I MORTI INNOCENTI DI UNA GUERRA COMBATTUT A DA VIGLIACCHI.


gennaio 2002, di Seamus Milne, editorialista del Guardian di Londra
traduzione di Lisa Clark di Beati i costruttori di pace.

 

Il prezzo di sangue già pagato nella guerra americana contro il terrorismo sta cominciando a diventare chiaro. Ma questo prezzo non è stato pagato né dall'Inghilterra nè dagli Stati Uniti, e nemmeno per ora dai leader di Al Qaida o dei Talebani considerati responsabili degli attentati dell'11 settembre. E' stato pagato dalla popolazione afgana, che niente aveva a che fare con le atrocità, che non aveva eletto la teocrazia Talebana, che non ha avuto voce in merito nella decisione di offrire il loro paese come rifugio a Bin Laden e ai suoi amici.

Il Pentagono, come é sua abitudine, é stato piuttosto reticente nel dire quante persone si stimi siano morte sotto i suoi missili. Comprensibile, visto che il Pentagono é molto sensibile all'impatto che questo dato potrebbe avere sul sostegno alla coalizione internazionale. Infatti, i commenti dei portavoce militari statunitensi alle domande riguardo il numero di vittime civili sono in genere "il numero non é confermato da fonti indipendenti." In altri casi negano recisamente che ci siano state vittime.
I mezzi di informazione USA sono stati particolarmente prodighi (si fa per dire!) di dati: il Los Angeles Times é riuscito solo a tirare ad indovinare che siano morti "per lo meno qualche decina di civili."

Adesso, per la prima volta, uno studio sistematico indipendente sul numero di morti civili in Afghanistan é stato fatto da Marc Herold, professore di Economia all'Università del New Hampshire. Esaminando e confrontando i rapporti di agenzie umanitarie, dell'ONU, di testimoni oculari, giornalisti TV e di agenzie internazionali, Herold stima che almeno 3.767 civili siano stati uccisi dalle bombe USA tra il 7 ottobre e il 10 dicembre. Una media, cioé di 62 morti innocenti al giorno. Un totale che supera il numero di 3.234, attuale stima dei morti periti negli attentati di New York e Washington dell'11 settembre.

Naturalmente, il totale calcolato da Herold é solo una stima. Ma ciò che colpisce del suo studio non é solo il lavoro meticoloso di controlli incrociati tra le varie fonti, quanto il modo in cui per ogni singolo bombardamento prenda sempre la cifra più bassa tra quelle riferite. Il suo totale non include coloro che sono morti in un secondo tempo, in conseguenza delle ferite riportate; né quelli uccisi negli ultimi dieci giorni; né quelli che sono morti di freddo o di fame o perché sono state interrotte le forniture di aiuti alimentari o perché costretti a scappare dai bombardamenti. Né comprende i combattenti militari uccisi (che alcuni analisti stimano, sulla base dell'esperienza di precedenti bombardamenti a tappeto, superiori a 10.000), né i prigionieri massacrati a Mazar-i-Shairf, a Qala-i-Janghi, all'aeroporto di Kandahar e altrove.

I sostenitori della guerra continuano a dire che queste morti sono solo degli sfortunati, ma necessari, danni collaterali di una giusta campagna combattuta per sradicare le reti globali del terrorismo. Non hanno niente in comune, ci dicono, con le vittime civili degli attentati alle Torri Gemelle perché ... i civili afgani non sono stai uccisi intenzionalmente dagli americani.

In effetti, la distinzione morale é molto meno netta, tanto per usare un eufemismo. Come sostiene Herold, l'elevato numero di morti civili afghani é una conseguenza diretta della tattica e della scelta di obbiettivi da parte degli USA (e dei britannici). La decisione di affidarsi principalmente a bombardamenti aerei da alte quote, di colpire le infrastrutture urbane e di attaccare ripetutamente città e villaggi ad alta densità di popolazione é stata una scelta consapevole al fine di non mettere a rischio le vite di piloti e soldati americani e inglesi, sacrificando invece un numero elevatissimo di vite sul terreno: ma non dei loro nemici dichiarati, i Talebani, ma di civili afgani. Migliaia di innocenti sono stati uccisi negli ultimi due mesi, non come danno collaterale inevitabile nella battaglia per rovesciare il regime dei Talebani, ma come conseguenza del basso valore attribuito alla vita dei civili afgani da parte degli strateghi militari americani.

I raid su obbiettivi come la diga idroelettrica di Kajakai, la centrale telefonica di Kabul, la sede delle televisione Al Jazeera, camion e autobus colmi di rifugiati e autocisterne civili che trasportavano carburante ... tutti questi non sono stati errori. E le persone morte in questi bombardamenti non sono state uccise per sbaglio. Ma l'opinione pubblica occidentale é diventata sempre meno sensibile a queste persone uccise in loro nome. Dopo che gli AC-130 americani avevano distrutto il villaggio agricolo di Chowkar-Karez in ottobre, uccidendo almeno 93 civili, un portavoce del Pentagono si é sentito di poter affermare che "quelle persone sono morte perché le volevamo morte". Mentre il Ministro della Difesa Rumsfeld alle domande ha risposto: "Non posso affrontare l'argomento di quel villaggio."

Ieri Rumsfeld, senza volere, ha ammesso la scarsità di impatto che la campagna in Afghanistan (che ancora, lo ricordiamo, non é riuscita a raggiungere il suo scopo principale: assicurare alla giustizia Bin Laden e i leader di Al Qaida) ha avuto sinora sulla minaccia terrorista, ipotizzando nuovi attentati cataclismici, anche su Londra. Non si farà nessun minuto di silenzio e raccoglimento per i morti civili afghani, non ci saranno necrologi per loro nei nostri giornali, né commemorazioni funebri alla presenza dei nostri Primi Ministri, come si fece per le vittime delle Torri Gemelle. Ma ciò che é stato dimostrato, in modo crudele e incontrovertibile, é che gli Stati Uniti e i suoi seguaci di campo sono disposti a sacrificare migliaia di innocenti in una guerra combattuta da vigliacchi.