LE DONNE AFGHANE CONTINUANO A SOFFRIRE


novembre 2004, di Declan Walsh, Kandahar, da The Observer, 11/07/04. Traduzione di Milena Patuelli

 

Accovacciata contro il muro, e gli occhi che si muovono freneticamente da destra a sinistra, Anara Gul ha l'aspetto sfinito di un animale in catene; questo perché cosi ha vissuto fino a poco tempo fa.
Dopo essersi allontanata il burqua, Anara, scossa dai nervi, racconta di essere stata torturata per 20 giorni a Kandahar, nel sud dell'Afghanistan, dal marito e padre dei suoi figli, dedito all'oppio.
Sentendosi umiliato dal suo recente divorzio, ha portato Anar nella loro casa, un edificio ad una sola stanza, l'ha legata con delle catene arrugginite e l'ha costretta in una buia alcova. Ha vissuto per quasi tre settimane rannicchiata nell'oscurità, impossibilitata a muoversi, nutrendosi di avanzi in una ciotola per cani e sottoposta a continue violenze. Il suo ex marito la percuoteva usando il piatto di un grosso coltello, un cavo elettrico o con le sue mani. "In questo modo", dice Anar, prendendosi le orecchie e colpendo violentemente la testa contro la parete "fino a che non svenivo".
L'ha salvata un ciclone azzurro. Avvertita dai vicini, la poliziotta capo di Kandahar; Malalai Kakar, ha irrotto nella prigione di Anar, portando una pistola e uno sfollagente sotto il burqua, e l'ha trovata piangente, in uno stato prossimo alla pazzia.
Kakar ha emesso un'immediata sentenza di colpevolezza. "Ho picchiato suo marito", ha detto Kakar, "prima in casa, poi alla stazione di polizia: pugni, calci, schiaffi, ero talmente arrabbiata. Se avessi usato il mio manganello, sarebbe morto".
La caduta del regime talibano tre anni fa ha portato dei cambiamenti per molte donne. Teoricamente hanno pari diritti degli uomini di lavorare a andare a scuola. Le elezioni del mese scorso sono state celebrate come un grande passo in avanti. Le donne costituivano il 40% dei votanti e proprio una ragazza di 19 anni ha messo nell'urna il primo voto.
"La libertà è potente" ha detto trionfalmente Bush. "Era un paese in cui le bambine non potevano andare a scuola e le loro madri venivano linciate in pubblica piazza".
Nella cintura tribale dei Pashtun, però, nel sud ultraconservatore, la realtà è molto diversa. I progressi che hanno attraversato la capitale Kabul e le altre città del nord qui si sono visti in maniera minima; le ragazze ancora non vanno a scuola e le loro madri sono ancora fustigate pubblicamente.
L'Unicef stima che l'80% delle bambine tra i 7 e i 12 anni nella provincia di Kandahar non frequentano la scuola, rispetto al 45% dei maschi. A Kabul sono rispettivamente il 33 e il 14 per cento. Gli insegnanti che lavorano nelle poche scuole per ragazze della provincia dichiarano di ricevere regolarmente delle minacce di morte.
Le elezioni non sono state un trionfo femminista. Mentre nel nord metà delle donne hanno votato, a Kandahar solo il 20% l'ha fatto. Nella vicina provincia di Uruzgan la percentuale non supera il 2%.
"Il fatto non è che i Talebani hanno messo le donne dentro una gabbia e se la sono portata via quando se ne sono andati" dice Rangina Hamadi, 27 anni, un afgana americana che è ritornata per coordinare un progetto di sostegno per le donne. La condizione di vita di molte donne era così prima dei talebani e tale è rimasta dopo che se ne sono andati.
Le donne delle aree rurali restano invisibili, imprigionate entro altissime mura.
Hamidi ha visitato una casa dove sei donne ­che attraversano sei generazioni ­ non hanno superato la soglia di casa per 3 anni. "La norma vuole che una donna oltrepassi la porta di casa nel giorno di matrimonio e ne esca solo in una bara" spiega.
Queste tradizioni non sono cambiate a causa dell'insicurezza. Continuano gli scontri fra il talebani e le forze Usa nel deserto e nelle zone montagnose vicino Kandahar. Gli stranieri sono scappati, portandosi via qualsiasi influenza modernizzante.
"E' rischioso anche solo parlare di diritti delle donne", dice Nisha Varia, dell'ong Human Rights Watch. "Le condizioni sono troppo difficili per la maggior parte delle donne e le conseguenze potrebbero essere pericolose"
I casi peggiori di violenze domestiche finiscono sulla scrivania di Kakar, 35 anni, che si occupa delle indagini che coinvolgono le donne perché la cultura afgana impedisce ad un uomo di avvicinarsi alla moglie di un altro.
Sul suo tavolo giace una pila di polaroid di donne che sono state bastonate, violentate o prese a pistolettate.
"Le informazioni che abbiamo sono poche", ha detto, "la gente non ne parla. A volte mi sembra che non esistano i diritti umani in Afghanistan".
La polizia arresta solo pochi aggressori. Anche in questo caso le speranze di giustizia sono basse. Gli uomini collegati ai signori della guerra godono di un'impunità di fatto e chiunque finisca in prigione può facilmente uscirne corrompendo i carcerieri.
"Se vieni condannato a otto anni puoi uscirne dopo 8 mesi," afferma l'agente Mohammed Dost, secondo cui almeno un quarto degli uomini afgani picchiano le loro mogli. "Gli uomini privi di educazione non conoscono il valore di una donna, e se un uomo ignora il valore di qualcosa, ne abusa".
La donna poliziotto, che ha sei figli, personifica le contraddizioni e il lento progresso delle donne di Kandahar. I talibani l'avevano costretta all'esilio; poi, durante le recenti elezioni, stava a guardia dello stadio della città dove zelanti tutori della legge lapidavano e frustavano le donne "immorali".
Kakar percorre la regione con suo fratello minore, un agente, incaricato di "proteggerne l'onore". Coperta dal burqua, picchia le donne accusate di "incontri carnali illeciti" "E' la nostra cultura", spiega.
Tuttavia c'è speranza. Dieci donne studiano insieme a 600 uomini all'Università di Kandhar, un tempo una roccaforte maschile.
Zora Koshan, 20 anni, una rifugiata tornata dal Pakistan è una di queste. Koshan, che si discosta rabbiosa il burqua, dice "Molte donne vivono sotto il dominio dei loro mariti. Hanno bisogno del loro permesso per fare qualsiasi cosa. Noi vogliamo un'educazione, poter lavorare e portare soldi alle nostre famiglie.

Incoraggiate dalle circostanze, altre donne decidono di dare la propria testimonianza.
Bibi Gul, una vedova di 60 anni, dove avere cercato un stanza tranquilla per sé e le sue due figlie , inizia a raccontare la propria storia.
Dopo la morte di suo marito, ha rifiutato di rinunciare alla casa, allora i suoi due figli minori l'hanno portata nel deserto e hanno minacciato di ucciderla.
"Mi hanno spinto fuori dalla macchina e mi hanno picchiata" racconta "mi hanno minacciato di buttarmi dentro un pozzo"
La figlia di Gul Aailia, 37 anni, un'infermiera, mostra un'evidente ferita sulla testa, procuratale dai fratelli quando l'hanno aggredita.
La sorella di Aalia, Anar, tormentata dal marito dipendente dall'oppio parla per ultima, e racconta di averlo lasciato quando egli prese una seconda moglie. Le torture che le ha inflitto l'hanno reso parzialmente cieca.
Ore le tre donne vivono insieme. Il fatto di parlare con un giornalista occidentale potrebbe causare loro abusi ancora peggiori, ma non se ne preoccupano più. La madre accenna a tre burqa azzurri ammucchiati sul letto e dice: "Vorrei ricoprirli di benzina e dargli fuoco. Li odio"

Guardian Unlimited (c) Guardian Newspapers Limited 2004
http://www.guardian.co.uk/afghanistan/story/0,1284,1345482,00.html