RELAZIONE DI UN VIAGGIO
NEL COMPLESSO E DIMENTICATO UNIVERSO DEI PROFUGHI E DELLE PROFUGHE
AFGHANE IN PAKISTAN
gennaio 2002, di Matilde Adducci
del Comitato di difesa, sostegno e promozione dei diritti delle
donne afghane.
Premessa
Quella che segue è la relazione del viaggio nella realtà dei profughi e delle profughe afgane in Pakistan di una delegazione organizzata dalle Donne in Nero (30 ottobre 2001- 5 novembre 2001).
Il viaggio, fortemente voluto dall'europarlamentare Luisa Morgantini, si colloca nella tradizione, propria delle Donne in Nero, di costruire relazioni con le donne che, nel mondo, vivono "in luoghi difficili". Noi, come comitato, condividevamo e sostenevamo con forza l'urgente domanda di pace da cui ha avuto origine l'idea stessa della delegazione, una domanda di pace reale, fondata sul riconoscimento dei diritti di ciascuna e ciascuno, così come da tempo viene domandato dalle associazioni democratiche afghane che siamo andate a incontrare in Pakistan. Di qui la decisione di aderire alla delegazione.Lunedì 29 e martedì 30 ottobre
Lunedì, il giorno dell'arrivo di un primo piccolo gruppo della delegazione, e martedì sono dedicati alla preparazione di un programma di massima per la delegazione stessa, ma non solo. Le rappresentanti di gruppi di solidarietà con le donne afgane che hanno già avviato una relazione con la RAWA tengono anche alcuni incontri con le donne di quest'associazione riguardo a programmi e progetti specifici già in corso. Io sono fra queste. Le riunioni con le donne di RAWA sono sempre fitte e concitate, il piacere di guardarci finalmente negli occhi è grande, le questioni da discutere sono tanto numerose che abbiamo paura di dimenticarne qualcuna. Presenti a queste riunioni ci sono donne di RAWA che già conosciamo di persona, donne che conoscevamo soltanto attraverso la mediazione della posta elettronica e donne che incontriamo per la prima volta, come S. E proprio lei ad un certo punto interrompe la riunione, non riuscendo a trattenere il suo stupore. Nonostante sia la prima volta che parli con noi, ci tiene a farci sapere, le sembra di essere a una riunione di RAWA, tanto è naturale il nostro modo di comunicare insieme. Sorridiamo tutte e continuiamo a discutere, il cuore gonfio di emozioni, in sintonia con la ragione.Mercoledì 31 ottobre
In visita a un orfanotrofio
Nel pomeriggio ha inizio il programma ufficiale della delegazione, che prevede una visita a uno degli orfanotrofi gestito dalla RAWA. Dopo un viaggio di un paio d'ore giungiamo all'orfanotrofio. La struttura ospita una quarantina di bambini, 30 femmine e dieci maschi, con un'età variabile fra la prima infanzia e l'adolescenza.
Dopo le prime presentazioni, ci viene presentato uno spettacolo preparato per noi. Lo spettacolo, fatto di poesia, prosa e scenette, prevede anche che alcune bambine raccontino parte delle loro vite. Non sempre questa parte è facile, perché si tratta di rievocare momenti drammatici. La voce di una ragazza si spezza mentre ci racconta di quando i talebani hanno ucciso suo zio di fronte a lei. Per lei è impossibile continuare. Le ragazze ci presentano anche alcune scenette in cui si rievocano i drammi comuni a tante fra loro (familiari sequestrati dai talebani e mai più rivisti, fame, disperazione), ma vi sono anche numerosi momenti in cui i talebani vengono rappresentati in tutta la loro arrogante ignoranza, e l'ironia con cui vengono dipinti strappa a tutti un sorriso liberatorio. Veniamo poi a sapere dai bambini che lo spettacolo è stato preparato da loro in un paio di giorni. Sembrava che lo avessero provato per mesi. Terminato lo spettacolo, la parte restante del pomeriggio continua in un clima rilassato, con i bambini che ci si avvicinano, curiosi di farci tante domande. Una ragazzina mi si avvicina e in buon inglese mi domanda che cosa ne penso dell'attacco alle Torri Gemelle. Discutiamo un po' della situazione politica, poi mi rivolge altre numerose domande, anche sulla mia vita privata, dimostrando un'intelligenza viva e senso dell'umorismo. Questa piccola ospite non è un'eccezione. Molte bambine, passata la timidezza iniziale, vogliono parlare con noi, e parlano dei più svariati argomenti. Possiamo comunicare grazie al fatto che loro parlano in inglese. Ci raccontano molte cose, anche dettagli, della loro vita attuale. Veniamo a sapere che, con la guida della direttrice, sono abituati a prendersi cura gli uni degli altri, aiutandosi a vicenda, e prendendosi responsabilmente cura dei più piccini.
Le bambine e i bambini dell'orfanotrofio frequentano una scuola in lingua inglese, studiano molto, cosa di cui sono molto orgogliose, e, da come si pongono con noi, sembra evidente che siano abituate al confronto. Soltanto i bambini più piccoli o i nuovi arrivati non parlano la lingua inglese. Ma le bambine più grandi si dicono disposte ad aiutarli.
Parlo con numerosi bambini. Molti di loro vogliono che scriviamo qualcosa sui loro diari personali. Le visite sono rare per loro, ci spiegano, e vogliono un nostro ricordo. Ad un certo punto, nel corridoio, noto alcune nuvolette di carta riempite di scritte in persiano. Chiedo a una bambina di che cosa si tratti. Lei mi spiega che si tratta di una rassegna stampa per i più piccini. Le bambine più grandi, infatti, ogni sera ascoltano i notiziari sulla CNN, per sapere che cosa sta accadendo intorno a loro. Poi, settimanalmente, scrivono un riassunto delle notizie in persiano, in modo che anche i bambini che non parlano inglese siano aggiornati. L'ora di lasciare questi bambini arriva anche troppo presto. Ci chiedono di ritornare, spero che avremo modo di mantenere la promessa. Sul pullman, al ritorno, B., attivista di RAWA, mi parla della solitudine di questi bambini, che, così piccoli, hanno alle spalle una serie di storie drammatiche. B. mi dice che loro, ai visitatori, chiedono di non fare domande ai bambini sul loro passato, perché questo troppo spesso li fa scoppiare in lacrime. I bambini parleranno solo se se la sentiranno, e, se vogliono, possono raccontare la loro storia agli ospiti nel corso dello spettacolo. Ma anche questa opzione è spesso troppo dolorosa.Giovedì 1 novembre
Ospiti in un campo profughi
Giovedì il programma della delegazione prevede la visita al campo profughi in cui da anni è attiva l'associazione RAWA.In viaggio verso il campo
Nel corso del viaggio verso il campo profughi è evidente che più ci avviciniamo alla meta, più il panorama diviene desolato. A un certo punto siamo circondati soltanto più da terra brulla e polvere, di cui è possibile avvertire perfino il gusto acre. Poi, poco prima di raggiungere il campo, ecco che ci appaiono le fabbriche di mattoni. Si tratta di edifici di fango, in cui si producono mattoni d'argilla. I lavoratori, molti ancora bambini, si affannano sulle distese di mattoni secchi e sono ricoperti dall'onnipresente polvere marrone. Ci verrà spiegato che gli operai sono tutti profughi, provenienti dai campi situati nelle vicinanze. In effetti, queste fabbriche di mattoni sono sorte proprio in seguito all'insediamento dei rifugiati in questa zona: isolati, bisognosi di tutto, i profughi costituiscono infatti un immenso serbatoio di manodopera a bassissimo costo, costretti ad accettare condizioni di lavoro disumane. Si tratta si uno dei tanti, strazianti aspetti del business dei rifugiati.L'arrivo al campo. Alcune informazioni preliminari
Raggiungiamo infine il campo, che ospita 2500 famiglie, di circa otto persone ciascuna. Si tratta di un campo sorto sedici anni fa, la cui popolazione non vive in tende, ma in casupole di fango secco. Le famiglie giunte con l'ultima ondata di profughi non sono numerose, a causa della carenza di abitazioni disponibili nel campo. Un'attivista della RAWA ci ha spiegato che l'ultimo luogo abitabile presente nel campo era stato da poco assegnato. Quindi, con le lacrime agli occhi, lei stessa ha dovuto respingere nuovi profughi in cerca di una sistemazione. La costruzione di nuove casette è quindi ritenuta una priorità nel campo. Nell'attesa, fra le attività di RAWA vi è anche quella di recarsi nei campi profughi di recente e recentissima immigrazione, per portarvi cibo e medicinali. Ma, ci viene detto con grande modestia e immensa angoscia, rispetto alle disperate esigenze dei nuovi rifugiati si tratta di una goccia nel mare.L'arrivo al campo. Ha inizio la visita
Giunti al campo profughi in cui trascorreremo la giornata, cominciamo a percorrerlo. Nonostante si tratti di un campo profughi presente sul territorio ormai da più di vent'anni, e la popolazione alloggi in piccole casette di fango - e non sotto teli di plastica svolazzanti senza nulla che copra la terra sottostante, come spesso accade nei campi allestiti per i nuovi rifugiati la povertà e le mille difficoltà di vita della popolazione appaiono subito evidenti. Il campo, come tutto il paesaggio circostante, è immerso nella polvere una delle cui conseguenze è la diffusa, cronica presenza di malattie respiratorie, soprattutto fra i bambini e le bambine. Le case che visitiamo sono poverissime, piccole, spoglie, spesso buie. In molti casi i pasti vengono cucinati in piccoli angoli allestiti direttamente sul terreno un fuoco di legna che riscalda pentole annerite. L'acqua potabile, arrivata di recente, è distribuita da fontane collocate nei vicoli. Tuttavia, non mancano gli sforzi per abbellire le abitazioni e ridare loro il sapore di casa: la presenza di un orto, di un cespuglio di fiori. All'interno di un cortile che visitiamo, dietro molti bambini, scorgiamo a un certo punto una donna anziana. E' seduta, si copre il volto e piange a lungo, lamentandosi. Si tratta di una profuga recente, ci dicono. E' disperata perché si trova in una condizione di completa dipendenza dagli altri, mentre in passato la sua famiglia era autosufficiente e prospera. Lasciamo la sua casa senza poterla consolare.La scuola e l'ambulatorio medico
Nonostante la povertà del campo, è evidente che al suo interno viene svolto un intenso lavoro costruttivo. Dentro il campo c'è una scuola, che funziona regolarmente. Con pazienza, nel corso degli anni, le donne della RAWA hanno convinto le famiglie del campo a mandarvi i propri figli. Così, la maggioranza dei bambini e delle bambine, all'interno del campo, frequenta la scuola. Si tratta di un risultato molto importante, frutto di un lavoro difficile e delicato. Spesso i bambini e le bambine, infatti, venivano tenuti a casa perché lavorassero al telaio, aiutando così la famiglia a mettere insieme il necessario per vivere. In molti casi, dunque, è stato necessario fornire alle famiglie un'alternativa al reddito procurato dai più piccoli, per favorire la frequenza scolastica di questi ultimi. La RAWA ha così fornito a molte famiglie un telaio, e ha garantito loro l'acquisto dei tappeti ad un giusto prezzo, preoccupandosi poi di rivenderli all'esterno. Inoltre, l'associazione ha organizzato alcuni laboratori di cucito, in cui le donne, tantissime fra loro vedove, confezionano sciarpe e vestiti, acquistati, come i tappeti, direttamente dalla RAWA. Come condizione, è stato chiesto alle famiglie di mandare bambine e bambini a scuola. In molti casi questa strategia si è rivelata un successo. I bambini che scorrazzano nel campo in orario scolastico sono una minoranza e molti appartengono alle famiglie giunte più di recente.
Nelle classi, bambine e bambini indossano una divisa azzurra e bianca, fornita dalla RAWA: in questo modo l'abbigliamento per la scuola non costituisce un problema per le famiglie.
A scuola, all'interno di aule molto povere, vengono insegnate tutte le materie. Il curriculum scolastico seguito è quello che era in vigore in Afganistan prima che scoppiasse la guerra civile. L'insegnamento è laico, rispettoso delle diversità. A partire dal terzo anno viene inoltre introdotto l'insegnamento della lingua inglese. Durante il pomeriggio le aule scolastiche non rimangono inutilizzate. Vi si tengono, infatti, i corsi di alfabetizzazione per adulti, anch'essi molto frequentati. E non solo dalle persone di questo campo. Alcune classi, infatti, sono affollate dalle donne di un campo profughi vicino. Non si tratta di cosa da poco, perché il campo da cui provengono queste donne è caratterizzato dalla presenza di elementi fondamentalisti. In passato, i rapporti fra i due campi non sono stati privi di tensioni, anche preoccupanti. In ogni caso, adesso, le donne del campo in cui vi è una presenza fondamentalista si recano nel campo che stiamo visitando per frequentarne i corsi scolastici e avere accesso alle cure mediche. Nel campo, infatti, funziona anche un ambulatorio. Si tratta di poche stanze, in cui il medico del campo, una persona molto pacata e rispettatissima, insieme al personale infermieristico, riesce a prestare le cure ai malati, nonostante le difficili condizioni di lavoro. Le medicine e le attrezzature sono infatti scarse, i bisogni moltissimi. Il medico ci spiega che desidererebbe almeno che ci fossero le risorse per pavimentare l'ambulatorio, sarebbe un grande aiuto per migliorare le condizioni igieniche dell'ambiente. Mentre visitiamo l'ambulatorio la sala d'attesa è molto affollata. Ci informano che questa piccola struttura assiste almeno quaranta pazienti al giorno.Contro tutti i fondamentalismi
La giornata al campo prevede anche un incontro con le donne della RAWA. Fra le donne dell'associazione presenti, ve n'è anche una appena tornata da Kabul. Dopo le presentazioni, le donne della RAWA ci espongono le loro posizioni rispetto alla guerra in quei giorni in corso. Ci viene detto che entro pochi giorni dall'inizio dei bombardamenti è parso evidente che i bombardamenti colpivano indiscriminatamente e prevalentemente la popolazione civile, causando costi pesantissimi in termini di vite umane, senza però aprire reali prospettive di democrazia per il Paese. Da cui la ferma richiesta dell'associazione di fermare immediatamente i bombardamenti sull'Afghanistan. Nel corso di questa discussione, inoltre, le rappresentanti di RAWA ci hanno chiaramente esposto la loro posizione rispetto all'Alleanza del Nord. Esse ritengono che tale forza non rappresenti una reale alternativa per il Paese. Gli anni di governo delle forze che costituiscono l'Alleanza del Nord sono ricordati come un incubo violentissimo, durante il quale l'oppressione e la paura hanno paralizzato l'Afganistan. Il messaggio politico che RAWA ci invia è molto chiaro e comprende la richiesta della cessazione immediata dei bombardamenti, nonché il rifiuto di qualsiasi tipo di trattativa con le forze fondamentaliste del Paese, siano esse composte da talebani o da mujahidin. L'inclusione di forze fondamentaliste, talebani o mujahidin, in un futuro governo del Paese, precluderebbe infatti qualsiasi possibilità di apertura di un processo democratico in Afganistan. La richiesta che la RAWA rivolge al re, in quanto simbolo riconosciuto dell'unità nazionale, è quella di essere ascoltate e chiamate a partecipare alle trattative per il futuro assetto del Paese, insieme alle altre forze autenticamente democratiche della società afgana. La condizione che la RAWA pone con forza è che al tavolo delle trattative per la costruzione del futuro governo dell'Afganistan non venga ammesso alcun rappresentante di forze fondamentaliste. In caso contrario, le nostre ospiti sono certe che si aprirebbe la strada a nuove forme di violenza, guerra e oppressione nel Paese.A conclusione di una giornata
La giornata si conclude con una rappresentazione teatrale. Sì, anche nel campo profughi c'è spazio per il teatro (fisicamente, la rappresentazione si svolge in quella che di giorno è un'aula scolastica). Ancora una volta, appare evidente l'importante funzione educativa dell'attività teatrale. Nel corso dello spettacolo si succedono discorsi, canti e piccole rappresentazioni. In particolare le scenette riproducono le mille difficoltà della vita in Afganistan, l'infelicità che spesso pervade la vita quotidiana, ma trasmettono anche un messaggio di speranza, di possibilità di cambiamento e di riscatto e, attraverso l'uso dell'ironia, riescono a strappare qualche risata liberatoria. Nello specifico, in una scenetta ambientata a Kabul, viene rappresentato un corso di alfabetizzazione clandestino per ragazze tenuto in una casa privata. Ovvero, una forma di resistenza diffusa al regime fondamentalista dei talebani. Nel corso dello spettacolo, però, il corso viene scoperto dai talebani, i quali, dopo aver compreso con una certa difficoltà (poiché essi stessi non sapevano leggere) che in quella casa le ragazze ricevevano un'istruzione, cominciano a picchiare tutte le donne presenti. Ma le donne si ribellano. Lo spettacolo termina con le donne che riescono a scacciare dalla loro abitazione i talebani. Scoppia una risata liberatoria. Anche attraverso il teatro è possibile ricordare, a popolazioni martoriate, che il cambiamento è necessario e la resistenza possibile.
Si tratta di un altro piccolo, importantissimo passo in quel lungo percorso di educazione alla cittadinanza, perseguito così tenacemente, pur nelle difficili condizioni di vita del campo profughi, degli orfanotrofi, delle scuole per i profughi.Venerdì 2 novembre
In visita a due scuole
La giornata di venerdì prevede la visita ad alcune scuole per rifugiati gestite dall'associazione umanitaria HAWCA a Peshawar e alla sede dell'associazione stessa.Una scuola avviata di recente
La città di Peshawar conta un'alta percentuale di rifugiati. Anche di nuovi rifugiati, poiché, come ci spiegano i rappresentanti dell'HAWCA, se coloro che scappano dai bombardamenti hanno la possibilità di essere aiutati da parenti già residenti a Peshawar, preferiscono di gran lunga stabilirsi in città, piuttosto che recarsi nei campi profughi allestiti di recente. Spesso questo significa adattarsi a vivere in piccole stanze sovraffollate, ma tali condizioni risultano comunque preferibili alla fama dei nuovi campi per rifugiati. Diviene quindi necessario cercare di supplire ai bisogni dei vecchi e dei nuovi profughi che popolano la città, e fra questi bisogni c'è quello dell'istruzione. Ci rechiamo quindi a visitare una scuola gestita da HAWCA all'interno di Peshawar.
All'interno del piccolo edificio, visitiamo alcune classi di bambini intenti a fare lezione. Come spesso accade, i bambini siedono per terra, e uno fra gli obiettivi dell'associazione nel breve periodo è quello di dotare la scuola di sedie. Quando arriviamo, i bambini e le bambine sono concentrati sulle lezioni, e noi possiamo visitare le classi. Vengono studiate tutte le materie, all'interno di un programma scolastico improntato alla laicità e al rispetto per la diversità. All'interno della scuola ci sono anche alcuni adulti. Ci viene spiegato che si tratta di rifugiato giunti da poco, e siamo invitati ad ascoltare le loro testimonianze. Sono persone visibilmente provate, e ci raccontano della loro vita difficile negli anni vissuti sotto il governo dei taleban. Ci raccontano anche dei loro ultimi giorni in Afganistan, quando alle mille sofferenze si è sommata la paura della morte che arrivava dal cielo. E' stato allora che hanno deciso di scappare, ci parlano del loro viaggio verso il Pakistan, lungo e faticosissimo.
Frattanto, i bambini della scuola si riuniscono per cantarci alcune canzoni. Purtroppo dobbiamo interrompere la visita, a causa si un piccolo episodio di tensione. Alcuni fondamentalisti pakistani, infatti, entrano con prepotenza nella scuola, chiedendo ai rappresentanti di HAWCA che cosa ci facessero lì donne e uomini occidentali. Decidiamo di andarcene, non solo perché la tensione si è fatta palpabile, ma anche e soprattutto per non mettere in pericolo coloro che continueranno a lavorare in quella scuola. E' un peccato, perché una donna, una rifugiata recente a cui avevo rivolto alcune domande, ci si era avvicinata con l'intenzione di dirci qualcosa. Non ci sarà il tempo di sapere di che cosa si trattasse. Questo episodio dà modo di chiarire una realtà che nel corso del viaggio si è delineata con sempre maggior chiarezza. Certamente gli esponenti delle forze fondamentaliste pakistane erano aggressivi, e dunque molto visibili. Ma essi non rappresentavano affatto ne erano anzi ben lontani- la maggioranza della popolazione pakistana. In quello stesso giorno ricordiamo che si trattava di un venerdì- in cui si è verificato l'episodio appena descritto, era stata indetta a Peshawar una manifestazione fondamentalista. Ebbene, in una città che conta oltre 750.000 abitanti, i partecipanti alla manifestazione erano non più di quattrocento.Di nuovo fra i banchi
Nella seconda parte della mattinata di venerdì ci rechiamo in un'altra scuola gestita da HAWCA, più grande della prima. All'interno del cancello della scuola ci attendono i bambini, con una serie di canzoni. Poi visitiamo le classi e rivolgiamo domande a bambini e insegnanti. Con noi c'è A., la direttrice della scuola, aderente a HAWCA. Parliamo un po' con lei, le chiediamo che lavoro facesse in Afganistan prima dell'avvento dei talebani. Veniamo a sapere che insegnava microbiologia. E' una donna molto calma, ma è evidente quanto sia forte e decisa. Le chiedo come si è sentita quando i talebani hanno preso il potere. Risponde che, nonostante avesse già affrontato moltissime difficoltà e momenti bui sin dall'inizio della guerra civile, dopo la conquista del potere da parte dei talebani, per la prima volta in vita sua, si è sentita venir meno tutta la forza che sino allora l'aveva sorretta. E' così che ha deciso di rifugiarsi in Pakistan: la vita a Kabul era divenuta insostenibile. Ci racconta quindi della scuola che dirige e dell'importanza di fornire un'istruzione ai bambini rifugiati. Istruzione, ma non solo. Molti bambini, prima di frequentare la scuola, svolgevano lavori pesanti o trascorrevano la loro giornata rovistando tra i rifiuti urbani, alla ricerca di qualcosa da riciclare. L'incontro con la scuola, l'istruzione, la garanzia di condizioni di vita dignitose ha significato la possibilità di cambiare vita. Nel pomeriggio siamo ospiti nella sede dell'associazione HAWCA, che sta chiedendo al governo pakistano il riconoscimento dello status di ONG. Alcuni aderenti a HAWCA, uomini e donne, rispondono alle nostre domande sull'articolazione del loro prezioso lavoro umanitario, svolto per la popolazione afgana. Oltre alla gestione di scuole, l'associazione si occupa della promozione di progetti di microcredito per le donne, i cui prodotti artigianali vengono direttamente acquistati a un prezzo equo e poi rivenduti dall'associazione stessa. HAWCA si occupa poi di fornire aiuti ai profughi che vivono nei campi. Nel corso dell'incontro ci vengono raccontate le mille difficoltà che i profughi e le profughe incontrano nella loro vita quotidiana e ci viene anche detto della fatica disumana compiuta dalla maggioranza dei profughi nel viaggio verso il Pakistan. Ci raccontano del viaggio di due cugine, di 12 e 14 anni di età, che sono giunte sole in Pakistan, le uniche sopravvissute di tutta una famiglia che si era unita a una colonna di profughi. Enorme, poi, è la preoccupazione espressa per quella parte di popolazione afgana che preme sul confine del Pakistan per entrare nel Paese. Non è dato sapere quali siano le esatte condizioni di vita di quelle persone, ma non è difficile immaginare che si tratti di un inferno in terra.Sabato 3 novembre
Incontri con le associazioni pacifiste e di donne e la conferenza stampa
Ci avviciniamo alla fine del viaggio, il tempo comincia a scarseggiare, le persone che desideriamo incontrare sono ancora molte. Sabato mattina la delegazione si divide in due gruppi di lavoro: il primo incontrerà un gruppo di pacifisti pakistani, il secondo incontrerà una delegazione di donne afgane e pakistane, impegnate nella difesa dei diritti delle donne. La scelta è difficile, infine opto per l'incontro con le donne. A metà mattina, terminato l'incontro con i gruppi pacifisti, tutta la delegazione si riunisce e tutte insieme continuiamo a discutere con le ospiti afgane e pakistane.L'incontro con le associazioni di donne
Presenti all'incontro sono con noi alcune rappresentanti dell'International Rescue Committee, un'associazione di donne afgane, alcune rappresentanti della RAWA, Nighat Said Khan, scrittrice e studiosa femminista, Asma Jahangir, avvocata pakistana impegnata nella difesa dei diritti umani in Pakistan. Dopo un breve giro di presentazioni dei gruppi che ciascuna rappresenta, iniziamo a discutere della situazione delle donne afgane. Molti interventi ci riportano la cruda realtà e le terribili condizioni di vita delle donne afgane sotto i governi fondamentalisti. Dagli interventi appare chiaro che, insieme alla richiesta del rispetto dei diritti delle donne, emerge una forte domanda di democrazia reale, condizione preliminare per poter costruire effettivamente una cultura del rispetto dei diritti. In particolare, Asma Jahangir, richiama l'attenzione sulla questione della democrazia in tutta l'area centro-sud asiatica: senza la costruzione della democrazia in Pakistan, ci dice, non è realisticamente pensabile la pace in Afganistan. Asma Jahangir e una rappresentante di RAWA rimangono con noi, saranno fra le relatrici della conferenza stampa della delegazione che si terrà nel pomeriggio.La conferenza stampa
Il sabato pomeriggio è dedicato alla conferenza stampa il cui scopo è quello di illustrare ufficialmente lo scopo e le richieste della nostra delegazione. Alla conferenza stampa partecipano anche una rappresentante dell'associazione RAWA e l'avvocata pakistana Asma Jahangir. Intervengono l'europarlamentare Luisa Morgantini, le parlamentari italiane Elettra Deiana e Luana Zanella, la rappresentante delle Donne in Nero Laura Quagliolo, l'avvocata pakistana Asma Jahangir e la rappresentante di RAWA. I diversi interventi, alla luce di quanto visto ed elaborato nel corso della visita della delegazione in Pakistan, richiedono con fermezza la cessazione immediata della guerra ed esprimono una totale condanna del terrorismo e di qualsiasi forma di fondamentalismo. In sala sono presenti molti giornalisti pakistani e alcuni giornalisti stranieri, che pongono diverse domande alle relatrici. Sapremo poi che la conferenza stampa ha avuto una buona eco sulla stampa pakistana.Domenica 4 novembre
Nella giornata di domenica è prevista una visita ufficiale della delegazione all'ambasciata italiana, che è anche l'occasione per incontrare diversi esponenti della società civile pakistana e afghana invitati dall'ambasciata. Un piccolo gruppo si stacca dalla delegazione e si reca nuovamente nel campo profughi già visitato giovedì. Io sono tra questi. Abbiamo modo di visitare nuovamente tutte le diverse attività del campo e di parlare ancora un pò con diversi profughi della loro condizione. Visitiamo anche l'orfanotrofio del campo. Il numero di bambini afgani orfani è elevatissimo, e dunque anche nel campo vi è una struttura per accoglierli. La giornata trascorre serenamente e alla sera la delegazione si riunisce nuovamente, discutendo delle diverse esperienze della giornata.Lunedì 5 novembre
Ultime visite e la partenza
Lunedì è giorno di partenza. Tuttavia, nella mattinata e nel primo pomeriggio compiamo ancora due diverse visite. Una parte della delegazione, con qualche difficoltà, ha ottenuto il permesso di visitare un campo profughi allestito di recente. Un gruppo più piccolo della delegazione, in cui mi trovo anch'io, visita invece una scuola gestita da RAWA a Islamabad. La scuola occupa un piano di un palazzo molto malandato. Nell'atrio del palazzo vediamo molti bambini che cuciono scarpe al buio. Sono profughi afgani che non hanno altre risorse per vivere e quindi lavorano, in quelle condizioni malsane, per produttori di scarpe (inevitabilmente, di fronte a quello spettacolo, affiora alla mente la domanda: chi avrà cucito le mie scarpe?). Saliamo le scale buie del palazzo, e, oltre una piccola porta, si apre un corridoio pulito, sul quale si affacciano le porte di diverse classi. Anche i bambini che studiano in questa scuola sono figli dei profughi e delle profughe più poveri, che hanno avuto la fortuna di incontrare sulla loro strada associazioni come quelle che ci hanno guidato nel corso della nostra settimana in Pakistan. Come nelle altre scuole di RAWA, ma d'altronde anche quelle di HAWCA, i bambini e le bambine, che, nonostante la scarsezza di supporti didattici, ricevono un'istruzione completa e laica, per quanto piccoli sembrano già consapevoli dell'importanza dell'istruzione, e delle sofferenze di molti altri bambini afgani, che vivono in Afganistan o in Pakistan, che non hanno accesso ad alcun servizio di base. La visita si conclude con alcune canzoni che ricordano l'Afganistan e con l'augurio, da parte nostra, che queste bambine e bambini possano un giorno vivere in un Afganistan democratico e in pace. All'aeroporto ci riuniamo con l'altra parte della delegazione, che ci racconta delle misere condizioni del campo che avevano visitato, della mancanza di tutto in cui vivevano quelle persone da poco diventate profughe, della preoccupazione per l'inverno alle porte, quando come riparo si dispone soltanto di una tenda senza pavimento. Ci prepariamo al rientro, mentre la mente indugia in quelle terre che stiamo lasciando, affollata dalle immagini di decine di volti dallo sguardo profondo. Sulla via del ritorno ci disponiamo alla difficile ricerca delle parole che potranno permetterci di dar voce a coloro che, troppo spesso, vengono colpevolmente dimenticati.