AFGHANISTAN: COSA
ALIMENTA LE PROTESTE CONTRO GLI USA?
IPOTESI
SULLE CAUSE DEL CRESCENTE ANTIAMERICANISMO E SUI SOGGETTI CHE
STAREBBERO DIETRO ALLE PROTESTE
giugno 2005, Di Amin
Tarzi, 5/13/05. Traduzione a cura di Elisa Costantini
Nell'edizione del 9 maggio, la rivista americana "Newsweek" sostiene che nel centro di detenzione della baia Guantanamo a Cuba ci sarebbe stato un caso in cui, durante un'interrogatorio "il corano sarebbe stato buttato in un WC, nel tentativo di confondere i sospettati". Questa notizia ha scatenato la rabbia degli studenti di medicina presso l'universita' di Nangarhar, alla periferia del capoluogo della provincia, Jalalabad.
In un primo momento gli studenti hanno tenuto una manifestazione pacifica, tentando anche di bloccare la principale via di comunicazione tra Jalalabad e Kabul. Hanno reso pubblica una dichiarazione in cui invitavano anche gli altri paesi islamici a manifestare il loro sdegno per questa presunta profanazione del Corano. Chiedevano inoltre la liberazione dei prigionieri di Guantanamo e condannavamo la decisione del presidente dell'Afghanistan, Hamid Karzai, di richiedere che gli Stati Uniti costruissero basi militari nel paese.
Al di là della notizia riportata da "Newsweek", il sentimento contro gli USA e contro lo stesso governo afghano era evidente fin dall'inizio delle manifestazioni. Per la prima volta, dopo il governo comunista degli anni '80 e la presa di potere dei Talebani, alla fine degli anni '90, la bandiera americana è stata bruciata sul suolo afghano. Cori di "a morte l'America" e "morte a Karzai", hanno accompagnato le proteste.
L'11 maggio la protesta diventa violenta a Jalalabad, dove edifici governativi, dell' "Opera di Assistenza" delle Nazioni Unite, e di organizzazioni non-governative sono stati distrutti. I dimostranti hanno anche danneggiato il consolato del Pakistan e l'abitazione del console. Quando i militari hanno ripreso controllo della situazione, si contavano tra i dimostranti quattro morti e molti feriti.
La violenza è continuata il 12 maggio nel distretto di Kohgiani di Jalalabad, nel distretto di Chak, nella provincia di Wardak, a ovest di Nangarhar, provocando altre tre vittime.
Le autorità afghane hanno accusato i "nemici della stabilità e della pace" di avere tramutato in uno scontro violento una manifestazione altrimenti pacifica, definita dal presidente Karzai una "espressione di democrazia" del suo paese. Le autorità, d'altro canto, non hanno dato un nome a tali nemici e nessuno, tra i manifestanti arrestati, è stato identificato come appartenente a qualche particolare gruppo.
Il 12 maggio, i manifestanti a Kabul e altre città, hanno reso le loro richieste più specifiche, chiedendo per esempio scuse formali dagli USA, che gli imputati della profanazione del corano venissero giudicati da una corte islamica, chiedendo inoltre la promessa degli Stati Uniti che tali atti non si ripetessero. I manifestanti hanno richiesto infine che alla coalizione militare degli USA e dei suoi alleati non fosse permesso entrare nelle case dei privati durante operazioni di perquisizione.
Il giorno dopo, il 13 maggio, le manifestazioni si sono estese alle provincie di Badakhshan, a nord-est, e di Paktiya, a sud-est. Qui si contano altri quattro morti, portando a undici il bilancio.
I motivi dietro alla protesta
Uno dei partecipanti alla protesta del 12 maggio a Kabul, aveva un cartello con su scritto: "Il Corano è la nostra anima!". Il significato del libro sacro dei musulmani può non venire ben reso, se paragonato al significato della Bibbia per i cristiani. Sull' "Enciclopedia dell'Islam e del Mondo Musulmano" si legge che per i musulmani il Corano è " vivo e ha una personalità quasi umana". Si potrebbe forse paragonare a quello che Cristo rappresenta per i cristiani ferventi, o la Torah per gli ebrei. Quindi, qualsiasi mancanza di rispetto verso il Corano si traduce in un affronto verso Dio e le sue leggi. Vista in questo contesto, la rabbia espressa dagli studenti dell'univesità di Nangarhar è comprensibile. Tuttavia, il fatto che la protesta sia partita dal presunto episiodio di profanazione per arrivare alla questione delle basi USA su suolo afghano, della perquisizione di proprietà private da parte della truppe americane, ed infine dell'alleanza del governo di Karzai con Washington, può indicare che dietro le manifestazioni ci siano altri scopi.
Inoltre, gli edifici da attaccare a Jalalabad sono stati scelti con cura, non sono stati atti di distruzione solo fine a se stessi. Quindi, puntare al consolato del Pakistan potrebbe non essere stato un caso. Sebbene Islamabad sostenga che il proprio consolato non sia stato preso di mira di proposito, ci si chiede perché sia stata scelta proprio questa specifica rappresentanza.
La questione delle basi americane in Afghanistan è stata per qualche tempo sulle prime pagine della maggior parte dei giornali afghani. In particolare da quando Karzai ha ufficialmente proposto, davanti a circa mille notabili afghani, la creazione di una "partnership strategica" con gli USA. La reazione più comune sulla questione delle basi militari è che la decisione finale debba spettare al parlamento afghano, che dovrebbe essere eletto il prossimo settembre. Molti politici afghani, specialmente quelli che hanno ultimamente perso potere, vedono la presenza dei militari statunitensi sul terriorio come una continuazione dell'amministrazione Karzai. Essi esprimono una certa apprensione sull'argomento, pur non entrando in una critica aperta nei confronti della presenza militare USA e quella degli altri paesi. Le dimostrazioni fanno da cassa di risonanza a questo non-dichiarato malcontento.
La questione delle perquisizioni nelle case riguarda più la zona di Nangarhar. Già lo scorso aprile i rappresentanti dei distretti di Khogiani, Sherzad, Hesarak e Pachir wa Agam avevano manifestato a Jalalabad contro le perquisizioni. Dopo aver incontrato i portavoce della manifestazione, il governatore di Nangarhar, Haji Din Mohammad, aveva promesso di risolvere il problema (si veda "RFE/RL Afghanistan Report," del 9 maggio 2005). Non sorprende quindi che la questione sia inclusa nelle richieste dei dimostranti di Nangarhar. Tuttavia, che la problematica sia arrivata fino al campus dell'università di Kabul fa pensare che la manifestazione spontanea a seguito del caso sollevato da "Newsweek" fosse in realtà in qualche modo organizzata e alimentata anche da altri fattori.
Bisogna anche considerare l'attacco al consolato pakistano.
Per quale motivo degli studenti, che con ostentata rabbia protestavano contro un presunto abuso da parte di interrogatori americani, avrebbero dovuto appiccare il fuoco al consolato di un paese che tuttavia aveva ufficialmente protestato con Washington e il cui parlamento aveva condannato la presunta profanazione del Corano? Se la protesta fosse stata unicamente contro la profanazione del Corano, allora il consolato del Pakistan averebbe dovuto ricevere lodi e non un attacco incendiario.Esiste una mente dietro alle manifestazioni?
Per ora sia il governo afghano, sia i dimostranti, si sono rifiutati di dare un nome ai "nemici della pace e della stabilità" che sembra stiano dietro agli atti di violenza e all'attacco del consolato del Pakistan.
Nessuno ha puntato il dito contro i neo-talebani, il cui portavoce, Mufti Latifullah Hakimi, ha dichiarato l'11 maggio alla TV Tolu, con sede a Kabul, che non sono stati loro a provocare le manifestazioni. Inoltre Jalalabad non è considerata una roccaforte neo-talebana e Badakhshan è una delle due sole province che il precedente regime talebano non era riuscito a conquistare.
Intanto l'11 maggio, circolava in certe zone di Kabul una lettera anonima, che rievocava nei toni i giorni in cui gli afghani lottavano contro le truppe sovietiche stanziate nel paese. Senza fare nessun riferimento ai fatti di Jalalabad, la lettera annunciava: "il dovere supremo del Mujahedin è appena cominciato". La lettera anonima condannava la prospettiva di basi militari americane in Afghanistan e suggeriva che Karazai e gli ex-talebani si siano alleati con l'intento di trasformare l'Afghanistan in uno stato-satellite degli USA.
Infine, le manifestazioni, e le richieste che ne sono seguite, sono state ben sincronizzate con la visita del presidente Karzai in Europa e negli Stati Uniti.
Quali nazioni confinanti potrebbero voler avversare lo sviluppo di una partnership a lungo termine tra Aghanistan e USA, ammesso che i capi di stato di entrambi i paesi e il parlamento afghano l'accettassero? Oppure, chi sono quelli che hanno perduto potere dopo la vittoria elettorale di Karzai lo scorso ottobre? Se si trovasse una risposta chiara a queste domande, allora si potrebbe scoprire, forse, la vera identità di chi ha alimentato le manifestazioni in Afghanistan.
Nota dell'editore: Amin Tarzi è l'analista per l'Afghanistan per "RFE/RL Online" e l'editore di "RFE/RL Afghanistan Report".