DALL'AFGHANISTAN ALL'OLANDA, NON
SONO GARANTITI I DIRITTI DELLE DONNE
INTERVISTA
A YAKIN ERTURK, INVIATA SPECIALE ONU SULLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE
Gennaio 2006. Da Irin News,
trad. M.G. Di Rienzo
ANKARA, Turchia. Yakin Ertürk, docente universitaria di sociologia, è stata nominata inviata speciale dell'Onu sulla violenza contro le donne nell'agosto 2003. Da allora, ha visitato un gran numero di paesi inclusi Salvador, Guatemala, Russia, Iran, Sudan, Palestina (territori occupati), Messico ed Afganistan.
IRIN news: Qual è esattamente il tuo ruolo come rappresentante dell'Onu?
Y.E.: Il mio ruolo è stato creato nel 1994, dopo la dichiarazione Onu sulla violenza contro le donne, adottata dall'Assemblea generale l'anno precedente. Di base ha tre funzioni: redigere rapporti tematici sulla violenza contro le donne, le sue cause e le sue conseguenze; indagare nei paesi in cui viene denunciata una grande diffusione della violenza contro le donne e riferire alla Commissione per i diritti umani ed all'Assemblea generale, nonché inviare raccomandazioni ai governi coinvolti; ricevere testimonianze individuali su casi specifici o situazioni generali, comunicarle ai governi interessati e, se necessario, chiamare all'azione urgente.
Gli speciali meccanismi della Commissione per i diritti umani contengono circa 40 mandati, la maggior parte dei quali tematici, come quello sulla violenza contro le donne. La maggioranza delle violazioni commesse contro le donne si danno nella sfera privata, tuttavia i diritti umani sono ancora largamente percepiti solo come violazioni commesse da stati, che si danno nella sfera pubblica. Le organizzazioni delle donne contestarono questa visione ristretta e già dalla Conferenza di Vienna del 1993 la violenza contro le donne è stata riconosciuta come istanza concernente i diritti umani. Uno dei miei scopi è assicurarmi che non solo gli stati rispondano alla violenza quando essa accade, ma intervengano a prevenirla. L'obiettivo non è certamente promuovere un'invasione dello stato nelle nostre vite private, ma è importante che esso garantisca la sicurezza delle persone, persino nelle camere da letto: a questo riguardo numerosi governi hanno emanato leggi sulla violenza domestica, leggi che hanno provvisto le donne di qualche strumento.
IRIN news: All'inizio dell'anno eri in Afganistan. Come vanno le cose laggiù?
Y.E.: L'Afganistan è un esempio di una situazione post conflitto, dove il tessuto sociale della comunità e dei meccanismi informali è stato distrutto, e la costruzione dello stato è assai fragile. Si tratta di un paese diviso e frammentato in blocchi di potere locali e tribali, il che rende difficile il processo di stabilire delle leggi. Quando il primato non è della legge, è il dominio ad averlo: ciò ha conseguenze ostili alle donne e a tutti gli altri soggetti che si situano in posizione marginale rispetto al potere. Ironicamente, la creazione di uno stato nazione basato sul primato della legge ha dato la forza ai gruppi esclusi, donne comprese, di sfidare i limiti delle leggi stesse. I diritti delle donne, come fissati all'inizio del processo di costruzione dello stato, erano limitati. Ma il principio di eguaglianza nella cittadinanza ha permesso loro di contestare le discriminazioni basate sul genere che tale eguaglianza contraddicevano, e che quindi violavano la legge. Quando il sistema legale come standard manca, gli individui sono molto legati alla volontà del gruppo cui sono affiliati e ciò, spesso, risulta in una totale subordinazione delle donne.
In luoghi come l'Afganistan, dove esistono blocchi multipli di potere, la promozione e la protezione dei diritti umani, in particolare di quelli delle donne, è un problema capitale. Da un lato, nessuno stato riesce a raggiungere tutti gli angoli del paese con il sistema legale. Dall'altro, anni di guerra e di migrazioni hanno distrutto tutti i sistemi informali di protezione. Il risultato è un paese dove il destino degli individui è in mano a coloro che detengono il dominio. In queste circostanze sono i deboli che soffrono di più, i bambini in primo luogo. Le donne soffrono di violazioni dei loro diritti umani assai estese. Di tutti i paesi che ho visitato, l'Afganistan è risultato il più difficile, in termini dell'identificazione di punti di partenza per il cambiamento. Bambine di sei anni vengono vendute, e lo si chiama matrimonio. Io non posso venire a patti con il matrimonio di una bambina di sei anni: è schiavitù.
Certo, la società afgana sta impegnando tutte le sue risorse nella ricostruzione del paese, non c'è dubbio. Dobbiamo tenere presenti le difficoltà oggettive. Ma sino a che i diritti umani di base non saranno prioritari, io penso che la ricostruzione è destinata ad incontrare molti fallimenti, e che la sicurezza non viene garantita. Perciò c'è la necessità di un doppio movimento: in primo luogo essere capaci di rispondere velocemente agli abusi dei diritti umani e proteggere coloro che si trovano in immediato pericolo, e cioè le donne e le bambine, in secondo luogo ricostruire a partire dal basso, dalle comunità, e favorire le condizioni che nutrono l'emergere di una nazione. Uno stato senza nazione può sopravvivere solo grazie all'uso della forza ed alle alleanze con altri blocchi di potere presenti nella società.
IRIN news: Durante le recenti elezioni in Afganistan molte donne candidate si sono lamentate delle condizioni della competizione elettorale. E' una conseguenza della mancanza di un sistema legale di base nel paese?
Y.E.: In parte. Dobbiamo anche pensare, però, che le donne afgane sono venute allo scoperto, letteralmente, solo di recente. E di colpo sono state incoraggiate a diventare professioniste, parlamentari, figure pubbliche prominenti, mentre persiste una mentalità che spazza via le donne dalla sfera pubblica. Non è facile per le donne rompere queste barriere, burqa compreso. Quando ero in Afganistan ho parlato con alcune candidate alle elezioni. Mi spiegarono che erano svantaggiate perché non avevano la stessa libertà di movimento o l'accesso a certi posti che invece gli uomini avevano, il che impediva loro di condurre una campagna elettorale equa.
C'era sicuramente un'atmosfera di intimidazione e le candidate venivano minacciate, allo scopo di spingerle fuori.Uno dei vantaggi che l'Afganistan ha è la forte presenza internazionale
legata alla ricostruzione. Ma questa presenza non durerà per sempre, perciò le risorse che essa mette a disposizione devono essere usate in modo efficace. La comunità internazionale, dopo la caduta del regime dei Talebani, si è rilassata un po' rispetto alla condizione dei diritti umani nel paese. Non dimentichiamo che le violazioni dei diritti umani oggi sono
identiche, e continuano. Una donna è stata lapidata a morte, nel 2004, su decisione di un consiglio locale: non c'è stata alcuna reazione internazionale a questo fatto, che se fosse avvenuto all'epoca dei Talebani sarebbe rimbalzato ovunque. Questo mi preoccupa, perché dà il messaggio sbagliato alla gente in Afganistan, sia a quella che è favore dei diritti
umani sia a quella che è contraria ad essi. Molti difensori dei diritti umani con cui ho parlato mi hanno espresso il loro sconcerto al proposito, ed hanno argomentato che sebbene la stabilità del paese sia un fattore critico, ad essa non si può sacrificare la giustizia.
IRIN news: Puoi darci qualche esempio di come e quando il tuo lavoro ha operato delle differenze tangibili per le donne?
Y.E.: In alcuni paesi, il solo fatto che io fossi presente è stato di grande aiuto, per esempio in Guatemala. L'interesse dei media alla mia missione era altissimo (minacce incluse, perciò dovevo girare con la guardia del corpo). Dietro a certi delitti commessi contro le donne ci sono bande criminali assai potenti. La criminalità comune è un grave problema nel paese, ed il suo risultato prevalente sono gli omicidi di donne. Poiché la mia visita riceveva un'alta visibilità, i gruppi di donne l'hanno capitalizzata per riuscire a trasmettere i loro messaggi ai rappresentanti del governo. Sono stata ricevuta del Presidente stesso, il che è un buon segno. Ma quanto sia effettivamente cambiato dopo la mia visita non so ancora dirlo: dopo ogni missione, si richiede annualmente al governo di dare conto degli impegni che si è preso. Io l'ho fatto per tutti i paesi in
cui sono stata, e non ho ancora ricevuto una singola risposta.
Posso, però, dare qualche esempio di come le procedure di comunicazione funzionano. Tre donne iraniane vennero in Turchia, richiedendo asilo politico per un paese terzo. Il loro caso fu respinto dall'Alto Commissariato Onu per i rifugiati, perché le loro condizioni non erano quelle tipiche di chi cerca asilo politico. Nel corso degli oltre due anni in cui restarono in Turchia, le circostanze personali che riguardavano queste donne cambiarono: divorziarono, o si risposarono, e si presero impegni politici, dimostrando contro il regime di Teheran. Queste donne sapevano che se fossero tornate in Iran avrebbero dovuto fronteggiare grossi problemi e mi mandarono una comunicazione, informandomi che il governo turco aveva emanato un ordine di deportazione nei loro confronti. Io intervenni presso il governo, chiedendo di ripensare la decisione, dato che le donne avrebbero potuto subire violenze se rimandate al loro paese d'origine. L'ordine fu sospeso, l'Alto Commissariato riaprì la pratica, e due delle donne ottennero lo status di rifugiate.
So anche dai gruppi in Cina che questo sistema produce impatti positivi in certi casi. Il problema è che non ci sono meccanismi che consentano di continuare a seguire i casi che io comunico ad un governo. Se tali meccanismi fossero potenziati, le procedure di comunicazione potrebbero diventare un attrezzo efficace per produrre differenze nelle vite delle
donne. Molti governi rispondono alle mie comunicazioni con lo sconcerto. A volte non sono neppure consci di alcuni problemi di cui le donne fanno esperienza nel loro stesso paese, perché la regola è che le istanze femminili non sono una priorità sull'agenda pubblica. Ad ogni modo, le mie comunicazioni aiutano almeno ad aprire un dialogo con i governi, il che li
spinge ad occuparsi dell'istanza in questione.
IRIN news: Quali sono i tuoi impegni per i prossimi 12 mesi?
Y.E.: Sono già stata in quattro paesi, per i quali devo presentare il mio rapporto nell'aprile 2006: Russia, Cecenia inclusa, Iran, Messico e Afganistan. Sto preparando questi rapporti, ed anche un documento tematico dove si esplora la possibilità di espandere la capacità degli stati di essere responsabili nell'affrontare le radici che causano le violenze contro le donne. Per il 2007 ho già ricevuto gli inviti a visitare l'Algeria, l'Olanda e la Svezia. Ho chiesto alla Repubblica democratica del Congo di poter visitare il paese, ma non ho ancora ricevuto risposta. Il mio mandato terminerebbe nel 2006, ma credo che verrà rinnovato.
IRIN news: Ma che interesse puoi avere in paesi come l'Olanda o la Svezia?
Y.E.: Lo so, quando parliamo di diritti umani, c'è spesso l'assunzione implicita che gli abusi avvengano solo nei paesi in via di sviluppo, dove le istituzioni democratiche non sono sufficientemente salde. Dal punto di vista legale questo potrebbe anche essere corretto: la regola della legge, ove stabilita, provvede alle donne una base da cui partire, ma non è mai
sufficiente, poiché molto spesso i diritti umani delle donne vengono violati nella sfera privata, e in modi non previsti dalla cornice legislativa.
In queste aree dobbiamo imparare e diventare più coscienti di come la violenza contro le donne si riproduca anche quando riforme istituzionali e
legislative sono avvenute. E' di quest'anno il rapporto di Amnesty International sul persistere della violenza domestica in Svezia. Ha stupito tutti, perché la Svezia viene percepita come un paese che ha fatto molto per le donne, eppure la violenza domestica continua. Esaminare il caso svedese può aiutarci a trovare tecniche più efficaci per lottare contro la violenza.
Anche l'Olanda è interessante. Se ne parla come del paese più tollerante d'Europa. Eppure hanno avuto un buon numero diincidenti violenti che coinvolgono le comunità di migranti, e stanno discutendo di integrazione e delle violenze contro le donne, in particolare fra le comunità musulmane, il che ha implicazioni per l'intera Europa. Gruppi di donne europei hanno
messo in luce come negli ultimi anni la violenza nelle loro società sia stata normalizzata e depoliticizzata. Anche il fenomeno del traffico di donne in relazione alla prostituzione è un area di dibattito e merita un esame più ravvicinato della situazione.
IRIN news: Il tuo mandato è complicato e difficile. Come fai a portarlo avanti?
Y.E.: E' allo stesso tempo una vera sfida ed un grande privilegio, il dover portare avanti uno scopo così importante. La profondità e l'estensione delle violenze che testimonio, e che le donne incontrano in tutto il mondo, mi rattrista enormemente, ma allo stesso tempo ricevo grande forza dal vedere come ovunque le donne lottino e resistano alla violenza. So che il
mio mandato può produrre differenze nelle vite delle donne, ed è questo che mi sostiene.