AFGHANISTAN: DISARMO E DEMOCRAZIA
L'INTERNATIONAL CRISIS GROUP, ORGANIZZAZIONE PLURINAZIONALE INDIPENDENTE MA VICINA AI GOVERNI E FINANZIATA DA IMPORTANTI ISTITUZIONI PUBBLICHE E PRIVATE, SVELA I LIMITI DEL PROCESSO DI DISARMO IN ATTO E SUGGERISCE QUALI PROVVEDIMENTI ADOTTARE. UN'ANALISI PUNTUALE E MOLTO BEN DOCUMENTATA, TUTTAVIA AGGHIACCIANTE


marzo 2005, fonte www.crisisgroup.org. A cura di G.G.

 

Il 23 febbraio scorso l'International Crisis Group ha pubblicato un documento di 14 pagine in cui valuta i risultati del processo di disarmo, smobilitazione e reintegrazione (DDR), il programma diretto dalle Nazioni Unite al fine di creare le condizioni per estendere l'autorità del governo Karzai e lo stato di diritto sul territorio nazionale. Con il supporto dell'ISAF sono state smobilitate o ridimensionate le milizie ufficialmente riconosciute e sono stati requisiti ingenti quantitativi di armi pesanti. Ma il progetto non ha affatto raggiunto il suo principale obiettivo: il potere dei "comandanti" ne esce rafforzato. Come è possibile un simile esito e chi ne è responsabile?
Il punto di vista dell'ICG è esplicito fin dalla prima pagina del rapporto: "Il governo centrale e i suoi sostenitori internazionali sono stati, in una certa misura, complici nel mantenimento del potere da parte dei comandanti delle milizie. La Coalizione guidata dagli USA ha fatto affidamento sui comandanti della milizia nelle sue operazioni militari contro al-Qaeda e i Talebani, rafforzando i propri alleati locali militarmente ed economicamente e aiutandoli a resistere al controllo del governo centrale".
Da parte sua il governo centrale in qualche raro caso ha intrapreso azioni militari contro alcuni uomini forti di rilevanza regionale come l'ex governatore di Herat, Ismail Khan. Questo gli ha procurato l'approvazione di gran parte della comunità internazionale, e gli ha consentito di "nascondere i continui compromessi con i comandanti di livello medio e basso, spesso con l'acquiescenza dei donatori esteri".
I comandanti delle milizie che avrebbero dovuto essere smobilitate, hanno ottenuto spesso ruoli dirigenti nella polizia stradale afghana, con la responsabilità di assicurare la sicurezza sulle principali vie di comunicazione che collegano le città fra loro e con i paesi confinanti. Un ruolo estremamente conveniente per chi gestisce il traffico di droga. Una impresa privata americana di sicurezza, US Protection and Investigations (USPI) ha pagato alti salari ai comandanti della polizia stradale per il servizio di sicurezza dell'USAID (l'agenzia per lo sviluppo internazionale degli USA), lungo il percorso Kabul-Kandahar. "Il risultato di queste relazioni è stato il rafforzamento politico, militare ed economico dei comandanti, minando così il DDR".
Come mai allora è stato possibile requisire quasi il 100% degli armamenti pesanti? Questo dato non dimostra il successo del DDR?
Gli esperti dell'ICG avanzano a questo proposito diverse obiezioni. Sostengono, sulla scorta di diversi analisti afghani, che gli stessi comandanti, dopo una lunga resistenza, abbiano cambiato le loro priorità: non gli è più necessario mantenere grandi riserve di armamenti pesanti dal momento che la presenza della Coalizione impedisce il dispiegamento di azioni di guerra aperta tra le fazioni. Hanno quindi optato per mantenere forze militari armate con armi leggere, e con un numero ridotto di effettivi, ma - come vedremo più avanti - fatta salva la possibilità di riconvocare immediatamente i propri uomini "smobilitati", in caso di necessità.
In cambio della consegna degli armamenti pesanti i comandanti hanno ricevuto aiuti per la ricostruzione del "loro" territorio.
Ma degli 8176 armamenti sequestrati grazie al DDR fino al gennaio 2005, il 75% consiste in rottami assolutamente inservibili, e buona parte del resto è dichiarato "guasto", il che mettendo insieme i pezzi "significa che se tu hai tre o quattro carri armati, ne puoi ricavare uno". Inoltre queste percentuali ufficiali derivano dall'assunto iniziale secondo cui vengono presi in considerazione solo gli armamenti pesanti "trovati o noti, e accessibili - ma non le armi che erano state deliberatamente nascoste. Ci sono armi pesanti che si trovano sotto case costruite appositamente su di esse e noi non possiamo entrare in queste case", ha dichiarato all'ICG un funzionario dell'ONU.
In breve, i comandanti si sono disfatti di rottami inutili e ingombranti a spese del DDR, hanno comunque delle riserve nascoste per ogni evenienza, e soprattutto in questa fase "per proteggere e portare avanti i propri interessi di fazione, tutto ciò di cui i comandanti hanno bisogno sono armi leggere e uomini", e di questi continuano ad assicurarsi il controllo.
Vediamo infatti cosa accade con il secondo obiettivo del programma DDR, la smobilitazione dei combattenti delle milizie, o Forze Militari Afghane (AMF). Si calcola che ammontino a 45.000 uomini. "Tuttavia, si stima che 850 milizie non ufficiali con oltre 65.000 membri restino fuori dal campo d'azione di questo formale DDR" e quindi vengano ignorate dalle statistiche ufficiali. Secondo altre fonti (pag. 11) le milizie non ufficiali potrebbero essere più di mille, e i miliziani "invisibili" 80.000.
Durante la Conferenza di Bonn del dicembre 2001 e la nomina del governo ad interim, si è stabilito di affidare la ricognizione e riorganizzazione delle milizie al Ministro della Difesa, Qasim Fahim. Sotto la sua direzione le AMF hanno mantenuto nei ruoli dirigenti i comandanti locali. "Sebbene questa struttura implichi una catena di comando, la realtà è molto diversa. Le relazioni tra le particolari unità dipendono dalla loro affiliazione di fazione (e dunque regionale, politica, etnica o tribale), invece che dal loro posto nella gerarchia delle AMF. La lealtà dei singoli soldati è di norma altamente personalizzata e legata ai comandanti locali. Se un comandante rivolge la propria fedeltà a qualcun altro, ci si aspetta che gli uomini della sua unità lo seguano. L'abilità di un "signore della guerra" regionale di esercitare e mantenere l'autorità dipende dalla sua abilità di mantenere il sostegno dei comandanti a lui sottomessi, fornendo loro armi, cariche e nomine, e opportunità di guadagno e di redditi nelle amministrazioni provinciali e distrettuali."
I ricercatori dell'ICG hanno verificato sul campo che i quartier generali delle divisioni militari raramente hanno più di una trentina di effettivi, ma che "in occasione di tensioni tra le fazioni, comunque, i comandanti sono in grado di mettere insieme rapidamente delle forze molto più grandi attraverso la loro rete di sargroup (team leaders) nei villaggi". Essi consigliano quindi, se si vuole realmente ottenere la smobilitazione delle milizie, di:
- censire le reti di milizie ufficiali e non ufficiali, fino al livello del sargroup
- rimuovere dai posti di sicurezza i nodi-chiave di queste reti
- imporre sanzioni penali a chi rifiuta di disarmare le proprie milizie ufficiali o a chi mantiene milizie non ufficiali
"Questo richiede un rafforzamento dei servizi segreti e della legge. Ma dal momento che i posti di comando sono spesso assegnati con criteri di fazione, i comandanti e le loro milizie sono presenti anche nella polizia e nei servizi segreti afghani, il National Security Directorate (NSD). La comunità internazionale non ha avuto la volontà di impegnare i servizi e le risorse di sicurezza necessarie a riempire il vuoto che si sarebbe creato con la loro rimozione in massa."
Per finanziare il DDR sono state investite ingenti somme. Buona parte è finita illegalmente nelle tasche dei comandanti che dichiaravano di smobilitare un certo numero di effettivi in servizio e poi confiscavano le derrate alimentari e le altre risorse economiche che il programma destinava agli ex combattenti che tornavano alla vita civile. Inoltre "i leaders delle milizie hanno gonfiato deliberatamente i loro numeri per intascare salari per combattenti che non esistevano", secondo un ufficiale della sicurezza "gli altri 50.000 non sono mai esistiti se non sul registro di pagamento del Ministero della Difesa", riferendosi ai presunti 100.000 soldati dell'AMF sotto le armi".
Per incentivare i "partiti" che posseggono milizie armate a smobilitare i loro uomini, la Legge dei Partiti Politici stabilisce che questi possano essere registrati per concorrere alle elezioni solo dopo avere ottemperato pienamente al programma di smobilitazione. Questa legge potrebbe quindi essere uno strumento utile di pressione, dal momento che le milizie sono di norma affiliate a qualche partito o fazione. Tuttavia i capi di partiti come Ittihad-e Islami, prevalentemente pashtun e guidato da Sayyaf, o di Junbish-e ye Islami, prevalentemente uzbeco e guidato da Dostum, o Jamiat-e Islami, prevalentemente tagiko e guidato da Rabbani, "credono che loro saranno registrati in tempo per le elezioni parlamentari in cambio dei loro recenti passi avanti in direzione del DDR, anche se essi non hanno adempiuto fino in fondo alle disposizioni." Gli esperti dell'ICG mettono in guardia dall'accettare questa situazione: sarebbe "controproducente" registrare i loro partiti solo sulla base di un rispetto formale del DDR, senza disarmare invece le milizie "non ufficiali" che non sono contemplate nel mandato del DDR. Manca una definizione esplicita di cosa sia un gruppo "illegale", ed è necessario precisare se ad esempio mantenere a titolo personale 200 guardie del corpo (come fa tranquillamente Dostum) sia o no una violazione della Legge Elettorale che esige il disarmo delle milizie.
Infine il documento denuncia il trasferimento dei miliziani alle Unità di Polizia. I comandanti "smobilitati" ricevono incarichi di comando "civili" come governatori e capi della polizia. "In questo modo i comandanti possono assumere i loro ex miliziani come poliziotti, mantenedo legami clientelari con i subcomandanti e proteggendo i loro interessi economici". Dei sei reggimenti che pattugliano le principali strade, quattro sono nelle mani di ex comandanti dell'AMF o dei servizi segreti, due dei quali è ben noto che hanno trasferito i propri miliziani nelle loro unità di polizia, indipendentemente dal processo formale di reintegrazione nella società civile. Il documento cita ad esempio i casi di Khalid, governatore della provincia di Ghazni; e dei comandanti Guza e Imamuddin, quest'ultimo legato a Rabbani.
Inoltre una agenzia privata americana pagata dall'USAID, la Louis Berger Group, ha dato in subappalto i servizi di sicurezza ad un'altra ditta texana, la UPSI, che a sua volta ha un contratto con l'ONU per pattugliare la strada Kandahar-Girishk. Il personale di polizia gli è offerto dal Ministero degli Interni, e guadagna dieci volte rispetto al salario di miliziano dell'AMF. I salari però vengono consegnati al comandante locale. La UPSI paga gli stipendi per 1200 poliziotti, tuttavia solo 400-500 pattugliano effettivamente la strada, e per di più sono membri di milizie formalmente smobilitate. "Alcuni comandanti della locale polizia stradale sono ritenuti responsabili di avere utilizzato il personale, i veicoli e le armi della polizia, per trasportare eroina". Il documento cita con precisione luoghi, circostanze e fonti e riporta anche il caso di un comandante colto in flagrante, che è stato congedato al momento della scoperta, ma che tuttavia oggi "conserva il comando sulla polizia stradale nel suo settore e resta coinvolto nel traffico di droga" (pag.7)
Il documento sottolinea che l'UNDP ha espresso la sua preoccupazione rispetto a queste e altre pratiche all'ambasciata degli Stati Uniti, senza alcun esito.
I soldati disarmati che sono entrati formalmente nel programma di reintegrazione sociale sono 33.000, ma come abbiamo visto spesso l'impiego nel nuovo esercito afghano viene considerato alla stregua di un reinserimento "civile".
In Afghanistan c'è ancora una economia di guerra, la maggiore attività produttiva è legata al traffico di droga e il ruolo delle armi continua a prevalere sulla politica e sulla società.
La responsabilità della Coalizione guidata dagli USA rispetto a quanto accade in Afghanistan, l'evidente assenza di uno stato di diritto, l'ipoteca che grava sulle prossime elezioni dal momento che "i partiti" continuano a misurare il loro peso essenzialmente sulla base della forza militare che possono dispiegare, della capacità di corruzione e impunità di cui godono in modo feudale i capi e via via i loro vassalli fino alla rete capillare di controllo dei villaggi, disegnano un quadro molto penoso della "democrazia" regalata all'Afghanistan attraverso i bombardamenti e l'occupazione militare. Il documento dell'ICG è onesto e impietoso. Indica quali misure sia indispensabile prendere, e fa appello a chi fino ad ora non ha avuto la volontà politica di farlo, perché le attui. Nulla però giustfica la speranza che gli stessi soggetti, già perfettamente informati dei fatti, cambino direzione. Per questo il documento risulta agghiacciante.
Sappiamo che in Afghanistan esiste altro, che si muovono altre forze che non rientrano minimamente nell'oggetto di questo rapporto e che stanno svolgendo il loro compito, al di fuori degli schemi e della logica dei soggetti che sono i protagonisti di questa indagine. E' solo questo l'elemento che può mettere in moto un diverso processo, ed è a queste forze che la comunità internazionale, intesa questa volta come società civile prima ancora che come istituzioni, può guardare e può rivolgersi come interlocutori validi per costruire la pace.