LIBERTA' DI PAROLA NEL REGIME POST-TALEBANO NEGATA DA TRIBUNALI E RELIGIOSI
QUESTO ARTICOLO E' STATO SCRITTA PRIMA CHE IL GIORNALISTA AFGHANO "SI PENTISSE", COME INVECE E' STATO INFINE COSTRETTO A FARE NELLE SCORSE SETTIMANE


Gennaio 2006. Di Griff Witte, Washington Post Foreign Service 11/12/05. Traduzione di Luisa

KABUL, Afghanistan – Facendo ritorno in Afghanistan l’anno scorso dopo un lungo esilio, Ali Mohaqeq Nasab pensava che il clima fosse cambiato al punto da permettere di aprire la questione dei diritti delle donne e del sistema giudiziario nella nascente democrazia afgana.
Invece gli articoli di tono provocatorio pubblicati dalla sua rivista lo hanno posto alla mercè di quello stesso sistema – è stato incarcerato con l’accusa di blasfemia e ora rischia la pena capitale.
Il caso di Nasab ha innescato un aspro dibattito sulla libertà di espressione in un paese che si sta velocemente modernizzando da 4 anni, dalla fine del regime Talebano, e che rimane comunque saldamente ancorato alla cultura tradizionale islamica ed estremamente sensibile alle questioni riguardanti la religione e il ruolo delle donne.
Il suo reato, secondo l’accusa dei tribunali afgani e l’ala conservatrice, è stato quello di contravvenire agli insegnamenti dell’Islam pubblicando sulla rivista mensile Women's Rights, saggi che affrontavano la discriminazione legale contro le donne, le dure punizioni fisiche per i criminali e la rigida intolleranza verso i musulmani che si sono allontanati dalla fede.
I saggi, pubblicati in maggio, hanno attirato la tardiva attenzione di un importante religioso musulmano, che parecchi mesi dopo ha pronunciato un sermone accusando Nasab di essere un infedele. Nasab si è rivolto al sistema giudiziario afgano ma invece di ottenere protezione è stato arrestato, processato e condannato a due anni di reclusione. Nasab, che ha 47 anni, si è appellato al grado successivo di giudizio; così hanno fatto anche i suoi accusatori, sostenendo che due anni di reclusione siano una condanna troppo lieve e che si meriterebbe di essere impiccato, a meno di fare pubblica ammenda.
"Secondo la sharia, se non si pente e non ritorna alla religione dovrà essere condannato alla pena capitale," dice Abdul Jamil, che guida la divisione Pubblica Sicurezza all’interno dell’ufficio del pubblico ministero.
In un’intervista di settimana scorsa dalla sua cella, Nasab, piccolo, con modi cortesi, e una barba che incanutisce, ha detto di non avere alcuna intenzione di pentirsi e di non poter tornare ad una religione che non ha mai abbandonato.
"Non ho commesso alcun peccato di cui possa pentirmi. Se non ho peccato perchè dovrei pentirmi?" ha detto. "Sono musulmano e quanto ho scritto sulla mia rivista non genera il benchè minimo conflitto con la mia religione. Sono più religioso io di loro."
La condanna di Nasab ha già prodotto tra i giornalisti afgani un’ondata di gelo che minaccia di erodere gravemente le libertà conquistate dopo la caduta del regime talebano nel 2001, sostiene Rahimullah Samander, direttore del Centro per il Giornalismo Internazionale.
Inoltre ha messo in una scomoda posizione il Presidente Hamid Karzai, alla guida di un implume governo democratico sostenuto dall’Occidente. Karzai si è ripetutamente espresso a favore della libertà di stampa ma la carta costituzionale gli impedisce di intervenire nelle questioni giudiziarie, dominate da sostenitori religiosi della linea dura.
Secondo una fonte diplomatica occidentale, anonima data la delicatezza della questione, diverse ambasciate hanno espresso al governo afgano preoccupazione per il caso, impegnandosi a seguire gli sviluppi con attenzione.
Samander dice che il governo Karzai tende a non intromettersi nel processo di proliferazione nuovo ma rapido dei media: 350 pubblicazioni, 40 stazioni radio e 4 canali tv indipendenti. Il caso Nasab, secondo Samander, ha gettato nell’incertezza il progresso nella sua interezza.
"Se lo rilasciano, daranno una dimostrazione del fatto che fanno sul serio in merito di libertà di stampa" ha ditto Samander. "se lo tengono in prigione, tutti questi discorsi sulla libertà di stampa finiranno in niente."
Il portavoce di Karzai, Karim Rahimi, ha detto che il governo offre un vero supporto alla libertà di stampa ma non può fare nulla per influenzare la Corte. “ Il sistema giudiziario è totalmente indipendente”.
Nella sua rivista, Nasab proponeva che il valore della testimonianza resa da una donna valesse quanto quella di un uomo, e non la metà. Si chiedeva anche se il taglio delle mani dei ladri non fosse una punizione troppo severa. In ultimo, sosteneva che il potere di punire i musulmani che si convertono ad altra religione sia legittimo di Dio e non dell’uomo.
Nasab, che ha fatto studi islamici in Iran, è entrato in collisione con il governo per aver pubblicato un libro che metteva in discussione la sua autorità religiosa. Dopo il ritorno in Afghanistan, ha cominciato a scrivere articoli sempre più controversi e corroborati secondo lui da un’attenta lettura del Corano e condivisi da altri studiosi di Islam. Ma alcuni leader religiosi afgani si sono scagliati contro queste opinioni e molti nell’autunno si sono adoperati per il suo arresto. Volendo ottenere aiuto dal sistema giudiziario, Nasab il primo di ottobre si è recato in un tribunale di Kabul -- ed è stato immediatamente arrestato.
Appena due settimane dopo, è stato messo sotto processo per blasfemia. L’esito non è mai stato incerto, secondo Ahmad Nader Nadery, che presiede la Commssione Afgana Indipendente per i Diritti Umani.
"Dal modo in cui è stato celebrato il processo si capiva chiaramente che c’era l’intenzione di punirlo, a prescindere dalle regole e dalle procedure," ha detto Nadery, notando che a Nasab non è stato permesso di scegliere l’avvocato e nemmeno di parlare, essendo azzittito continuamente dall’accusa e dai giudici.
Proprio il saggio scritto in maggio da Nasab equivaleva ad una sfida al sistema giudiziario che ora lo accusa. Ciononostante, secondo uno dei giudici Nasab ha ottenuto un processo equo e la sentenza gli ha lasciato “un’ampia opportunità” di pentirsi e chiedere scusa.
"Lo abbiamo ascoltato con attenzione," ha detto Alhaj Ansarullah Maulavi Zada, che presiede il tribunale di pubblica sicurezza. "Lo abbiamo ascoltato tanto. Gli abbiamo concesso un processo di 3 giorni. Ma non è stato in grado di rispondere alla Corte. Non ha dimostrato il minimo segno di rimorso. Continua a sostenere che cambiare la religione è vietato ma non è un crimine."
Nasab di contro sostiene che il suo è stato un processo politico, progettato dalla linea dura religiosa che lo considera un contestatore e che ce l’ha con lui perché appartiene alla etnia Hazara. Gli Hazara, che si distinguono per tratti somatici tipici dell’Asia orientale, hanno per lungo tempo occupato i più bassi ranghi della società afgana. In maggioranza musulmani sciiti in una società prevalentemente sunnita, sono stati vittime di massacri, relegati a lavori umili e spesso costretti a vivere in estrema povertà.
Pur essendo la libertà di stampa protetta dalla legge, i giornalisti afgani hanno dovuto affrontare la loro quota di limiti. Fuori dalla capitale, i mezzi di informazione sono particolarmente vulnerabili quando si trovano a fronteggiare i poteri locali, come quello dei leader miliziani. Un reporter è stato tenuto ostaggio per una settimana nella provincia di Nangahar per aver scritto un articolo criticando le autorità locali.
"I miei colleghi sono sotto minaccia," dice Shukria Barakzai, editore del giornale Women's Mirror. "Non sono al sicuro quando lavorano."
Barakzai sostiene che il caso di Nasab non avrebbe mai dovuto entrare in un’aula di giustizia. Una commissione di media incaricata dal governo lo ha considerato innocente.Ma non tutti i suoi colleghi giornalisti sono stati così supportivi.
Secondo Mohammad Fahim Dashty, editore del giornale Kabul Weekly, Nasab ha scelto il momento e il posto sbagliato per sollevare questioni così volatili. La testata di Dashty ha attaccato l’amministrazione Karzai e gli Stati Uniti per la questione dei Signori della Guerra e delle droghe. Ma sostiene che Nasab ha passato la linea attaccando i principi cardine dell’Islam.
"Sappiamo che l’Afghanistan è un paese molto instabile," ha detto. "Sappiamo che la tradizione religiosa è molto forte. Quindi quando dici qualcosa di molto nuovo e in cui credi solo tu e nessun altro, diventa pericoloso. "E’ un rischio e a volte devi pagarne lo scotto. E lui lo sta pagando."
La nuova costituzione afgana garantisce libertà di espressione ma la legge che regola i mezzi di informazione prevede che i giornalisti non debbano affrontare questioni religiose o di pubblica sicurezza. I confini esatti di quel che è permesso sono mal definiti e i tribunali sono propensi a interpretarli in modo restrittivo.
Dopo la condanna di Nasab, la Corte Suprema ha emesso un verdetto religioso, la fatwa , sostenendo che "dovrebbe avere la massima pena, in modo che sia una lezione per gli altri." Un gruppo di 200 studiosi e religiosi di Kandahar ha recentemente emesso una fatwa in cui si dice che dovrebbe avere 3 giorni per pentirsi, in caso contrario dovrebbe essere impiccato.
"Il potere di emettere la condanna a morte è in capo al governo centrale" ha detto il leader del gruppo, Maulavi Ghulam Mohammed Gharib. "Abbiamo semplicemente mandato il nostro messaggio." Gharib dice di non aver mai letto la rivista di Nasab ma di averlo visto in un’intervista alla televisione.
Nasab ha ammesso di essere "preoccupato" dalle fatwa contro di lui. Ma dice di non arrendersi e spera che Karzai o rappresentanti internazionali intercedano per lui.
"Ho fatto un unico errore. Quando ho sentito che nel mio paese c’era la democrazia, sono tornato, perchè ho studiato e voglio essere d’aiuto," ha detto "Non sapevo che comunque la democrazia non esiste, che comunque c’è l’influenza dei Taliban e comunque la cultura del regime Taliban."