LA LEGGE AFGHANA CONTINUA
AD OPPRIMERE LE DONNE. RIFIUTARE UN PRETENDENTE, LASCIARE IL MARITO
SONO ANCORA CRIMINI DA GALERA
maggio 2002, da Chicago Tribune,
28/04/02 di Noreen S.Ahmed-Ullah; traduzione di Giovanna Gagliardo
KABUL, Afghanistan -- Shazia ha soltanto 13 anni. La voce si sente a malapena. Circondata da adulti, si morde le unghie e tira su la sciarpa nera di velo crespo, coprendosi il viso e gli occhi nocciola.
E' una delle criminali incallite detenute all'interno delle mura umide e inaccessibili del carcere provinciale femminile di Kabul. Crimine commesso: scappare dal marito quarantacinquenne che era stata costretta a sposare.
Di fatto la prigione è piena di ragazze appena teenager accusate di crimini che vanno dall'essersi innamorate all'aver avuto rapporti illeciti, aver abbandonato parenti inflessibili o essere scappate da mariti violenti.
In Afghanistan le esecuzioni che contraddistinguevano il regime talebano sono finite, ma la legge islamica e le rigide tradizioni culturali continuano a sussistere. Il Paese si basa ancora sulla legge islamica che risale al VII secolo.
Il governo temporaneo di Hamid Karzai, sostenuto dagli Stati Uniti, afferma di voler mantenere in vigore queste leggi, anche se intende applicarle senza la rigidità adottata dai talebani. Le leggi islamiche riconoscono alla donna il diritto di rifiutare il marito scelto dalla famiglia, ma prevedono punizioni severe per le relazioni sessuali al di fuori del matrimonio.
Le leggi tribali invece permettono ai genitori di far imprigionare, e addirittura di uccidere, le ragazze che perdono la verginità, infangano l'onore della famiglia innamorandosi di pretendenti inaccettabili o cercano di divorziare.
"Voglio divorziare," diceva Shazia, che come molti afghani non ha un cognome. "Mio marito mi picchia. Con lui non sono felice."
Mettere fine alle punizioni talebane
Con lo zelo con cui applicavano la legge islamica, i talebani amputavano le mani dei ladri negli stadi pubblici e facevano uccidere gli assassini dai propri familiari. Il vice della sicurezza di Kabul, Lt. Gen. Mohammed Khalil Aminzada, spiega che anche le donne che fuggivano dal proprio marito venivano uccise. Una donna sposata che commetteva adulterio sarebbe stata lapidata a morte.
"Adesso non lo facciamo più," ha detto Aminzada. "Le mettiamo in prigione per tre o quattro mesi. Questa è una società islamica. Se lasciassimo fare alla gente quello che vuole, in breve tempo la metà della popolazione si ritroverebbe malata di AIDS."
Ci sono poche informazioni sull'AIDS, ma l'Organizzazione Mondiale della Sanità finora parla di 10 casi noti in Afghanistan.
Aminzada spiega che la polizia di Kabul non va in giro ad arrestare mogli in fuga o adultere, a meno che non si temano rischi per la sicurezza o ci sia la denuncia da parte di un familiare.
"Se la gente non si lamenta, non siamo noi a prendere l'iniziativa".
In base all'accordo di Bonn dell'autunno scorso, il governo provvisorio afghano aveva, tra i vari compiti, anche quello di creare una commissione per pianificare la ricostruzione del sistema di giustizia penale e garantire i diritti umani.
In mancanza di leggi nuove, l'Alta Corte del Paese è ritornata ad usare le vecchie leggi Shariah dell'Islam, quelle in vigore prima dell'avvento dei talebani. Ma dicono che verranno applicate con più indulgenza.
Da quando i talebani sono andati via, non ci sono più state lapidazioni o fustigazioni. Secondo alcuni funzionari dell'ambiente legale, un giorno questo tipo di punizioni potrebbe essere reintrodotto per i criminali recidivi o in presenza di prove inconfutabili.
Ad esempio, in base alle norme stabilite dalla legge Shariah, un uomo o una donna che abbiano commesso adulterio dovrebbero essere lapidati a morte se l'accusa venisse sostenuta da quattro testimoni oculari di sesso maschile.
Fazal Hadi Shinwari, capo dell'Alta Corte dell'Afghanistan, racconta che all'epoca dei talebani non c'era bisogno dei quattro testimoni.
"E' molto difficile trovare quattro testimoni in grado di confermare l'atto", dice Shinwari che ha una lunga barba bianca, una copia del Corano sul tavolo ed una frusta di cuoio appesa al muro.
"Naturalmente i talebani procedevano alle esecuzioni senza prove, senza alcuna conferma. Non usavano la vera Shariah. Volevano soltanto spaventare la gente. Noi siamo più morbidi di loro".
Essere più morbidi in questo caso significa mettere queste donne in prigione per mesi o anni invece di ucciderle.
Perseguitate dalle proprie famiglie
Nelle celle vuote e tristi del carcere provinciale di Kabul si trovano ragazze come Farayba, di 19 anni.
Lei ed il suo ragazzo si erano recati dai talebani sperando di potersi sposare nonostante il parere contrario dei genitori. Invece i funzionari talebani li hanno condannati a cinque anni di carcere.
Cinque mesi fa, quando i talebani hanno abbandonato Kabul, Farayba è scappata dalla prigione insieme ad altre 71 donne.
La sua famiglia è benestante: il padre è stato comandante nel Ministero della Difesa prima dell'avvento dei talebani. Decidendo di sposare il figlio di una famiglia povera, Farayba aveva disonorato la famiglia, che voleva farle sposare un cugino. Quando si è rifiutata, il padre, i cugini ed i fratelli hanno malmenato il padre del ragazzo.
Temendo per la propria vita, i giovani amanti si sono rivolti di nuovo alle autorità, questa volta del governo provvisorio. "I funzionari di polizia mi hanno detto che dovevo sposare mio cugino. Mi sono rifiutata e allora mi hanno arrestata per finire di scontare la pena di cinque anni. Non credo che ci sia nessuna differenza tra questo regime e quello talebano."
Le punizioni colpiscono i familiari
Adiba, che ha 14 anni è stata costretta a sposarsi sotto la minaccia di una pistola con un uomo di 30, Talib, che era entrato di notte nella casa di suo padre. Racconta che i parenti del marito hanno cercato di costringerla a prostituirsi.
Quando i talebani hanno lasciato Kabul è scappata dalla casa del marito, che ha fatto arrestare suo zio ed un suo cugino. Questo è il motivo per cui si è rivolta alla polizia.
In questa società tribale, il badal, o vendetta, è una cosa comune. Spesso se il colpevole non è reperibile vengono arrestati i suoi familiari fino a quando questi non si costituisce o paga un risarcimento alla famiglia della vittima.
Nasreen è stata in carcere per mesi perché suo cognato è scappato con una ragazza. Il padre della ragazza, non potendo colpire direttamente l'uomo, si è accontentato dell'arresto di Nasreen, 30 anni, vedova e con cinque figli.
Complessivamente ci sono 14 donne nel carcere, e condividono due celle minuscole.
La prigione fornisce soltanto pane ed acqua per la maggior parte dei pasti. Le donne comprano il tè e lo zucchero. Nei giorni fortunati, qualche parente porta della carne o del riso, che le detenute spesso condividono.
Le donne non possono fare nient'altro che stare sedute e parlare, o passeggiare nel cortile. Guardano fuori da una finestra chiusa da sbarre di ferro ed un paravento lacero.
Le celle puzzolenti brulicano di scarafaggi. Le donne dormono su materassi sottili gettati sul pavimento. Le coperte ed i cuscini non vengono lavati da mesi.
Nonostante tutto alcune preferiscono trovarsi là dentro piuttosto che nelle strade di Kabul. Secondo Khatool, che fa la guardia carceraria, fuori dalla galera verrebbero uccise dalle loro famiglie, mentre in carcere si sentono al sicuro.