dai talebani e, dopo essere fuggito, aveva combattuto contro di loro, sostiene che la stampa esagera riguardo la situazione della provincia.

Akeed riferisce che le donne hanno paura di essere attaccate se non indossano il burqa.

Lo scorso lunedì, una giovane donna è stata arrestata dalla polizia di Herat perché se ne stava seduta in macchina con un uomo. Il capo della polizia, Haji Gul, ha riferito che la coppia, che era stata sorpresa nei pressi della casa del governatore, è stata rilasciata subito dopo.

Secondo Rafiq Shahir, capo del Consiglio di Herat, "Non c'è libertà di parola ad Herat. A Kabul c'è maggior libertà, la gente gode di maggiori diritti".

Shahir riferisce che recentemente una festa di matrimonio è stata interrotta dalla polizia, che aveva sentito la musica. "Dopo quell'incidente la gente evita di organizzare feste o lo fa segretamente".

Gli uomini di affari confermano che il loro lavoro viene continuamente controllato dal governo provinciale.

Un negoziante ha riferito che il suo negozio è stato chiuso per molti giorni perché vi lavoravano delle donne, che vendevano cosmetici ed indumenti femminili. In realtà le donne lavoravano in una zona del negozio accessibile solo ad altre donne, ma per ordine di Ismail Khan il negozio è stato chiuso. Un funzionario è andato direttamente nel settore riservato alle donne, ha tirato le tende e ha intimato loro di andarsene, poiché non avevano il diritto di lavorare lì. Quando si è lamentato col governatore, gli è stato risposto che non c'erano problemi se delle donne lavorano con altre donne ed il negozio è stato riaperto. Quello che è certo è che non ha più assunto delle donne.

Un altro negoziante ha riferito ad AFP di essere stato minacciato molte volte perché teneva in vetrina dei manichini femminili. Ha detto anche che precedentemente nella sua fabbrica lavoravano delle sarte, ma che è stato costretto a mandarle via a causa del divieto.

"Le donne possono mendicare per strada, ma non lavorare"