DONNE DETENUTE


settembre 2004, di G.G. e A.F.

 

 

Le persone private della libertà e legalmente detenute in Afghanistan risultano essere circa 3700, di cui 1500 in relazione ai conflitti armati.
Dal giugno 2003 è il Ministro della Giustizia che dovrebbe occuparsene, ma fino ad oggi la situazione rimane molto confusa. Non ci sono dati ufficiali sull'esatto numero ed ubicazione delle carceri e sui detenuti. Ciò è dovuto principalmente al fatto che i soggetti che hanno facoltà di arrestare e mantenere in prigione sono molteplici e spesso sfuggono al controllo del potere centrale: polizia, direzione antiterrorismo, direzione per la sicurezza nazionale, intelligence, esercito, e così via, e infine i diversi comandanti militari che effettuano "detenzioni private", come hanno sempre fatto da vent'anni a questa parte.
Questi ultimi luoghi di prigionia, ben noti e temuti dalla gente comune, non compaiono nei registri ufficiali e sono ovviamente i più inquietanti.
Le donne legalmente detenute in Afghanistan risultano essere un numero assai esiguo: circa 200.
Si trovano a Kabul nel carcere femminile Nezarat Khane (da 30 a 50 donne), ad Herat nella Central Prison (oltre 60), e in diverse prigioni delle provincie dove esiste una sezione femminile, con personale penitenziario femminile. In assenza di guardie donne, le prigioniere vengono trasferite in una sede con questo requisito e non risulta passino mai la notte in posti di polizia privi di personale di custodia femminile.
Grazie a una maggiore attenzione dei media e alla presenza di ONG straniere e altre istituzioni internazionali che visitano sistematicamente le detenute, almeno nelle due città sopra menzionate, e controllano le procedure e il rispetto degli standard minimi stabiliti dalle Nazioni Unite per il trattamento dei prigionieri, le condizioni di detenzione sono migliorate nell'ultimo anno.
Le detenute godono di garanzie giuridiche quali ad esempio essere messe al corrente dei capi di imputazione ed essere sottoposte a un regolare processo.
E' stato possibile far intervenire avvocati della difesa - una figura professionale praticamente assente nel panorama giudiziario afghano - e ottenere l'assoluzione e il rilascio in oltre metà dei casi seguiti dall'apposito team addestrato da un'equipe di una ONG tedesca, Medica Mondiale, in collaborazione con altre organizzazioni. Precisamente, sono stati addestrati 15 avvocati, di cui cinque rimangono in forza nell'equipe di difesa, e hanno ottenuto la liberazione di 40 donne su 67 casi seguiti in otto mesi.
I tempi di attesa per la sentenza sono diventati brevi: spesso inferiori ad un mese. Alla prima sentenza è possibile ricorrere, ne segue una seconda e infine la corte d'appello commina la pena definitiva. In qualche caso, per il reato di omicidio, viene inflitta la pena di morte.
I crimini di cui vengono accusate le donne sono principalmente "offese alla morale": matrimonio illegale, fuga con innamorato, rifiuto di sposare il marito deciso dai genitori, rottura del contratto di fidanzamento, tentato suicidio (di norma dandosi fuoco) principalmente per sottrarsi a un matrimonio indesiderato o alla violenza domestica, prostituzione, o infine stupro. Essere stata vittima di uno stupro è infatti considerata una vergogna colpevole, una grave offesa all'onore, e la vittima rischia di venire uccisa dai propri stessi familiari anche al termine della detenzione.
La detenzione è spesso connessa con una gravidanza, e in ogni caso molto frequentemente le donne vengono imprigionate insieme ai loro figli più piccoli, fino all'età di circa sette anni. Nessun carcere è dotato di strutture minime adeguate alla permanenza di bambini piccoli. La principale carenza riguarda l'alimentazione, che potrebbe essere sufficiente per una persona adulta in condizioni normali, ma non tiene conto delle esigenze dei piccoli ed è insufficiente ed inadeguata per le madri che allattano. Ciò può comportare gravi conseguenze sulla salute della madre e del lattante e sullo sviluppo psicofisico di ques'ultimo. Inoltre manca ogni stimolo intellettivo per lo sviluppo in età evolutiva. In considerazione di ciò, la Croce Rossa Internazionale (ICRC) si preoccupa di fornire giocattoli, insieme ad altri beni essenziali per le donne detenute quali assorbenti e prodotti igienici e sanitari non presi neanche in considerazione dalle amministrazioni penitenziarie.
E' carente anche l'assistenza sanitaria: i medici disponibili nelle carceri sono pochissimi e quasi mai sono donne, per cui le detenute di fatto non godono di alcun servizio sanitario, dal momento che non possono essere visitate da uomini.
L'ICRC ha inoltre la possibilità di realizzare colloqui individuali con le detenute in privato, per accertare le reali condizioni di detenzione. Questi colloqui vengono realizzati periodicamente in modo sistematico, e sono un deterrente contro eventuali abusi e un utile strumento di controllo. Non va però dimenticato che l'ICRC ha l'obbligo di mantenere strettamente riservate tutte le informazioni di cui entra in possesso e può denunciarle secondo un apposito protocollo solo alle autorità competenti, che possono tenerne conto o meno. Ciò che è accaduto recentemente nelle carceri irachene insegna.
L'ICRC offre a tutti i detenuti, uomini e donne, la possibilità di inviare messaggi alla propria famiglia, una questione particolarmente delicata, come abbiamo visto, nel caso delle donne incriminate. Il programma di aiuto legale di Medica Mondiale prevede il supporto di mediatori comunitari e di psicologi per preparare il rientro a casa delle prigioniere nelle situazioni a rischio.
Un altro dato allarmante è l'età delle stesse detenute. Ad esempio, nella prigione femminile di Kabul, tra settembre e dicembre del 2003, su 32 prigioniere, dieci (il 60%) erano ragazze al di sotto dei 16 anni. Risultavano tutte sposate, e l'età in cui avevano contratto il matrimonio partiva dai 12 anni. In Afghanistan la legge civile prescrive per la donna l'età minima di 16 anni per sposarsi, ma consente il matrimonio a 15 anni se il padre della sposa stabilisce così (Codice Civile, articoli 40, 70 e 71). Questi limiti legali sono largamente ignorati non solo dalla popolazione analfabeta ma anche presso le classi colte e persino dagli stessi responsabili istituzionali, a causa della confusione prodotta dai diversi sistemi legislativi in vigore e dalle diverse scuole coraniche, nonché dalle leggi consuetudinarie.
I crimini delle ragazze sono quasi sempre connessi al matrimonio imposto in età infantile. Anche gli omicidi di norma sono una reazione alla violenza sistematica inflitta dal marito o dalla famiglia di lui - alla quale la bambina viene venduta in cambio del "prezzo della sposa" - e contro la quale non ci sono altre vie di fuga.
Riportiamo un esempio tipico studiato dall'equipe di avvocati cui accennavamo sopra.
"Quando Z aveva 10 anni i suoi genitori l'hanno venduta in matrimonio, al prezzo di 60.000 afghani, a un uomo di 50 anni, che era sordo e muto. La bambina è stata violentata dal marito la notte delle nozze. Durante l'anno seguente, la bambina è fuggita e si è rifugiata nella casa paterna 7 o 8 volte, ma ogni volta suo padre la picchiava e la legava in catene, finché il marito tornava a riprendersela.
Infine, lei è fuggita in città dove ha incontrato una donna gentile che si è presa cura di lei. Tempo dopo, la ragazzina ha conosciuto un parente della donna, si sono fidanzati e infine si sono sposati. Sono rimasti felicemente sposati per sei mesi, e Z è rimasta incinta. A quel punto Z ha raccontato al suo secondo marito la sua vera storia..
Il secondo marito andò a conoscere i suoi genitori, raccontò loro cosa fosse accaduto alla figlia dopo la fuga e del loro felice matrimonio. Li invitò ad andarli a trovare, ma invece loro li denunciarono alla polizia e li fecero arrestare per matrimonio illegale.
L'avvocato della difesa è riuscito a risolvere il caso dimostrando che il primo matrimonio di Z, all'età di 10 anni, era illegale, e che il suo secondo matrimonio, volontario e in un'età consentita dalla legge, era al contrario legale e legittimo."
Gli strumenti legislativi a difesa delle bambine e delle donne, detenute e no, sono però estremamente carenti.
La nuova Costituzione stabilisce al Capitolo 2, "Fondamenteli diritti e doveri dei cittadini", art. 22: " I cittadini afghani - sia uomini che donne - hanno uguali diritti e doveri di fronte alla legge".
Ma questa, come numerose altre rassicuranti affermazioni di principio, diventa una norma sibillina e inapplicabile quando si considera che tutto il testo costituzionale viene esplicitamente sottoposto alla "sacra religione dell'Islam", e si sottolinea che "Nessuna legge può essere contraria al credo e alle disposizioni della sacra religione dell'Islam" (si veda il capitolo 1, art. 1, 2, 3).
Per ogni questione, si rimanda alla legislazione ordinaria: "except by the provision of law" è la formula che serve a vanificare qualsiasi principio di diritto appena affermato. Possiamo verificarlo ad esempio a proposito della pena di morte: al cap 2, art. 23, si afferma che "La vita è un dono di Dio e un diritto naturale di ogni essere umano. Nessuno può essere privato di questo diritto, eccetto nei casi previsti dalla legge". Di fatto ci risultano due condanne a morte di donne negli ultimi mesi.
Ma quali sono le leggi ordinarie a cui si fa riferimento?
Come dicevamo sopra, esiste un Diritto Civile che dovrebbe essere in corso di revisione.
A Kabul lavorano in questo senso la "Judicial Reform Commission", composta da uomini e donne, in gran parte accademici e professionisti. Questa commissione, riconosciuta ufficialmente dal governo, dovrebbe riformulare il codice civile e penale e in particolare, per quanto riguarda le donne, il codice di famiglia. Un altro gruppo di lavoro, che attende di essere riconosciuto ufficialmente quale commissione, si occupa di "Genere e Legge" e di diritti umani delle donne, ma la sua attività fino ad ora ha dovuto necessariamente concentrarsi sulla stesura della costituzione prima e sulla legge elettorale adesso, in vista delle prossime elezioni.
A livello internazionale, con gli accordi di Bonn il governo italiano è stato incaricato di monitorare la riformulazione dell'apparato giudiziario afghano, ma tutte le nostre fonti concordano nell'osservare che l'impegno del governo italiano in questo senso non appare visibile e non ci sono risultati tangibili.
Per quanto riguarda la legge islamica, o Shariah, la facoltà di legge islamica di Kabul segnala l'esistenza di almeno cinque principali scuole, conosciute con i nomi dei loro fondatori. Mali bin Anas, Abu Hanifah, Al-Shafi, Ahmad bin Hambli sono i quattro caposcuola sunniti, mentre Imamiyyah è il principale esponente sciita.
Le diverse scuole hanno opinioni diverse su molti argomenti che riguardano le donne. Ad esempio, l'età minima in cui una donna può essere considerata adulta cioè in grado di sposarsi, varia dai 9 anni (Imamiyya) ai 17 anni (Hanifah).
Inoltre molte scuole affermano, con qualche variante, che se i figli non sono ancora adulti, il padre può comunque decidere di farli sposare, e l'opinione dei figli non conta.
Infine le leggi consuetudinarie variano nelle diverse aree, e i giudici in sostanza fanno quello che vogliono. A ciò si aggiunga una diffusa pratica della corruzione e la consuetudine della totale impunità per i reati contro le donne all'interno della famiglia.
L'Afghanistan ha però firmato diverse convenzioni internazionali, tra cui la Convenzione per l'Eliminazione delle Discriminazioni contro le Donne (CEDAW), la Convenzione per i Diritti del Bambino (CRC), che tutela maschi e femmine fino a 18 anni di età, e, come si ricorda nel cap.1 art.7 della sua nuova Costituzione, la Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
In particolare, in Afghanistan le organizzazioni di donne cercano di appellarsi alla Cedaw per ottenere un corpus giuridico utile a tutelare i più elementari diritti umani delle donne.
L'aspetto giuridico è solo una minima parte del problema: a livello sociale e culturale è necessario un lavoro capillare di coscientizzazione delle donne, una dura lotta quotidiana per affermare di fatto i diritti umani essenziali che ancora continuano ad essere negati alla quasi totalità della popolazione femminile.