DARE LA VITA IN SOLITUDINE E MORIRE
MORTALITA'
MATERNA IN AFGHANISTAN E SALUTE RIPRODUTTIVA: QUESTIONI ECONOMICHE E CULTURALI
Ottobre 2005. Di Salima Ghafari
e Mari Nabard (fonte: Institute for War & Peace Reporting: http://www.iwpr.net/),
ottobre 2005, trad. M.G. Di Rienzo
Maimona è una donna dall'età indeterminabile. Non stiamo parlando di una bellezza senza età. Stiamo parlando di una donna che è stata brutalizzata da una vita violenta, il cui corpo ed il cui viso appaiono consumati, e mentono rispetto ai suoi anni. Maimona ha partorito 16 volte, ed ha affrontato ogni travaglio da sola. "Permettere ad unaltra persona di essere presente durante il parto è una grande vergogna, nella nostra società. Ogni volta ho fasciato io stessa i miei bambini."
La sua situazione è esperienza abbastanza comune per le donne in Afganistan. Secondo un recente rapporto dell'Unicef, più del 90% delle donne afgane partorisce senza assistenza medica. E tuttavia, Maimona è stata più fortunata di molte. L'Afganistan ha uno dei tassi di mortalità materna più alti al mondo, con una media di 1.600 morti ogni 100.000 nascite. Il picco viene raggiunto nel Badakhshan, una provincia montuosa del nordest: più di 6.500 decessi ogni 100.000 parti. Per farvi un'idea di cosa significhi, pensate che in Svezia il tasso ogni 100.000 nascite è di tre decessi materni. Ci sono diversi fattori che contribuiscono a creare queste scioccanti statistiche in Afganistan. Decine e decine di anni di guerra, un'economia disastrata, la mancanza di strade e di presidi sanitari, giocano ciascuno la propria parte. Ma, nel caso di Maimona, una delle influenze più potenti è la tradizione. In una società dominata dagli uomini, le donne sono spesso tenute fuori vista e subiscono restrizioni ai loro movimenti fuori casa. Molte donne si vergognano di cercare assistenza medica per la gravidanza ed il parto, ed i loro mariti sono riluttanti a permettere che le loro mogli siano viste da persone estranee, in special modo da altri uomini.
Haji Gul Mohammad, residente nella provincia occidentale di Herat, condusse sua moglie all'ospedale per il parto. Cercava però una dottoressa che si occupasse di lei. "Se non trovo una donna medico la riporterò a casa. Sarebbe troppo brutto per mia moglie partorire in presenza di un uomo." La proibizione, non scritta, a che le donne siano visitate o curate da dottori di sesso maschile significa che la maggior parte delle donne vive senza assistenza medica di nessun tipo. Grazie al bando dell'istruzione femminile durante il regime Talebano, il numero di dottoresse in medicina è tragicamente inadeguato a risolvere il problema.
La seconda provincia per tasso di mortalità materna è quella centrale di Bamian. Il dottor Ihsanullah Shahir, il direttore sanitario della provincia dice che il suo ospedale, che serve 300.000 utenti, ha solo dieci medici. Di questi, solo due sono donne. I 38 centri medici dislocati nelle aree più remote della provincia hanno in tutto cinque dottoresse e trentacinque dottori. "La mortalità materna è la nostra principale priorità", dice Shahir, "Ma il problema più grande che fronteggiamo è l'attitudine delle persone. La gente pensa: Dio dà la vita, e Dio la prende, così non cercano aiuto se non quando è troppo tardi." Come per gran parte del resto del paese, la geografia ha la sua parte nei tassi di mortalità materna del Bamian: anche quando una famiglia cerca assistenza medica, la mancanza di strade ed il terreno montuoso rendono l'impresa quasi impossibile.
La maggior parte dei medici concorda sul fatto che la causa principale della morte delle donne sono le emorragie durante il parto. Se il fatto accade in un contesto ospedaliero, dove rimedi sono disponibili, l'emorragia può essere fermata. Ma se una donna comincia a sanguinare in modo incontrollabile in una remota località, la cosa più probabile è che muoia durante il viaggio, frequentemente compiuto a dorso d'asino, per arrivare all'ospedale più vicino. Nelle zone come il Badakashan, la situazione è davvero catastrofica. Il responsabile della sanità pubblica della provincia, Abdul Momen Jaleel, ci ha detto francamente: "Lo stato della salute delle donne nel Badakshan vi lascerà scioccate."
La dottoressa Hafiza Omarkhil, vice direttrice del "Malalai Maternity Hospital" di Kabul, sostiene che la povertà ed altri fattori sociali sono larga causa dei decessi. La mancanza di nutrimento durante la gravidanza aggrava il rischio, aggiunge, così come la pratica di far sposare ragazze molto giovani. Secondo la dottoressa Linda Bartlett, responsabile dell'Unicef per la salute materna e infantile, i matrimoni in giovanissima età sono la causa principale dei decessi delle madri. "In Afganistan una ragazza non sceglie la data del proprio matrimonio o quanti bambini avere, perciò donne giovanissime muoiono, perché vengono date in mogli prematuramente." Assieme all'Unifem e all'Organizzazione mondiale per la sanità (OMS), l'Unicef sta lavorando ad un programma che aumenterà la gamma dei servizi offerti alle donne durante la gravidanza. Cliniche sono già in funzione in diverse province, e le donne vengono istruite come levatrici in tutto il paese. Ma è una lotta tutta in salita. In alcune province il 98% delle donne sono analfabete e persino dar loro un'istruzione di base è difficile. Le donne muoiono anche perché esse stesse e le loro famiglie ignorano persino le informazioni rudimentali rispetto alla salute. "Poco più del 2% delle donne in Afganistan ha un'istruzione", ci ricorda la dottoressa Adelah Mubasher del Dipartimento per la salute di donne e bambini dell'OMS, "Non hanno accesso alle cure sanitarie, e non ricevono informazioni al proposito."
La dottoressa Fakhria Hassin è invece la direttrice del Dipartimento maternità del Ministero della Salute pubblica: "La situazione disastrata dell'economia nazionale fa la sua parte. Le famiglie delle donne non hanno soldi per le medicine, e la malnutrizione delle femmine durante l'infanzia svilupperà problemi successivamente." Gli sforzi del governo e delle organizzazioni internazionali saranno certo d'aiuto, ma pure, come dicono le donne afgane, prima deve avvenire un vero cambiamento sociale.
"Nella nostra provincia non cè un ospedale per le donne", ci ha detto Karima, residente nella provincia di Ghor, "Ma anche se ci fosse, mio marito non mi permetterebbe di andarci."